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TRAFFIC CLUB, VIA PRENESTINA 738 - ROMA

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TRAFFIC CLUB - ROMA

Pinewalker - Migration
20/10/2019
( 1680 letture )
Vi sono due corpi: quello rudimentale e quello completo, corrispondenti alle due condizioni del bruco e della farfalla.
Ciò che noi chiamiamo morte non è che la dolorosa metamorfosi.
La nostra incarnazione presente è progressiva, preparatoria, temporanea.
L’incarnazione futura è perfezionata, ultima, immortale.
La vita ultima è lo scopo supremo.
(Edgar Allan Poe – "Racconti straordinari")


L’intera storia dell’umanità può essere rappresentata e trovare un proprio senso partendo dalla storia dei movimenti migratori. Quasi ogni fenomeno storico rilevante ha infatti origine o trova appiglio in una o più contestuali migrazioni. Il dibattito odierno tende a identificare questo come minaccia, addirittura come manovra ordita per un fine ultimo. Complottismi e assurdità a parte, è indubbio che sin dall’avvento dell’homo sapiens sapiens su tutto il pianeta, la storia dell’umanità è una storia di spostamenti, alla ricerca di risorse o in fuga da qualcun altro.
I Pinewalker sono un gruppo che proviene dallo Utah, precisamente da Salt Lake City, formato da cinque compagni di scuola decisi a fare qualcosa di più nel fine settimana che guardare assieme il football in tv o complottare un furto di biancheria femminile nei dormitori del campus. E’ così che dopo cinque anni dalla loro fondazione, i Pinewalker decidono di uscire dal piccolo circuito locale e nazionale che si sono andati costruendo, con la realizzazione di un album autoprodotto e distribuito a livello internazionale attraverso le piattaforme digitali, in attesa di arrivare ad una pubblicazione fisica vera e propria. L’album, dal titolo Migration, si fonda su un concept piuttosto forte e affatto facile da rappresentare senza scadere in cliché tremendi o persino superficiali e offensivi: il dolore e il senso di smarrimento causati dalla perdita di persone care in seguito a malattie come il cancro o i tumori.

La scelta del concept è quindi simbolicamente raffigurata già dalla bella copertina dell’album, con una farfalla (o forse una falena), da sempre animale strettamente legato al concetto di trasmutazione dell’anima che abbandona la condizione precaria del proprio corpo imperfetto -il bruco, ovverosia il corpo umano- e da crisalide si trasforma in farfalla -l’anima, la dimensione perfetta e definitiva. La migrazione del titolo non è quindi quella dei popoli, ma quella appunto dell’anima, che si allontana dal corpo e dalla precedente condizione ad esso legata, verso l’immortalità della trasformazione continua, come la farfalla che non invecchia e non mangia nel suo breve volgere di vita, ma pensa unicamente a lasciare nuove forme di vita dietro di sé, in un circolo che non si interrompe mai. Un concept del genere non poteva che nascere da una controparte musicale altrettanto significativa e pregnante e, in tal senso, i Pinewalker non potevano che scegliere il genere che più di ogni altro ha legato al suo proprio nome il concetto di "destino" e "inevitabilità del fato". Diremo per comodità che la band si rifà agli stilemi dello sludge di scuola Crowbar, ma la verità è che questo è essenzialmente il punto di partenza per un viaggio che si addentra tanto nel doom classico quanto nel post metal, andando a scavare l’essenza stessa del genere e le sue ultime derivazioni. Non mancano quindi i riff sabbathiani, che anzi abbondano, come non mancano il growl atonale e straziato e le lunghe divagazioni strumentali cariche di noise e strutture aperte. Tre sono i chitarristi che si occupano di sviluppare le parti strumentali e gli intrecci melodici, come anche a turno si occupano delle parti vocali, garantendo una certa varietà che può passare da un growl profondo ad uno di scuola hardcore, per giungere ad un più classico cantato ruvido e caloroso, quasi bluesy. A farla da padrone sono ovviamente comunque le parti strumentali e, in effetti, è anche difficile ricordare un solo refrain alla fine dell’ascolto, mentre non sarà affatto difficile ricordare invece i singoli brani per le diverse sfaccettature proposte. Naturalmente con tre tracce su sette di durata superiore agli otto minuti e solo tre inferiori ai quattro, il rischio che in qualche momento la band spinga il pedale sull’autoindulgenza esiste e non sempre gli sviluppi appaiono assolutamente necessari e indispensabili, ma è rara la sensazione di noia e la perizia strumentale, come l’aggressività sciorinata in più occasioni e in particolare nella quasi thrash Burning Earth, aiuta e non poco a portare a casa l’ascolto senza sbadigli. Non c’è un solo brano che non risulti interessante per un motivo o l’altro, così se l’opener Sentinel con la sua mutevolezza e la bella soluzione melodica di apertura resta impressa da subito, la successiva Bone Collector appare come sentito omaggio ai Black Sabbath. Di Burning Earth abbiamo detto e quindi passiamo direttamente al bellissimo arpeggio che apre Maelstrom, poi assolutamente degna del titolo, per la capacità di evocare tempeste e gorghi marini. Spettacolare anche la parte solistica di Self Vs. Self, ma i due brani più interessanti sono però, assieme a Sentinel, la lunga e vagamente seventies Space Witch, che assume quasi caratteri psichedelici e nella quale fa la sua comparsa anche una chitarra classica e la conclusiva The Thaw che invece mette in pista anche qualche evidente influenza heavy classica aggiungendo ingredienti alla ricca pietanza.

Chiaro invito a cercare consolazione per la dipartita degli amati nel pensiero del loro essere giunti ad un livello superiore di vita e coscienza o piuttosto nel trovare posto in un circolo di vita che non si esaurisce con l’esperienza appena vissuta, Migration è un disco di buonissimo spessore che farà felici tutti gli appassionati del genere e che risulta comunque apprezzabile anche per chi invece non mastica sludge tutti i giorni, proprio per il suo essere aperto a notevoli influenze e per la buona diversificazione dei brani. La lunghezza media non è di ostacolo viste le soluzioni strumentali mostrate e il livello tecnico più che soddisfacente. Certo non tutto è allo stesso livello e qualche volta si ha la sensazione che i Pinewalker possano e debbano crescere molto, anche nel trasmettere le emozioni che la propria musica vuole suscitare. C’è molta carne al fuoco e così non tutto è definito, ma c’è anche tanto talento e, pur parlando di una autoproduzione, tutto è curato nei minimi dettagli e non fa rimpiangere una edizione professionale. Da tenere d’occhio e già adesso in grado di dire la propria questi Pinewalker. Dategli un ascolto.



VOTO RECENSORE
77
VOTO LETTORI
71.33 su 3 voti [ VOTA]
SkullBeneathTheSkin
Mercoledì 8 Gennaio 2020, 12.56.36
3
I tre brani più corti non mi dispiacciono affatto, negli altri devo dire che mi annoio... li trovo un po' troppo "doomeggianti" per i miei gusti... ma indubbiamente sono bravi.
Muki97
Sabato 7 Dicembre 2019, 13.46.24
2
Non male davvero!
Galilee
Giovedì 24 Ottobre 2019, 20.24.02
1
Davvero bravi. E gran copertina. Questo devo recuperarlo.
INFORMAZIONI
2019
Autoprodotto
Sludge
Tracklist
1. Sentinel
2. Bone Collector
3. Burning Earth
4. Maelstrom
5. Space Witch
6. Self Vs. Self
7. The Thaw
Line Up
Tarran Mead (Chitarra, Voce)
Jason Kennington (Chitarra, Voce)
Sam Roe (Chitarra solista, Voce)
Ethan Jentzsch (Basso)
Nate Perkins (Batteria)
 
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