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21/03/24
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Phil Campbell - Old Lions Still Roar
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15/11/2019
( 2637 letture )
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Quando si parla di Motörhead il vero rocker si toglie anche la canottiera, in segno di rispetto. Phil Campbell ha bazzicato la formazione di Lemmy per ben 31 anni, risultando il membro con la più lunga militanza nella band solo inferiore, ovviamente, al compianto bassista, cantante e simbolo immarcescibile del metal. Poi il chitarrista gallese si è guardato attorno e ha deciso di continuare a scardinare i suoi ampli, producendo musica tutta per se, e per i suoi fan. Due EP e un disco con i The Bastard Sons poi, finalmente, il vero debutto solista pienamente a suo nome, con un titolo che la dice tutta sul non volersi arrendere al tempo che fugge dal battipenna. E dalla configurazione artistica recente si è portato dietro i figli Todd Campbell (guitar/harmonica), Dane Campbell (batteria) e Tyla Campbell al basso. Old Lions Still Roar è un disco di 10 tracce, infarcito di ospiti di immenso rilievo e prestigio, una sorta di parata di grandi stelle del hard/metal di ogni tempo. Troviamo all’interno di questi solchi divinità come Alice Cooper, Rob Halford, Dee Snider, Mick Mars, Joe Satriani, a guardarlo da distante sembrerebbe il super cartellone di un mega festival estivo, invece no, sono tutte parti vive di questo debutto solista del chitarrista in questione. Con contributi importanti di tanti altri ospiti in scaletta. Un full length “ruggente per vecchi leoni” che mostra una vena compositiva variegata e d’impatto, solcando pezzi rocciosi e acuminati, passando per frammenti dal sapore country, ballad dolci e succose, senza tralasciare frammenti hard rock tosti ed eretti.
Chi si attende una partenza al fulmicotone rimarrà seduto, Rocking Chair, infatti, con Leon Stanford (The People The Poet) alla voce è un’infornata soffice iniettata di blues, una song d’atmosfera con tanto di slide guitar e singing caldo e avvolgente, con piano e acustica che comandano le operazioni: la riuscita è indubbiamente d’effetto senza l’impatto roccioso che ci si poteva attendere come opener. Straight Up vede dietro il microfono sua maestà Rob Halford (vorrete mica che ne indichi la band di provenienza per caso?), ne esce fuori una stilettata zigrinata dei vecchi tempi, con la voce che va in simbiosi con l’andamento grezzo e ruvido della stesura, la guitar punteggia ogni nanosecondo, ottimo il solo che ritinteggia l’anima heavy, un brano riuscitissimo che farà scendere qualche stilla di sudore a chi ha vissuto, in prima persona, lo spirito della NWOBHM. Faith In Fire è malvagia, focosa, darkeggiante, la voce cupa, profonda e roca di Ben Ward (Orange Goblin) svolge un ottimo lavoro, le 6 corde sono pressofuse con 89 tonnellate di ghisa: micidiale il break centrale che spara fuori un nuovo riff metallico che morde i tendini e fa deflagrare un solismo zampillante scintille, uno dei top dell’intero lavoro. Una track piacevolmente opprimente per chi ama questa musica. Swing It fa scattare l’ora del trucco a ragno di Alice Cooper. Riff deragliante, linee vocali solforiche, ritornello frenetico, ritmi indiavolati, pezzo di esemplare lignaggio che tracima, senza poter tenere a freno strumenti e vocalità; la chitarra di Phil è ovunque! Left For Dead interrompe il clima di clangore squillante con la voce fantastica di Nev MacDonald (Skin) che interpreta magnificamente una ballad elettrica, ispirata e scritta alla perfezione, gli svolazzi solistici sono colmi di gusto ed enfasi, sposandosi con il registro vocale di un grande cantante che, in alcuni tratti, somiglia a Johnny Gioeli degli Hardline. Walk The Talk torna a battere il sentiero impervio insieme a Danko Jones e Nick Oliveri (Queens Of The Stone Age), una slameggiata pesantissima dove il lavoro dell’ascia appare magistralmente potente con punte di acidità lisergica, una mazzata terribile con la batteria che picchia selvaggiamente, mentre la voce catrama paesaggi visionari. These Old Boots è hard rock puro con l’entrata a piè pari di Dee Snider (Twisted Sister) ma anche di Mick Mars, (Mötley Crüe) e Chris Fehn (Slipknot) e risulta essere il primo singolo estratto, accompagnato dall’uscita del videoclip. Le chitarre tuonano, la batteria pressa con tanto di campanaccio in evidenza, una scheggia anni ‘80, plasmata per l’ugola di Snider che sale in cattedra e sguaina conosciutissime corde vocali stentoree e aggressive. Campbell in persona ha tenuto a precisare che ogni singola traccia del disco è stata cucita appositamente su misura, per essere proposta agli artisti che l’hanno poi interpretata, un colpo di classe che conferisce entusiasmo e resa ottimale al suo songwriting. Dancing Dogs (Love Survives) è una scheggia pienamente alternative metal con Whitfield Crane (Ugly Kid Joe) al microfono, pestata e dura il giusto, mentre il finale si rivela più docile e morbido, apparendo dietro un trasparente illuminato. Dead Roses si palesa come un’abbagliante ballad pianistica, nella quale lo stesso Phil accompagna ai tasti d’avorio la voce di Benji Webbe (Skindred) e dove compaiono coralità setose molto ben incuneate nel contesto, poi il finale vero e proprio con la cura introspettiva di Tears From A Glass Eye, brano strumentale di appena due minuti e 41, con le corde del nostro che duettano con quelle di un maestro universale come Joe Satriani; ne esce fuori uno scampolo acustico assai suggestivo, da colonna sonora, con melanconici accenti.
Un disco di grande spessore, ben orchestrato, scritto ancora meglio, sicuramente eterogeneo nelle sfumature e nei generi, ma questo fattore, alla lunga, appare una carta vincente. La chitarra di Phil Campbell si dimostra sempre in forma smagliante, fremente, ottima nella scrittura, nelle ritmiche e nei soli potenti, frizzanti. Il nostro aveva bisogno di pubblicare un ellepì di questa portata, dove convivono diverse anime sonore ma tutte con una matrice ferma e indissolubile: l’amore viscerale per la musica rock. Uno dei migliori dischi usciti in questo 2019 che sta andando a terminare, pollice altissimo per un’icona che continua a ruggire. Senza intenzione alcuna di smettere.
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9
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X il rispetto dovuto al compagno di una vita di LEMMY, prima di commentare gli ho riservato diversi ascolti. Premesso che come Musicista, PHIL CAMPBELL non ha niente da dimostrare (guardatevi Whorehouse Blues nel Live XXX), considero anch'io il presente lavoro, troppo eterogeneo x accontentare tutti nella sua interezza. X accontentare tutti, sovente, si finisce x non accontentare nessuno. Dal mio punto di vista parte alla grande, poi è sempre un piacere ed un privilegio poter ascoltare il Metal God, Poi ancora immortali ALICE COOPER, o il nostro portavoce in tribunale (DEE SNIDER), ed è vero che i pezzi sono stati cuciti su misura x i vari Guest. MICK MARS, come al solito, grande stile, ma minimo sindacale. X il resto poco altro, con alcuni pezzi che non digerirò neanche tra mille anni tipo la 3, la 6, e la 8, e trovo un po' stucchevole anche la 9. L'ultima, infine, bella, ma l'avrei preferita su uno degli ultimi dischi di PINO DANIELE, che l'avrebbe fatta meglio, essendo + sua che loro. Credo comunque che PHIL CAMPBELL l'abbia fatto + x divertimento, che x un mercato che, alla fine, nemmeno esiste +. |
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8
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Concordo con gli ultimi commenti. Trovo questo lavoro molto nella media, non brutto ma non lascia il segno. 70 |
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7
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Frankiss, gli hai dato 82, caspiterina generoso come voto che dici? È addirittura meglio di Overkill e Orgasmatron!! Io il disco l'ho ascoltato per ora solo una volta, e non ho trovato ancora il tempo o la voglia di fare il secondo ascolto. Comunque tutto questo capolavoro non è, anzi molto forse troppo eterogeneo. La prima traccia comunque è il vero capolavoro, lato testi. |
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6
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Lavoro più che discreto. Come tipologia di disco lo accosterei al primo di Slash: un album molto eterogeneo, dove vengono proposti canzoni con un sound diverso a seconda del cantante, ma quello di Slash è nettamente superiore.
Ottime le canzoni con Alice, Snider e Crane (anche se quest'ultima ha il riff uguale ad un'altra canzone di cui sono ore che mi arrovento per ricordare ma non ci riesco..), altre buone altre cosi cosi.
Uno di quei dischi che gli aficionados compreranno ma per il sottoscritto può stare bene negli scaffali, tanto, penso, è un disco che tra un po' nessuno ricorderà... |
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5
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dai 3 pezzi ascoltati, darei 90. devo ,però, sentirlo tutto.
comunque grande Phil \m/ |
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4
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Ma c'e' anche Mark King dei Level 42? (Personalmente, mi piace "assai").
Sono curioso anch'io...
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3
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Sembra davvero allettante; e dire che dei guest annotati ne conosco pochissimi. Ma tutta questa partecipazione, e la recensione che parla di pianoforti, opener Blues, chitarre acustiche, sapori Country ..., non fa che confermare quello che ho sempre sostenuto: PHIL CAMPBELL era un chitarrista di assoluto livello ed un gigantesco professionista, a servizio di una delle + grandi Icone Musicali mai esistite. Oggi che è libero dal vincolo professionale che lo legava al suo amico LEMMY, e ad un logo impegnativo come quello dei MOTÖRHEAD, può sbizzarrirsi come meglio crede, in un contesto familiare che, non sempre, ma dovrebbe favorire la spontaneità e la creatività. Dopo aver letto la rece, non vedo l'ora di ascoltarlo. |
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2
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Ah però, che recensione entusiastica. Sono proprio curioso. Dal tripudio di partecipanti non ci si può che aspettare un qualcosa di goloso. |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Rocking Chair 2. Straight Up 3. Faith In Fire 4. Swing It 5. Left For Dead 6. Walk The Talk 7. These Old Boots 8. Dancing Dogs (Love Survives) 9. Dead Roses 10. Tears From A Glass Eye
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Line Up
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Phil Campbell (Chitarra, Basso e Piano) Todd Campbell (Chitarra) Tyla Campbell (Chitarra e Basso) Mick Mars (Chitarra) Joe Satriani (Chitarra) Leon Stanford (Voce) Rob Halford ( Voce) Ben Ward (Voce) Alice Cooper (Voce ) Nev MacDonald (Voce) Danko Jones (Voce) Dee Snider (Voce) Whitfield Crane (Voce) Benji Webbe (Voce) Nick Oliveri (Voce e Basso) Will Davies (Basso) Tim Atkinson (Basso) Chuck Garric (Basso) Mark King (Basso) Danny Owen (Tastiere) Batteria: Dane Campbell (Batteria) Robin Griffith (Batteria) Ray Luzier (Batteria) Chris Fehn (Batteria) Matt Sorum (Batteria)
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