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26/04/24
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Ray Alder - What The Water Wants
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10/12/2019
( 2073 letture )
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Prendersi l’intera responsabilità di un’opera artistica non è un’azione da compiere con leggerezza e Ray Alder lo sa bene. Membro della storica band progressive metal Fates Warning, ha alle spalle la pubblicazione di due album sotto il nome di Engine che si avvicinano all’idea di progetto solista ma che ancora venivano visti dal musicista come “band thing”. I tempi non erano ancora maturi. L’incontro fatale avviene su una metro di Madrid: Ray Alder discorre con il bassista dei Lords Of Black e viene così a scoprire che il chitarrista di questa band, Tony Hernando, è un grande ammiratore dei Fates Warning. Organizzata una birra tra i due artisti, inizia la collaborazione per attuare i piani di Ray Alder. La scrittura dei pezzi però impiega più tempo del previsto, così diviene necessario il contributo di un altro membro: entra allora in scena Mike Abdow, chitarrista durante i tour dei Fates Warning che ha uno stile compositivo totalmente differente rispetto a Hernando. Complessivamente, i due chitarristi inviavano la musica a Ray Alder il quale poi creava i testi e le linee melodiche. Il disco bilancia atmosfere più harsh e alcune maggiormente placide, il che riflette anche l’approccio vocale del frontman, cuore e mente del progetto.
What The Water Wants inizia con Lost, brano che esplora scenari prog rimanendo comunque compatto e intuitivo. La tecnica non è sbavata, i riff sono molto diretti ma fini, curati. Compattezza non è qui ovviamente sinonimo di monotonia: il ritornello racchiude una grande potenza canora ma al contempo accordi un pochino dilatati, mentre durante le strofe ci si concentra maggiormente sui dettagli mantenendo il groove. La struttura è coerente, i passaggi molto interessanti e facilmente assimilabili. La seconda traccia, Crown Of Thorns, è uscita insieme al videoclip nel canale YouTube di InsideOut Music qualche settimana prima della pubblicazione dell’album. L’inizio è ipnotico, il giro di basso si ripete imperterrito e poi si fondono a poco a poco gli altri strumenti. La batteria segue bene le dinamiche del brano ed è molto nitida. Il testo avanza immagini molto evocative con sfumature quasi impercettibili che garantiscono una narrazione pulita ed efficace nella sua razionalità. Anche Some Days procede scorrevolmente, più canonica ma comunque ricca di spunti interessanti: le chitarre si intrecciano deliziosamente e valorizzano la voce dal vario registro. Sul versante progressive metal si colloca Shine, la cui parte armonica si può definire preponderante. Le chitarre distorte risuonano accentuate, oscillanti tra il grave e l’acuto dei riff o delle note d’abbellimento. I suoni si dischiudono univocamente, talvolta come per dare il giusto spazio per la metabolizzazione delle forti frasi che vengono enunciate nel corso della canzone. Palm muting, sonorità piene, irruenza sono gli elementi che qui inseriti coronano la molteplicità di quest’album. Under Dark Skies contiene tratti atmosferici che richiamano in alcune parti -è un po’ un azzardo ma per certi versi calza- un mood stoner metal. Il ritornello smorza questa impressione, ma le strofe la rinforzano: il basso è molto solido, la voce tiene lunghe note. Le chitarre sono atemporali, e sognanti in un deserto notturno con le sue complessità. A Beautiful Lie incalza donando ancora un tocco metal al disco, un metal che non ha bisogno di contesto per essere categorizzato, che si rivolge universalmente e viene percepito senza filtri. L’assolo virtuoso si staglia su ritmiche piacevoli nella loro linearità. Si avverte una certa familiarità esperienziale col brano fin dal primo ascolto, in un’agnizione che lo rende quasi nostalgico. La settima traccia, The Road, di cui esiste anche una versione acustica nell’edizione limitata di What The Water Wants, si distacca per alcuni aspetti dal sound caratterizzante i precedenti brani e si pone su un piano meditativo, con elementi elettronici e larghi fraseggi di chitarra che interloquiscono con l’ascoltatore. Accade che gli accordi suonino oscuri a discapito della pace che traspare altrove, creando così un curioso gioco d’inquietudine spennellata a sprazzi, vivacemente. Wait esordisce graffiante e tormentata, ripristinando le coordinate metal. Le chitarre arpeggiano molto velocemente, la voce ritrova aggressività e l’headbanging sorge spontaneo, ricevuto l’impulso della ritmica che lo chiama con naturalezza. La chiusura contrappone nel giro di pochi secondi due componenti differenti tra loro, quasi un dualismo molto ravvicinato nel tempo, l’unione tra opposti riconciliata. Il penultimo brano, quasi title track viste le lievi variazioni di parole, si intitola What The Water Wanted ed è uscita ad agosto accompagnata da un lyric video. Le chitarre restituiscono l’idea dell’acqua che scorre, mentre compaiono riflessioni esistenziali che osservano la morte e si interrogano immerse in un fiume sulla sua natura e gli aneliti e sconvolgimenti umani. L’impatto è assolutamente forte e si rivela un brano molto denso. L’ultima canzone, The Killing Floor, è malinconica ma senza dissolvimenti o perdita d’organicità: racchiude svariate caratteristiche delle tracce precedenti e le partorisce conglobate nella sua unicità. La struttura è comunque rettilinea, il tutto è calibrato e la crudezza suona in ogni caso limata anche se originale, non appiattita. Si susseguono inevitabilmente miriadi di immagini mentali, l’alternarsi di stati di moto e quiete: epilogo più che dignitoso per l’album.
Quale esordio solista, What The Water Wants si difende notevolmente: il mixaggio è ottimo, la qualità rispetta le aspettative che inevitabilmente sorgono quando si pensa ad artisti ed etichette di tal calibro. Merita assolutamente un ascolto approfondito, così che diventi possibile cogliere le stratificazioni e gli espedienti disseminati nei vari brani.
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6
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Voto corretto, mancano i guizzi a mio avviso. |
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5
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Devo ancora recuperarlo, ma onestamente, se non si è trogloditi, dalla recensione si evince la qualità del disco.... |
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4
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Ho avuto modo di ascoltarlo solo una volta e devo dire che l'ho trovato ottimo,cmq sono di parte perche' qualunque cosa ruoti attorno ai Fates Warning l'adoro.Ritornando al disco ottima prova dei musicisti soprattutto Anderson,come voto si merita un 85. |
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3
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Mi sembra milto chiara come recensione, almeno se hai superato l'esame di terza media. Alder è uno dei piu' grandi cantanti di tutti i tempi e credo che eleganza, misura e forza siano elementi impreacindibili delle sue interpretazioni. Felice per lui che il suo debutto da solista arrivi con un bell'album. |
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2
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Disco splendido, come tutto ciò su cui alder mette voce. Non capisco la critica alla recensione, che sia pure con uno stile elegante (o pesante a secondo dei gusti) si dilunga molto sugli aspetti musicali. Per me cmq 80 |
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1
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Brava, hai aperto il libro di italiano... Ora si può avere una recensione che spieghi come sono le canzoni, la prestazione della band e qualcosa di attinente alla musica, e non all'agnizione esperienziale di 'sta cippa? Grazie |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Lost 2. Crown Of Thorns 3. Some Days 4. Shine 5. Under Dark Skies 6. A Beautiful Lie 7. The Road 8. Wait 9. What The Water Wanted 10. The Killing Floor
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Line Up
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Ray Alder (Voce) Mike Abdow (Chitarra, Basso) Tony Hernando (Chitarra, Basso) Craig Anderson (Batteria)
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RECENSIONI |
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