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19/04/24
DESPITE EXILE + LACERHATE + SLOWCHAMBER
BLOOM, VIA CURIEL 39 - MEZZAGO (MB)
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28/12/2019
( 2063 letture )
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Non ci stancheremo mai di riportare le giuste attenzioni al pubblico riguardo quei gruppi che hanno rappresentato l’humus sonoro e culturale decisivo per la nascita dell’heavy propriamente detto, e che per svariati motivi non sono considerati (anche giustamente per certi versi) al pari del quartetto Black Sabbath-Led Zeppelin-Deep Purple-Uriah Heep; c’è un sottobosco là fuori, partendo dagli oggi recensiti UFO fino ad arrivare ai canadesi Triumph, per fare un nome tra tanti, che è parte di un’eredità inestimabile dall’ombra multiforme e avvolgente nel senso positivo del termine e che ha dato vita a pagine su pagine di storia. Il gruppo inglese fondato da Phil Mogg, Pete Way, Andy Parker e Mick Bolton nel 1969 può vantare una discografia di enorme valore, una serie di hit che sono riconosciute dagli intenditori di hard rock di tutto il mondo e, last but not least, essere stato una delle più importanti “muse ispiratrici” di un paio di personaggi che hanno saputo crearsi un “modesto” seguito, vale a dire Steve Harris e James Hetfield. Tutto merito di una serie di album, soprattutto siti nel periodo settantiano, d’inestimabile valore e derivanti da un cambio di rotta dalle intenzioni originarie della band, imperniate su alcune sperimentazioni a la space rock; decisiva per questa svolta fu la sostituzione di Bolton come prima e unica chitarra con quella di Michael Schenker, giovane ma già messosi in mostra nell’esordio degli Scorpions del fratello maggiore Rudolf, e in seguito l’adozione di una sei corde ritmica, oltre alla eccelsa tastiera, nella persona di Paul Raymond (il quale ci ha lasciato da pochissimo). Obsession è l’album di cui ci occupiamo oggi, il lavoro in cui il connubio tra i due raggiunge i livelli più alti e in generale tra gli episodi meglio sfornati dal combo londinese.
A proposito del cambiamento stilistico verso la rotta hard rock, avvenuto a partire da Phenomenon in avanti, c’è da dire che è stato pensato quasi esclusivamente su basi di ritorni economici e di popolarità: il ruvido sound hard inglese dei primi anni 70 spopolava molto di più rispetto al tenue ma intrigante psych di band come Hawkwind e relativi affini, fu così fatta una scelta vincente su tutti i fronti regalandoci distillati di pura “distorsione su tela”. Obsession ne è lampante esempio e già dalla granitica opener Only You Can Rock Me possiamo percepire gli elementi chiave del lavoro: main riff e struttura generale che riporta alla mente i primi Kiss, ritornello anthemico da cantare all’unisono, tastiere di Raymond in primo piano con un intermezzo condiviso assieme allo stupendo assolo del tedesco sono tutto ciò di cui abbiamo bisogno per esaltarci. Registrato tra il 1977 e il 1978 nei celebri Record Plant di Los Angeles sotto la supervisione di Ron Nevison, ingegnere del suono che lavorò su Quadrophenia e sul debut dei Bad Company, Obsession vede la presenza di numerose potenziali hit da ricordare, come per esempio la seguente Pack it Up (And Go) dominata dai solismi di uno Schenker assatanato e dalla solita, apparentemente quieta, voce di Phil Mogg, artista sicuramente dotato naturalmente ma che riteniamo abbia qualcosa in meno rispetto ai mostri sacri del settore nel quale compete(va); probabilmente è la cosiddetta “garra”, come va di moda definirla attualmente, a venir meno ma nonostante ciò la sua prestazione in Ain’t no Baby è da oscar, un “lento” interpretato alla grande, suadentemente come solo i migliori tendono a fare. Di filler nemmeno l’ombra, le undici canzoni scritte in maniera più o meno eguale dallo stesso Phil, Raymond, Schenker e dal bassista Pete Way, vera forza della natura, hanno alti e bassi ma scorrono che è un piacere, così l’immancabile ballad del lotto è rappresentata da Lookin’ Out for No.1 e dalle sue pompose orchestrazioni mentre il momento “intimista” si compie con Cherry e il suo arrangiamento per metà debitore ai Fab Four e per metà agli Aerosmith. Tornano protagoniste le due arrembanti sei corde con You Don’t Fool Me e con loro troviamo un gruppo in stato di grazia che non sbaglia mezzo passaggio tecnico-compositivo, tutto è al posto giusto e i risultati sono una delizia per chiunque non riesca ad accontentarsi di quattro riff gettati lì “tanto per” ma chiede a gran voce canzoni con la C maiuscola. Chiudono il platter One More for the Rodeo, song dal grezzo sapore “on the road” da mettere come sottofondo alle nostre migliori scorribande, e l’altro singolo estratto, ovverosia Born to Lose che è paradossalmente il brano meno convincente dell’elenco poiché, in chiusura, ricalca senza troppa qualità atmosfere già assimilate ampiamente nelle tracce precedenti.
In conclusione abbiamo tra le mani uno dei migliori capitoli in studio realizzati dagli UFO, al quale farà seguito il famoso live Strangers in the Night, in assoluto il punto più alto mai raggiunto dal gruppo in questione grazie ad una scaletta stellare ed una performance corale da pelle d’oca. Se siete tra i numerosi appassionati che puntualmente si dimenticano della loro esistenza fate un buon proposito per l’anno venturo, rispolverateli e fatelo in primis con Obsession. Sarà una vera festa.
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6
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5° capolavoro consecutivo per gli UFO, un album piu'intimista e diversificato rispetto ai precedenti |
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5
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Un album bellissimo, che prosegue ed accentua il percorso stilistico definito con l'altrettanto strepitoso "Lights Out", e che si diversifica dalle triade storica dei primi lavori marchiati Schenker. Peccato che sia anche l'ultimo lascito in studio del genio tedesco, almeno fino alla reunion di "Walk on Water", ma il loro periodo storico ed intriso di rara bellezza finisce qui, ogni cosa ha il suo tempo. Secondo il mio modesto parere gli UFO anni '70 periodo Schenker non temono il confronto con nessuno, e , pur non avendo avuto lo stesso successo commerciale, giganteggiano al pari di L.Z., D.P. e B.S. e altri mostri sacri dell'epoca; poi se qualcuno non li conosce, peggio per lui. |
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4
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Grande album per una band molto sottovalutata. Il migliore rimane Phenomenon per me. Gli ufo hanno fatto la storia del rock e molti non sanno neanche chi siano.. |
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3
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Anche se non sono la mia band preferita gli UFO hanno per me realizzato uno degli migliori dischi dal vivo di sempre: tutti i dischi prima di Strangers in the night sono chi più chi meno ottimi lavori, con all'interno sempre canzoni storiche (qui Only you can rock me), da tramandare ai posteri.
Penso che un bel 80 se lo meriti. |
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2
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In effetti forse non è al livello dei precedenti, che sono - quando più quando meno - capolavori, però per me rimane un grande album. Degli UFO con Schenker non riesco a buttar via proprio niente. Poi qui c’è Only You Can Rock Me che mi fa impazzire. Su Born to Lose ho un’opinione diversa rispetto al recensore, per me è un gran bel pezzo, però magari è questione di gusti. Voto 85 |
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1
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Premessa d'obbligo: gli UFO sono grandissimi e guai a chi me li tocca. Ma a mio avviso questo Obsession è invece il più debole tra i dischi con Schenker. Di sicuro quello che ascolto di meno - lo sto facendo ora mentre scrivo perché magari i ricordi non erano dei migliori. E' il meno elettrico, il meno avventuroso; il più "arrangiato". Sicuramente è molto vario, Phil Mogg si rivela cantante di razza e MS è sempre lui, ma non ci sono quei brani stratosferici dei precedenti 4 sublimi ca-po-la-vo-ri. E, per quel che può valere visto che si tratta di 5 penne diverse, Obsession non può essere valutato più di Lights out, No Heavy Petting e Phenomenon. 77 |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Only You Can Rock Me 2. Pack It Up (And Go) 3. Arbory Hill 4. Ain't No Baby 5. Lookin' Out for No. 1 6. Hot 'n' Ready 7. Cherry 8. You Don't Fool Me 9. Lookin' Out for No. 1 (reprise) 10. One More for the Rodeo 11. Born to Lose
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Line Up
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Phil Mogg (Voce) Michael Schenker (Chitarra) Paul Raymond (Chitarra, Tastiera) Pete Way (Basso) Andy Parker (Batteria)
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