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21/03/24
KRASUE + ANTARES + WAH ‘77
FREAKOUT CLUB, VIA EMILIO ZAGO 7C - BOLOGNA
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13/09/2019
( 5231 letture )
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Quando un nome storico della musica rock (ma lo stesso discorso potrebbe essere fatto per altre forme artistiche: letteratura, cinema, ecc.) ritorna sulla scena con materiale inedito, la reazione può essere classificabile fra due estremi. Da una parte vi è chi esprime la sua soddisfazione per il comeback, e non si aspetta altro che una riproposizione più fedele possibile dei temi e degli stili che hanno portato al successo i propri beniamini nei decenni passati (personalmente, credo che nell’ambito rock/metal questo tipo di aspettativa sia in gran parte maggioritaria). Dall’altra, vi è chi invece aspetta (o spera) di trovare nuovi stimoli e nuove forme espressive da parte di chi ha l’esperienza, e il background, necessaria e sufficiente per poter provare qualcosa di innovativo (della serie: “non vi siete stufati di suonare le stesse cose da 20/30/40 anni?”). A maggior ragione ci troviamo di fronte a questo dilemma nel caso presente: gli Status Quo (nota a margine: c’è qualcuno fra i lettori che davvero non li conosce?) sono uno storico e celeberrimo gruppo rock inglese, attivo dal 1962 (sì, sono proprio 57 anni!) e divenuto famoso in tutto il mondo, oltre che per i numerosissimi album pubblicati (quasi 30, con circa 120 milioni di dischi venduti), per almeno due hit entrate di diritto nella discografia di chiunque abbia mai ascoltato un minimo di rock nella sua vita: parlo di Rockin All Over The World, e di Wherever You Want. Non solo: gli Status Quo possono essere considerati, in ambito “classic rock”, l’equivalente di ciò che, in ambito hard rock, sono gli AC/DC: cioè la classica band che si riconosce dopo cinque secondi di canzone, e due accordi, ma di cui, allo stesso modo, si fa fatica a distinguere un pezzo da un altro, tanto similari sono le strutture, gli andamenti e le sonorità. Quindi, tornando alla domanda iniziale: cosa hanno scelto i nostri eroi? Hanno seguito la strada maestra o si sono lanciati nelle impervie vie della novità e dell’incertezza?
Backbone è il primo album di inediti del quintetto inglese dal 2013, e viene alla luce in un momento particolare: nel 2017 è venuto a mancare il chitarrista e cantante Rick Parfitt, storica spalla del fondatore e leader Francis Rossi (unico superstite della formazione originale) sin dal 1967. Già da questi primi dati si può intuire che la prima necessità, in sede di composizione e finitura, possa essere stata consolidare le proprie certezze, e tranquillizzare i propri fan; se poi si osserva la struttura dell’album, troviamo dodici brani, la cui lunghezza è implacabilmente compresa fra i tre minuti e mezzo e i quattro minuti e mezzo. Se due indizi fanno una prova, qui ci aspetta un classicissimo album rock, senza nessuna sorpresa. La certezza arriva non appena le prime note iniziano a diffondersi nell’aria. Sono sempre loro: la tipica struttura in 4/4 pulsante e viva, i canonici 3-4 accordi di matrice blues su cui gira ogni pezzo, il coinvolgente boogie rock sostenuto da basso e batteria, su cui le due chitarre stendono i loro ficcanti riff intrecciati, i puntuali inserimenti rock n’ roll di piano e organo, la voce inconfondibile di Francis Rossi, che da cinque decadi ci fa compagnia. Nessuna ballad: i canonici mid-tempo dei nostri si alternano a pezzi più veloci, ritmati e incalzanti. Le uniche note “moderne”, se così si può dire, si ritrovano a livello di produzione: le Telecaster dei due chitarristi sono rese più “spesse” e più potenti rispetto ai dischi degli anni ’70 e ’80, e la sezione ritmica è più definita; ma è solo da questi particolari che si riesce a datare questo album al 2019, piuttosto che al 1979 o al 1985. Il disco è validissimo: ben suonato e cantato, ben scritto con una produzione assolutamente azzeccata; inoltre, cosa non da poco, questi brani sembrano perfetti per poter scatenare, in sede live, le note improvvisazioni strumentali che i nostri sono soliti inserire all’interno dei loro travolgenti spettacoli dal vivo. Nessun brano spicca in modo particolare, salvo forse Falling Off The World, davvero azzeccata nel riff e nei ritornelli; ma, allo stesso modo, nessuno si rivela minimamente scadente o noioso: Backbone è un disco che si gusta tutto d’un fiato, come una bibita dissetante nel pieno di un pomeriggio estivo.
Riconosciuto questo, e apprezzata una volta di più la capacità, che solo pochi grandi artisti hanno, di scrivere pezzi così semplici e così immediati, ma parimenti così maledettamente efficaci, rimane però un dubbio di fondo relativamente ad un’opera simile. Premesso che gli Status Quo hanno alle spalle una carriera tale da potersi permettere qualunque tipo di pubblicazione, e che, molto probabilmente, il vero scopo del disco è semplicemente avere a disposizione qualche pezzo nuovo da inserire nella scaletta dell’imminente tour europeo, chi sono i destinatari di questo album? Sicuramente i fan più accaniti, coloro che non possono perdersi neanche una nota dei propri beniamini, lo acquisteranno a scatola chiusa, e certamente lo apprezzeranno per la sua intrinseca validità; ma gli altri? Qui il discorso si fa più complesso. Chi conosce superficialmente la band, o ne ha sentito solamente i 2-3 pezzi più noti, per quale motivo dovrebbe preferire Backbone agli album che ne hanno decretato la fama ed il successo nella seconda metà degli anni ’70, o a un bel album live contenente i principali successi? Soprattutto considerando che non si tratta di un’opera a sé stante, all’interno della discografia della band, (come l’ultimo Western Stars nella discografia di Bruce Springsteen, per fare un esempio) ma di un disco esattamente nel loro stile canonico. Oppure, in altri termini: visto che le risorse a disposizione purtroppo non sono infinite, non è forse meglio, nel 2019, dare fiducia a qualche band giovane e, almeno in parte, innovativa (ce ne sono; poche, ma ce ne sono) piuttosto che scegliere un gruppo storico e immortale, ma che suona nello stesso modo da almeno 30 anni? Una risposta definitiva probabilmente non c’è, ciascuno sceglie secondo i propri gusti e le proprie personali inclinazioni; nel frattempo, io mi godo questi dodici proiettili rock n’ roll, perfetti per accompagnare un giro in moto con il sole in faccia, a gustarsi questi ultimi scampoli di estate.
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12
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Gran disco, sono riusciti anche senza parfitt a incidere un ottimo album. Dal voivo sempre spettacolari. L\'essenza del rock. |
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11
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Ottima band,per carita' ma-a mio modesto parere-ci sono band hard rock migliori;neon rose,Foghat,Bachman overdrive..purtroppo molte divqueste scomparse oppure costrette a restare in nicchia |
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10
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Bel disco. loro sono immortali. Classe da vendere. |
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9
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Ottimo album praticamente passato inosservato, band che ha fatto diversi vecchi lavori che meriterebbero di essere riscoperti, per ma hanno fatto anche una delle più tediose hits di sempre whatever, i Am Just supponsing |
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8
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Non ho questo disco, senza la coppia PARFITT/ROSSI...; è un peccato che sia l'unica cosa degli STATUS QUO! Dice bene Le Marquis de Fremont, oltre al loro Sound basilare che portò il R'n'B ad un nuovo livello (ricordiamo la notevolissima longevità della Band), le loro ben note coreografie on stage, saranno fondamentali x intere generazioni di Rockers e Metals. |
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7
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non concordo con il paragone tecnico con gli AC/DC visto che la struttura delle canzoni degli SQ e' certamente più basica, volutamente, rispetto ai pezzi degli AC/DC. Inoltre questi sono in giro da sempre, e da sempre sono EFFICACI, termine che dice tutto.
A chi e' destinato...... semplicemente a chi li ama. Credo che oggi ci sia spazio per tutti.... in più' questo lavoro e' molto bello.
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6
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@Le Marquis de Fremont: "La semaine prochaine, nous ne serons pas là à jouer du Jazz-Rock ou de la progressive. Ce qu nous sommes, c’est exactement ce que nous allons jouer sur scène ce soir. Compris?" Francis Rossi, Enfer Magazine, 1984 |
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5
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Mi sembra che già all'epoca, potevano fare quello che volevano perché Rossi era molto benestante e finanziava il tutto. Quindi, immagino che possano fare quello che vogliono anche adesso. Concordo comunque con Monsieur Lord Invader: erano noiosi e ripetitivi sui dischi ma veramente strepitosi dal vivo, dove "allungavano" i pezzi con eccellenti assoli. Li ho visti varie volte. Inoltre erano famosi per intrecciare le asce quando si esibivano e facevano "coreografie" divertenti. Au revoir. |
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4
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Posso scegliere una band giovane ed innovativa ed allo stesso tempo non posso rinunciare all' inconfondibile sound degli Status Quo. Comunque questo disco è bello. |
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3
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Il problema è che sono inarrivabili...e comunque erano già immensi 50 anni fa |
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1
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Ragazzi, diamo un caloroso e debordante bentornato al nostro Lord Invader, che da oggi torna a regalarci i suoi scritti in materia di hard rock e affini! |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Waiting For A Woman 2. Cut Me Some Slack 3. Liberty Lane 4. I See You’re in Some Trouble 5. Backing Off 6. I Wanna Run Away With You 7. Backbone 8. Better Take Care 9. Falling off The World 10. Get Out Of My Head 11. Running Out Of Time
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Line Up
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Francis Rossi (chitarra e voce) Richie Malone (chitarra) John 'Rhino' Edwards (basso) Leon Cave (batteria) Andrew Bown (tastiere e chitarra)
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RECENSIONI |
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