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21/03/24
KRASUE + ANTARES + WAH ‘77
FREAKOUT CLUB, VIA EMILIO ZAGO 7C - BOLOGNA
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03/07/2019
( 4435 letture )
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Ritrovarsi davanti a una tempesta, concepire la sua ineluttabilità, perdersi con le gocce negli occhi che scavano fin dentro il cranio, esperire una claustrofobica alienazione; le redini del proprio comportamento abbandonate e gli arti tremanti dinanzi al peccato, bruciare per poi rialzarsi completamente inariditi. Moving Backwards -prima fatica dei finnici Wheel- è esattamente questo, un’esperienza in cui lanciarsi senza troppi ripensamenti, tentando di rimanere ancora sé stessi a conclusione dei quasi cinquanta minuti dell’album o, forse, tentando di non rimanerci affatto.
Partendo immediatamente dai brani “meno riusciti” per togliersi il sassolino dalla scarpa, si deve citare l’iniziale Vultures, un inizio intriso di riff taglienti, un ritornello roccioso e una struttura melodica al limite del radiofonico. L’annunciazione della tempesta qui non trova molti fronzoli progressive, ma ci troviamo davanti a un inizio fin troppo diretto che di certo non esprime al meglio quello che ci aspetta in questo disco ma che, senza timore di smentita, rimane un piacevolissimo brano. C’è poi Skeletons, un pezzo di poco più di quattro minuti le cui tonalità mid-tempo dai toni stoner non stancano, grazie a un arrangiamento discreto ripetuto per l’intera durata del brano. Analizzandolo come punto intermedio del disco quindi, non risulta faticoso ma anzi imprescindibile per la giusta fruizione di questo vero e proprio viaggio messo in opera dalla band. I difetti (se così possono essere chiamati) sono già pressoché conclusi, ci ritroviamo ora di fronte a un’opera mastodontica, a partire dai dieci minuti di Wheel, che lasciano l’ascoltatore completamente senza fiato. Le inziali percussioni tribali uniti al maestoso basso ci donano un inizio atmosferico capace di penetrarci fin dentro le viscere, le chitarre stridono con l’eccellente sezione ritmica e i riff in palm muting anticipano un’esplosione poliritmica in cui anche la sezione vocale a carico di James Lascelles lascia attoniti. La cupezza e l’oscurità cominciano a remare dentro le vene, giri ansiogeni fanno singhiozzare l’arrangiamento prima di un’ennesima esplosione. È circa a metà del brano che ci ritroviamo quasi stanchi, ed è qui che i Wheel ci lasciano affondare nell’abisso con un arpeggio ripetuto ritualmente.
On the periphery The shadows start to fall They’re moving surreptitiously Or am I getting paranoid
When did we lose our way? There’s nothing left to say I’m ready for a change
Il baratro della perdizione, un viaggio nella psiche, un tentativo di redenzione. Il sentirsi vuoto è passo necessario nel momento in cui ci si rende conto di essere ingranaggi di una grande macchina (il nome del brano, e di conseguenza dalla band trova un senso), destinati all’insensibilità come salvezza dal dolore e dalla preservazione della sanità mentale. I Wheel non hanno lasciato nulla al caso e infatti non risulterà fuori luogo nemmeno un improvviso -e apprezzato- citazionismo a Orwell.
Just like back in 84 There are eyes on every wall It might be time to learn to crawl When privacy becomes a product to be traded for another
Un vero e proprio capolavoro che da solo vale l’ascolto dell’intera opera. Fatto non fosse che la successiva Tyrant non risulta da meno. Una partenza cupa con aria mortuaria inizia l’ascoltatore alle chitarre, che intonano cortei funebri da melodie patogene. Il lavoro alla grancassa di Saksala è magistrale così come quello di Määttä al basso, quest’ultimo senza riserve protagonista assoluto dell’intero album. Il guitarwork si manifesta in un arrangiamento ripetuto come un topos, un ritornello energico in pieno stile rock sa anticipare con classe un assolo barocco di Roni Seppänen che alleggerisce momentaneamente le sonorità titaniche del pezzo, abili nel farci sentire estremamente piccoli al suo cospetto. Le influenze dei Tool si fanno ancor più vivide che in precedenza, le linee vocali quasi rassicuranti mentre ci si perde nel groove. L’ultima esplosione ricorda una produzione à la Crack the Skye, ripetendosi con insistenza psicotica.
Eye for an eye Throw more petrol on the fire
Up the Chain non si limita e sperimenta un’apertura più devota alla pesantezza, con tecnica djent e percussioni suggestive. La produzione qui agisce molto sulla voce di Lascelles rendendola eccessivamente artificiale, nulla però che duri in eterno. Qui come nei brani precedenti si respirano atmosfere indigene, grazie anche al guitarwork che si dipana da riff ripetuti senza controllo a giri melodici emananti un vero e proprio miasma. Un enorme riff conclusivo conclude il brano dopo l’ennesima esplosione simil-djent.
You’re just a parasite Riding on my coat tails You’re just a liability Stay out of my way
Inizio pesante anche per la successiva Where the Pieces Lie, sezione vocale decisamente buona e ritmica eccellente. La catarsi qui prende il sopravvento, un canto liberatorio che invita alla lotta, all’affronto diretto con la propria condizione esistenziale, a suon di pesantezza tecnica e sfuriate nude e crude.
Fighting to survive, we’ll make a last push for the border Too late to start again, we’ll run from where the pieces lie
Altro vero e proprio capolavoro è la conclusiva Lacking. Se non fosse bastato il lavoro precedente ecco di nuovo Määttä e Saksala ad aprire il pezzo conclusivo di questa opera magistrale. Un clima claustrofobico si innalza dalle polveri, arrangiamenti evocativi vengono accentuati da una componente vocale quasi alienata, lontana dall’ascoltatore grazie all’attenta produzione. Le ipnotiche sonorità di Lacking fanno vivere un distacco corporeo, un distacco da cui non si può scappare se non affrontando dolori ben peggiori. Le immense urla di James qui raggiungono il vertice, le sue corde vocali sono messe a dura prova e aprono una sfuriata strumentale di rara bellezza, con un mini-assolo di basso perfettamente calzante. Il finale poi toglie il fiato, non si sa più dove ci si trova a conclusione di quest’ultima canzone.
I won’t lose control Must have control Will take control Will take it all
Change is on the horizon I’ll take it back
Tutto in questo disco grida a una liberazione irraggiungibile, tutto in questo disco grida alla qualità. Il primo lavoro dei Wheel non necessita ulteriori parole per essere descritto. Ogni elemento non risulta mai sottotono e complessivamente si registrano solo lievi cali d’ispirazione in un contesto spaziale. Un primo lavoro come se ne vedono pochi, in cui ogni sospetto dei precedenti EP viene smentito, ogni speranza confermata. Dalla produzione, alla copertina, alla sezione strumentale, alle liriche: tutto è pronto per farci vivere carnalmente un irrimediabile regresso nichilista.
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11
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Ascoltato oggi e preso immediatamente insieme al successivo. Gran bell’album, forti influenze dei Tool (concordo con chi dice che Wheel ricorda da vicino Ticks and Leeches) ma non così invasive: sound un po’ più muscolare e meno introspettivo. Per il voto ripasserò, per ora molto contento di averli scoperti. |
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10
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Li ho scoperti ascoltando Wheel che è, a mio avviso, un pezzo semplicemente pauroso, una ritmica da paura, inizio atmosferico, sviluppo mai prevedibile, mai noioso, mai inutilmente virtuosistico ma il tutto viene prestato generosamente alla resa stratosferica del brano.
Ci sento relativamente poco le influenze dei Tool o dei Soen, hanno un potenziale altissimo, speriamo si mantengano su questo livello. |
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9
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Sentiti e piaciuti, purtroppo nonostante siano molto bravi hanno un'aria un po' anonima, specie il cantante... |
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8
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Esattamente il disco del quale avevo bisogno aspettando i Tool. Esordio coi controcazzi...85!!!! |
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7
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Gran bel disco, con un'atmosfera molto particolare e una sezione ritmica da paura |
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6
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Album straordinario anche se c'è tanto dei Tool, soprattutto nella sezione ritmica. |
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5
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Un po’ Soen un po’ Tool (l’inizio di Wheel sembra quello di Ticks & Leeches) ma un lavoro nel complesso notevole per essere un debutto.A me me piasce |
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4
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Oh Gesu'...che gemma d'album , Cazzuti veramente........ |
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3
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Visti di supporto ai Soen, mi piacquero, lo sentiro’ |
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2
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Visti dal vivo di supporto ai Soen. Devo dire che, qualità dei suoni a parte, ciò che mi aveva colpito, in "negativo" era il timbro del cantante e una piuttosto evidente somiglianza con i Tool. Ascoltando il disco devo dire che l'impressione è stata decisamente migliore, ma i dubbi sulle vocals restano. Per essere un esordio, è sicuramente un gran lavoro, in ogni caso. |
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1
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Appena ascoltato sul tubo, incuriosito dalla recensione. Devo dire che il recensore ci ha visto davvero lungo, questo è un debutto veramente valido e interessante. Consigliato soprattutto per chi apprezza le sonorità di Tool e Mastodon. |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1.Vultures 2. Wheel 3. Tyrant 4. Up the Chain 5. Skeletons 6. Where the Pieces Lie 7. Lacking
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Line Up
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James Lascelles (Voce, Chitarra) Roni Seppänen (Chitarra) Mikko Määttä (Basso) Santeri Saksala (Batteria)
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