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19/04/24
DESPITE EXILE + LACERHATE + SLOWCHAMBER
BLOOM, VIA CURIEL 39 - MEZZAGO (MB)
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15/08/2019
( 620 letture )
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L’esordio dei canadesi Doan è un album che potrebbe piacere a tutti quei fan che attendono con grande trepidazione l’uscita del nuovo album dei Tool. Questo ho pensato la prima volta che ho finito di ascoltare Stupidity Kills nella sua interezza. Infatti il quartetto di Montreal, nato nel 2011 come cover band per poi dedicarsi alla produzione di musica inedita solo nel 2017, propone agli ascoltatori un disco compatto ed omogeneo, capace di spaziare dall’alternative metal maggiormente legato a sonorità anni ’90 – con gli Alice In Chains come ispirazione massima, soprattutto nei suoni delle chitarre – fino al prog metal di scuola Tool, fatto di tempi dispari e riff circolari, con una buona dose di psichedelia sapientemente dosata. La band non fa nulla per nascondere quelle che sono le proprie principali ispirazioni, questo è certo, ma è vero altresì che i Doan dispongono di un’arma preziosa nel proprio arsenale, ovvero la voce di Diane Thibault, la quale dona alle composizioni del gruppo un carattere decisivo che rende il disco meritevole d’essere ascoltato. Se infatti le basi strumentali dei brani dell’album non brillano per originalità (sebbene con qualche ottima eccezione), ci pensa poi la Thibault a ribaltare le sorti di un album che altrimenti sarebbe stato ignorato come tanti altri appartenenti a questo filone, che non hanno da offrire alcun tipo di novità agli ascoltatori. E’ così influente la componente vocale nei brani dei Doan, che le sezioni esclusivamente strumentali all’interno di tutto l’album sono ridotte al minimo; anche quando le ritmiche si fanno più complesse e le trame armoniche più stratificate – soprattutto per merito di un basso bello presente e fantasioso nelle sue frasi – la voce è sempre presente a guidare la band e le evoluzioni strumentali dei singoli brani.
Fin dall’iniziale Some Kind Of, brano dal ritmo sincopato che mette in risalto un riff in palm muting figlio di Adam Jones e un mood generale che spazia dal prog alla psichedelia acida tipica di gruppi come i Gong – con un ritornello che mette in campo melodie seriamente affiancabili a quelle della storica band canterburyana – ci si rende conto di quanto la voce sia importante nell’economia dei Doan: il timbro prevalentemente basso e cupo della Thibault si discosta nettamente da qualunque stereotipo di cantante femminile attualmente presente nella scena metal, evitando tanto il growl quanto gli acuti più spinti e preferendo invece uno stile a metà tra il canto e la teatralità, con intervalli e melodie complesse e non facilmente memorizzabili al primo ascolto. Una scelta, questa, che rende il sound dei Doan personale e riconoscibile e perciò la band decide di sfruttare la voce della propria cantante al massimo, forse fin troppo. Un brano ben congegnato come The Sheeps, ad esempio, avrebbe giovato di maggior respiro strumentale, mantenere invece la voce presente per tutto il minutaggio del pezzo è una mossa che rischia di affossarlo un po’. Riesce invece a sorprendere Step Back, proprio nella misura in cui gli ingredienti della proposta dei Doan si fondono e si bilanciano alla perfezione, permettendo al lungo brano di dipanarsi con il giusto slancio in tutto il suo potenziale progressivo. E così pure We Belong To, con il suo incipit à la U2 che inizialmente lascia straniati, ma che poi si trasforma in un lungo e tortuoso cammino psichedelico basato quasi unicamente su un unico riff martellante ed implacabile. La band si diverte anche ad omaggiare i Deftones e gli Helmet, rispettivamente su Madness or Reason e su False Reality, riuscendo più nel primo caso che nel secondo, grazie ancora una volta ad una prova vocale sopra le righe, ma perdendo un po’ di quella dose di personalità che emerge decisamente di più su altri brani. Chiude l’album The Sames, che regala un’altra buona dose di aggressività in salsa prog corredata da una melodia vocale che sfiora pericolosamente la stonatura – aspetto questo che si può notare anche in molti altri brani del disco e che fa un po’ storcere il naso al primo ascolto – ma che conclude il viaggio in modo positivo.
I Doan riescono a confezionare un buon esordio quindi, che mette in risalto una personalità abbastanza marcata, soprattutto per quel che riguarda la frontwoman della band e dei testi non scontati, che riguardano l’umanità e la sua crescente ignoranza e stupidità riguardo le tematiche d’attualità ed ambientali. A corredare tutto questo ci pensa poi la bella copertina realizzata dall’artista Roberto Garcia, che sfruttando un immaginario che ancora una volta rimanda ai Tool, riesce a descrivere in modo esauriente e preciso i temi contenuti nei brani di Stupidity Kills. Se i canadesi riusciranno ad affinare ancor meglio la propria proposta, scostandosi sempre più dalle influenze più ingombranti e riuscendo a dosare ancor meglio le proporzioni dei propri ingredienti vincenti, allora potremmo godere di una band davvero valida ed originale. Per adesso questo primo album getta delle basi interessanti. Aspettiamo i Doan al varco!
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Some Kind Of 2. Wrong Number 3. Step Back 4. The Sheeps 5. Madness Or Reason 6. We Belong To 7. False Reality 8. Happy Sobriety 9. The Sames
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Line Up
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Diane Thibault (Voce) Nicholas Roy (Chitarra, Flauto) Andre Labrecque (Basso) Olivier Roy (Batteria)
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RECENSIONI |
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