Per una vita l’horror anni ’60 mi ha rapito, regalandomi delle ore meravigliose rubate alle versioni di greco che, sinceramente, mi annoiavano un po’. Erano gli anni delle cassette VHS, del videoregistratore a basso prezzo (il mio era un tostissimo Nakamura) e la faccia glaciale di Vincent Price era quanto di meglio si potesse ammirare alle 3 del mattino, mentre a casa tutti dormivano. Andai in fissa per un mediocre filmetto dal titolo “La Tomba di Ligeia” che si limitava ad essere spettrale, non riuscendo ad essere horror, ma i primi piani di Vincent Price, per me, valevano l’oscar. De “La Tomba di Ligeia” provai anche a trovare il poster da appendere al muro della mia stanza, ma all’epoca, in assenza di Amazon et similia, l’operazione fallì miseramente. Il 13, si sa, è un numero particolare e i The Crown utilizzano tutta la forze evocativa di quelle cifre, approfittando del fatto che, nel 2003, davano alla luce il loro sesto album e, quindi, invece che limitarsi alle banalissime e diaboliche ripetizioni del numero sei, eccoli lì a piazzare un bel 13!
Dunque, la copertina di Possessed 13 è semplicemente meravigliosa. I The Crown l’hanno proprio azzeccata. La guardi e ti fa venire voglia di comprare l’album in vinile perché di quell’artwork resti una traccia più maestosa di quanto una misera copertina di CD sa donare. Parlare della grafica di un album può essere poco stimolante, tranne rari casi. Questo è uno di quelli. Il pericolo è che l’ascolto possa essere condizionato dal fatto che i tuoi occhi si sono innamorati di quella cover che guardi e rigiri tra me mani, mentre sei sempre lì, immobile, a domandarti quale suono, tra pochi istanti, sarà emesso dagli altoparlanti.
Venendo all’ascolto. Se la copertina di Possessed 13 è vintage, le dinamiche sonore lo sono in parte. Il loro sound è un classico thrash/death portato alla elevazione degli altari grazie alla potenza del mixaggio. Gli (ovviamente) tredici brani possono essere divisi in due tranches, i primi quasi tutti brillantemente eseguiti, magistralmente interpretati; un secondo gruppo -quello in chiusura di album- risente invece di un certo calo di tensione che scalfisce parzialmente la gustosità di quanto proposto. No Tomorrow parte con una puntina di grammofono che graffia i timpani e fa rimando alle tematiche care proprio al genere horror. Ha un impatto diretto, dirompente. Un taglio di rasoio è Face of Destruction–Deep Hit of Death, cruda e veloce. Il suono dei The Crown è una noce bruna, compatta e difficilmente penetrabile. Nessuna concessione ad aperture sonore di maniera, come nel caso di Deliverance, il perfetto brano trash, da fare ascoltare a scuola, ai bambini che intendono farsi crescere i capelli fino al culo. Alla voce torna, dopo una pausa, Johan Lindstrand, singer che dimostra tutta la padronanza che ci vuole per dominare i suoni crudi che fuoriescono da quelle chitarre distorte. Cold Is the Grave ha un inizio epico salvo poi snodarsi, inequivocabilmente, su un telaio di consueta graniticità, dote che ai The Crown non fa difetto. L’anno precedente, i nostri avevano inferto una mazzata micidiale con Crowned in Terror, ripetersi non era facile. Possessed 13 pur non raggiungendo il suo predecessore, si fa comunque apprezzare, attestandosi però qualche gradino al di sotto. I brani strumentali non li ho mai particolarmente graditi, tranne rare eccezioni, quelle rimaste nella storia. Anche nel caso di Dream Body Hell, il primo dei due brani strumentali presenti nel lavoro degli svedesi, nulla di rilevante. Dalla seguente Morningstar Rising la marcia riprende spedita, anzi forsennata nella evidente e perfettamente riuscita rincorsa alle sonorità blasfeme di Immolation e Slayer. Bow to None procede cadenzata e marziale, giusto il tempo di lasciare spazio ad un pezzo dal titolo quantomeno ingombrante, Kill’Em All. A parte il titolo, il brano è chiaramente “rubato” alle partiture dei Motorhead. Anche il cantato cambia per atteggiarsi ad essere quanto più possibile Lemmy-style. L’orgasmo riprende con la ultraspeed Natashed Overdrive in cui spiccano gli ottimi tempo-controtempo di mister Janne Saarenpaa. Dopo la pressoché anonima e brevissima Zombified, arriva il momento di Dawn of Emptiness, il pezzo più tecnico e più lungo (6:03). Dopo l’inizio ragionato, pur aspettandosi qualche furioso assalto all’arma bianca, il seguito rimane dannatamente ovattato. Un vero peccato perché in oltre sei minuti ci sarebbe stato spazio e tempo quale sortita meno tecnica e più dirompente. In chiusura i The Crown ci salutano con In Memoriam, altro brano strumentale. Anche qui, al di là della buona atmosfera doom, nulla di realmente apprezzabile; puro esercizio di stile.
Dunque, Possessed 13 dei The Crown è certamente un buon album, impeccabile all’inizio, meno brillante nella parte finale. Sugli scudi la produzione ed il mixaggio che riescono a riempire il vacuum di alcuni momenti poco grintosi.
|