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Kelly Carmichael - Heavy Heart
01/11/2019
( 1264 letture )
Il classico disco che passerà inosservato a beneficio di produzioni più grandi e più capaci di attirare l’attenzione, che non hanno però metà del contenuto che invece straripa in questo Heavy Heart. Lo spettacolo che va in scena d’altra parte è opera di un musicista e compositore che non ha mai calcato le grandi arene, anche se è di un veterano che stiamo parlando. Kelly Carmichael è infatti il chitarrista dei doomsters del Maryland Internal Void, attivi già dal 1987 e con quattro album alle spalle a partire dal 1992 ed è stato per anni il chitarrista anche dei leggendari Pentagram, con i quali ha realizzato l’ottimo Show 'em How assieme ai compagni di band Adam Heinzmann e Mike Smail (a sua volta, ex Cathedral). Parliamo in sostanza di un musicista che ha attraversato l’epoca d’oro del doom metal essendone protagonista, pur senza raggiungere mai quel livello di attenzione che sarebbe forse stato auspicabile. D’altra parte, per sé ha sempre lasciato che fosse la musica a parlare, più che ricercare particolari attenzioni ad effetto e questo, nel carrozzone del rock mondiale, ha paradossalmente sempre rappresentato un limite più che un vanto. Fondatore della etichetta Dogstreet Records, ha scelto questo canale per rilasciare tanto le ultime pubblicazioni a nome Internal Void, quanto le proprie uscite da solista, che con il presente Heavy Heart arrivano a tre. Aiutato da numerosi amici ed ospiti e dal batterista Jesse Shultzaberger, Carmichael ha realizzato un album che, piazzato sul finale d’anno, rischia di diventare una delle migliori uscite di genere e non solo.

Come da lui stesso spiegato, Heavy Heart nasce da un sogno che lo ha portato alla composizione di Shadows Will. Il brano però non si adattava al resto del materiale sul quale il chitarrista stava lavorando ed ecco quindi la necessità, per non perdere l’ispirazione che si era oniricamente materializzata, di realizzare un intero disco che potesse essere ispirato dalle stesse coordinate musicali di quella canzone. Già questa genesi ci aiuta molto a capire lo spirito che anima Carmichael e queste otto canzoni. Si tratta, per entrare più nel dettaglio del disco, di un curioso quanto bilanciato ritorno a sonorità settantiane, che uniscono il doom primordiale ad influenze prog, folk, rock e psichedeliche, che non disdegna in qualche caso un utilizzo intelligente di strumenti quali piano e violino, i quali ben si combinano alle strutture complesse, lunghe e articolate delle canzoni e danno un respiro ancestrale ed esoterico alla polverosa quanto evocativa musica contenuta in Heavy Heart. I brani si attestano infatti quasi sempre sui sei minuti di lunghezza e sono caratterizzati da numerosi ed interessanti cambi di umore e atmosfera, con i quali si passa da riff catacombali a intrecci chitarristici di indubbio pregio, sezioni strumentali ispirate e ricercate, melodie ben congeniate e funzionali ai pezzi, con la voce di Carmichael che sembra l’incrocio perfetto tra Ian Anderson (Jethro Tull, of course) e l’amico Bobby Liebling. Evidente naturalmente la vena sabbathiana di tutto il lavoro, ma non è da sottovalutare anche la vicinanza in qualche caso all’approccio personale ed eretico di Wino e dei suoi The Obsessed, come anche l’omaggio al blues, al rock classico e alla scena prog inglese dei primordi. Difficile citare un brano piuttosto che un altro, ma certo il fascino dell’opener e traccia ispiratrice dell’intero disco Shadows Will, con il suo alternarsi onirico di parti più dure e doom ed altre ricercate ed arpeggiate, è indubbio. Un piccolo capolavoro. Ma già la successiva Desires Tragedy con il mutare dell’approccio ed il retrogusto sabbathiano epoca Vol. 4/Sabbath Bloody Sabbath colpisce altrettanto profondamente. Bellissima Soupers che introduce appunto violino e piano e regala una melodia che fa colpo e, grazie all’ottima "imitazione" andersoniana di Carmichael, sembra davvero un pezzo sconosciuto dei Jethro Tull. Altro centro pieno. Ma come detto, ogni traccia ha una sua identità e così la seguente The Palmist è un perfetto incrocio tra The Obsessed e Pentagram, mentre The Way She Heals riesce ad offrire una gran bella melodia e si candida a singolo perfetto. The Vine of the Soul è forse la traccia che meglio rappresenta l’intero disco, col suo alternarsi tra doom e hard rock psichedelico e il cantato evocativo. Molto divertente anche la commistione tra Black Sabbath e Trouble in Starless Divine. Infine, la titletrack, che unisce blues, rock e doom e regala l’unico lungo assolo di Carmichael rappresenta la chiusura perfetta di un gran bel disco.

A Heavy Heart non manca niente per intrattenere con grande soddisfazione un qualunque amante di sonorità hard rock e doom o più in generale un qualunque amante di sonorità settantiane. Kelly Carmichael si dimostra ancora una volta musicista capace di mettere in secondo piano il proprio ego strumentale e dare invece ampio respiro ad un’ispirazione fertile e personale, che prende dai maestri del genere con l’esperienza di chi suona questa musica da sempre, senza però limitarsi al compitino del copia/incolla, ma cercando anzitutto la qualità del brano e una propria interpretazione dei testi sacri. Nel complesso di un disco variegato quanto ben realizzato, non sembra mancare niente, se non forse qualche traccia che vada diretta al punto e di maggior impatto. L’approccio tutto sommato rilassato, dilatato e policromo utilizzato in tutte le tracce, infatti, manca forse appena di una maggior concretezza ritmica. Altrettanto forse per qualcuno potrà risultare poco incisiva la parte vocale di Carmichael, sempre in pulito e sempre ben lontano da asperità. Ma si tratta appunto di aspetti che attengono al gusto personale, più che alla qualità davvero ottima delle tracce. Il vero e unico rimpianto è che questo disco sarà quasi certamente tesoro dei pochi che alla facciata preferiscono la sostanza e che sanno riconoscere il valore di musicisti come questi, che al genere hanno votato l’intera esistenza e lo interpretano a livelli altissimi.



VOTO RECENSORE
79
VOTO LETTORI
61 su 3 voti [ VOTA]
duke
Venerdì 1 Novembre 2019, 22.11.38
1
...la recensione mi ha incuriosito...lo cerchero'....
INFORMAZIONI
2019
Dogstreet Records/Plastic Head Distribution
Doom
Tracklist
1. Shadows Will
2. Desires Tragedy
3. Soupers
4. The Palmist
5. The Way She Heals
6. Vine of the Soul
7. Starless Divine
8. Heavy Heart
Line Up
Kelly Carmichael (Voce, Chitarra, Basso)
Jesse Shultzaberger (Batteria)
 
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