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19/04/24
DESPITE EXILE + LACERHATE + SLOWCHAMBER
BLOOM, VIA CURIEL 39 - MEZZAGO (MB)
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(EchO) - Below the Cover of Clouds
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06/10/2019
( 1768 letture )
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Triste e senza consolazione il mito della ninfa Eco, usata da Zeus come copertura per intrattenere Era mentre lui adempiva alle sue consuete scappatelle, condannata per questo dalla furente Era alla perdita dell’uso della voce che avrebbe mantenuta solo per ripetere l’ultima parola che le veniva rivolta e, infine, cacciata con rabbia da Narciso, troppo innamorato di sé per darle la minima attenzione e quell’amore di cui avrebbe avuto bisogno. Convinta dell’impossibilità di trovare la felicità, la ninfa decise quindi di rinchiudersi in una grotta fino alla propria consunzione, lasciando dietro di sé quella voce oscura che le era rimasta, capace unicamente di ripetere l’ultima parola che le venisse detta.
Una storia e un nome che si prestano quindi perfettamente a fungere da monicker per una band che si prodighi nel malinconico e perfino disperante mondo del doom. Giunti al loro terzo album, i bresciani (EchO), non sembrano aver alcuna intenzione di tornare indietro ma, come un’onda sonora che senza ostacoli continua a propagarsi e allargare il proprio spettro, ecco che il loro nuovo album accresce ancora di più il contesto e le influenze di riferimento, uscendo quasi totalmente dagli stretti confini di genere. Formati nel 2007 e giunti al debutto nel 2011, con quel Devoid of Illusion che aveva fatto un vero e proprio botto nell’underground continentale, scomodando numi tutelari di alto livello (parliamo di Greg Chandler degli Esoteric, produttore e ospite sull’album) e che era stato poi bissato dal successivo Head First Into Shadows, uscito cinque anni dopo e con un cambiamento dietro al microfono, Fabio Urietti al posto di Antonio Cantarin, supportato da due ugole ospiti, come Daniel Drosde (Ahab) e Jani Ala-Hukkala (Callisto). Una conferma dello spessore internazionale della proposta degli (EchO) che, con questo Below the Cover of Clouds, vedono un Urietti saldamente al proprio posto, la mancata partecipazione di Simone Mutolo (tastiera dei primi due album) e la band lanciata verso una consacrazione che sarebbe lecito considerare dovuta e oltremodo meritata, oltre alla consueta partecipazione di ospiti.
Certo è che con Below the Cover of Clouds i cinque non vogliono rendersi la vita facile, tirando fuori un album lineare e dalla facile presa, ma insistono anzi aggiungendo ulteriori colori alla loro già ricca tavolozza, tanto che ormai parlare di doom metal appare decisamente fuori luogo. L’album è infatti spiazzante da questo punto di vista, senza per questo volersi far largo su orizzonti avantgarde. I brani sono infatti piuttosto lunghi, attestandosi in media sugli otto minuti, con una sola traccia sotto i cinque e una invece sopra gli undici. Ma non è la lunghezza a fare da protagonista, quanto piuttosto la capacità del gruppo di coniugare la tristezza e la rabbia proprie del genere, con influenze post metal, prog, psichedeliche, gothic, melodic death o vicine perfino al black, senza che questo sfoci mai nel temuto calderone senza capo né coda. La differenza quindi sta tutta nella qualità delle composizioni e delle melodie, ricercate non per ruffianeria, ma per esaltare l’anima dolente e fieramente devastata contenuta nei brani. Occorre prendersi del tempo per apprezzare le lunghe costruzioni strumentali e le complesse dinamiche ascendenti e discendenti che dominano letteralmente le sette composizioni di Below the Cover of Clouds e lasciare che sia la musica ad entrare dentro l’ascoltatore, invece del contrario, abbandonare ogni difesa e prepararsi ad essere colti dal pathos e dall’emotività delle soluzioni musicali. Pena, il non cogliere le sfumature che fanno la grandezza di questo album, le increspature, gli sbalzi di umore, perfettamente centrati dal duo chitarristico e dalla sezione ritmica ed espresse da Urietti con un growl possente che sfuma spesso in linee vocali in pulito. E’ come se i Paradise Lost e gli Anathema di inizio carriera si facessero cullare dai Pink Floyd e sognassero il proprio futuro e quello dei Katatonia o degli Swallow the Sun. Prendiamo l’opener (Y)our Warmth con una lunghissima introduzione arpeggiata, che sembra una versione gothic di Shine on You Crazy Diamond e solo dopo tre minuti e quaranta secondi apre al riffing vero e proprio del brano e al growl di Urietti, che libera tutta la potenza doom/gothic del brano, con refrain in pulito accompagnato dai fraseggi continui delle chitarre e dell’enorme basso in sottofondo. Poi tutto sfuma in una lunga coda nuovamente arpeggiata. Echi gothic e new wave invece raccontano Glimpses and Fear, dalla bella melodia nella strofa, che si trasforma nel growl decadente del refrain, con splendidi accompagnamenti di piano a spezzare la dinamica della sezione ritmica, per una parte centrale interamente strumentale sognante ed eterea. A questa continua alternanza tra parti strumentali sognanti e improvvise impennate dinamiche si deve gran parte del fascino dell’album, con ad esempio Culmine 2.18 interamente strumentale, dolcissima e maestosa al tempo stesso, nella quale troviamo ancora interventi di tastiera e piano, con un riff solenne e vicino al post metal a fare da fondale sul quale i musicisti dipingono poi le loro splendide tessiture, alla quale si contrappone una Blind Snow decisamente più aggressiva, pur senza rinunciare ad una parte cantata in pulito e ai ripetuti intermezzi strumentali, che lascia sfogo ad una parte praticamente black. Senza nulla togliere alla comunque bella My Burden, psichedelica e dai forti accenti floydiani, sia per il mellotron che per l’uso di una steel guitar, è sul finale che la band tira fuori il proprio meglio: prima The Ferryman, doom nella migliore tradizione senza dimenticare le ormai chiare direttrici dell’album e poi l’incredibile Awakening, che si gioca il ruolo di miglior brano del disco con la opener, sono composizioni di un livello superiore e raggiungibile solo dai grandi, sia per soluzioni che per intensità melodica.
Album ambizioso questo Below the Cover of Clouds, col quale gli (EchO) tentano con merito di fare un salto vero in avanti, continuando la progressione che da sempre ne caratterizza la proposta e lasciando le influenze primarie a fare da contorno alla personalità raggiunta della band. Siamo certamente di fronte ad un’opera complessa e che, vista la materia ribollente di cui si compone, necessita di diversi ascolti e attenzione, per evitare di perdersi nel mare di note e digressioni strumentali. Non che si debba necessariamente viaggiare seguendo una mappa: è bello anche lasciarsi semplicemente andare e album come questo invitano all’immersione. Ma il dolore sempre presente nella musica e nei testi degli (EchO) è talmente palpabile che comunque prima o poi lo schiaffo della realtà ci coglie, perfino impreparati. Album davvero bello e meritevole, che segnala il gruppo italiano ai massimi livelli continentali e non solo, pur distaccandosi sempre più dalla matrice propriamente doom, senza per questo rinunciare alla potenza del metal, come fatto da altri paladini del genere. Bravi, davvero molto bravi.
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5
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Ascoltato dal tubo, come suggerito. Il doom non mi scende, non c'è nulla da fare. Non mi piace il genere ma è certo che la caratura emerge, a livello dei nomi storici della scena (bello l'accostamento ai 3rd and the mortal). Vedo che commenti sono tutti molto positivi e spesso Simone risponde direttamente ringraziando. Ho letto le interviste, auguro fortuna a questi ragazzi, ovunque possano andarla a raccogliere. |
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4
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Dopo l'eccellente Head First into Shadows, questi strepitosi (Echo) si ripetono in questo disco. Musica di livello altissimo e che denota una grande capacità compositiva, oltre che dosatura pensata ed emozionante degli strumenti. Tra le migliori uscite in assoluto di questo 2019. (Y)Our Warmth e Awakening pezzi di una bellezza disarmante che gireranno a lungo sui miei device. Complimenti anche per la bellissima recensione. Chapeau! Au revoir. |
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3
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Costin Chioreanu, musicista ed autore di molti altri artwork fra cui "out of respect for the dead" dei Grave, altro gran bel lavoro. Qui però si è superato, quante cose diverse si riescono a vedere? Pazzesco... e leggo che i ragazzi della band non ne erano nemmeno troppo convinti?! eeeeeeeeeeeeeeeeeh? |
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2
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Ciao Skull: puoi leggere, se ti va, l'intervista relativa che trovi qua nella colonna di destra |
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1
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Lo stile grafico della copertina è notevole, davvero un bel lavoro.
Lizard non sono riuscito a scoprirlo da solo, diversamente non romperei le scatole... sai dirmi chi è l'autore per piacere? |
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INFORMAZIONI |
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BadMoodMan / Soiltude Productions
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Tracklist
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1. (Y)our Warmth
2. Glimpses and Fear
3. Culmine 2.18
4. Blind Snow
5. My Burden
6. The Ferryman
7. Awakening
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Line Up
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Fabio Urietti (Voce)
Mauro Ragnoli (Chitarra)
Simone Saccheri (Chitarra)
Agostino Bellini (Basso)
Paolo Copeta (Batteria)
Musicisti Ospiti
Eduardo Ocampo (Tastiera sulle tracce 1, 2, 6)
Francesco Genduso (Chitarra acustica)
Nino Zuppardo (Batteria su traccia 2)
Manuel Vicari (Cori su traccia 1)
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