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Spaceslug - Reign of the Orion
22/01/2020
( 1033 letture )
Lo spazio. Esiste qualcosa di più terrificante di un infinito vuoto, di una teoria di pianeti, nebulose, gorghi, soli, buchi neri, comete, asteroidi, supernove, senza un perché e una direzione? E se invece del vuoto, qualcosa ci aspettasse laggiù, non sarebbe terrificante allo stesso modo?
Eppure, la paura non può fermarci, non può impedirci di immaginare e creare a nostra volta infiniti mondi e infinite varietà e variabili, che possano illuderci di essere in grado comunque, prima o poi, di dare un nome a tutto, come Adamo nel Giardino dell’Eden. Dare un nome anche agli incubi e alle paure e, col nome, un confine e una identità che ci aiuti a codificare il nulla, il vuoto, il tutto.
Viaggiatori delle galassie, così si definiscono i polacchi Spaceslug, band formata nel 2015 e che in questo breve lasso di tempo ha già rilasciato tre album, un EP, uno split e che sul finire del 2019 torna con il presente Reign of the Orion, altro lungo EP o album breve, se si preferisce, che copre trentasei minuti di durata, suddivisi in cinque brani. Un ritmo forsennato che non mostra comunque cedimenti di qualità e che anzi testimonia anche una volontà di aggiungere e via via modellare la propria proposta.

Certo Reign of the Orion presenta tutti i caratteri dello stoner psichedelico più classico, a partire proprio dalla fascinazione per lo spazio e, come rappresentato in copertina, per le costruzioni umane -o aliene- orientate verso le stelle. Indubbio poi che il genere proposto, con brani dilatati e carichi di derive space rock, non sia propriamente originale, seppure appunto di volta in volta aggiornato con nuovi elementi e nuove coloriture che donano una personalità particolare ai brani. Se infatti le lunghe composizioni non disdegnino un approccio piuttosto free, che sembra abbracciare anche elementi di improvvisazione e si carichino spesso di arpeggi stratificati e di dinamiche di pieno/vuoto tipiche del genere, con distorsioni enormi che sfregiano parti atmosferiche e dilatate, appare evidente quanto la band ricerchi comunque di non cadere nel tranello del "flusso continuo" e persegua invece una marcata caratterizzazione dei brani. Stoner, doom, psichedelia space, questi gli elementi di base, ai quali va aggiunta la particolare scelta di filtrare in maniera pesante le voci dei musicisti, con un effetto straniante e volutamente "alieno" che rende meno facile l’approdo melodico delle pur sviluppate parti cantate. Dal precedente Eye the Tide hanno poi cominciato a fare capolino anche parti vocali in harsh che contrastano in maniera efficace il gorgo sonoro della musica, forse riuscendo anzi a dare anche maggior contributo emotivo proprio in virtù della capacità evocativa della musica degli Spaceslug che non vuole indugiare esclusivamente sul fondere la mente e i sensi dell’ascoltatore, ma possiede uno sviluppo dinamico emozionale sempre piuttosto importante.
La partenza dell’album è piuttosto classica con Down to the Sun, lunga traccia dai riff annichilenti che ben introduce all’universo degli Spaceslug, grazie anche ad una linea melodica ben sviluppata e amplificata dal cantato. La successiva Spacerunners presenta invece un andamento particolare, con un bellissimo e rutilante giro di basso -un elemento che ritroveremo in tutti i brani- che fa da contraltare ritmico ad uno sviluppo chitarristico decisamente più rilassato e dilatato, sul quale anche il cantato appena accennato contribuisce a creare una spasmodica attesa per l’esplosione dinamica finale. Gran bel pezzo, efficace e pieno di contrasti. Anche migliore il successivo Half-Moon Burns, nel quale compaiono appunto le harsh vocals e che mette in opera un andamento ondeggiante e ondivago che rende benissimo l’idea del viaggio spaziale, con un vortice sonoro sottostante devastante e foriero di immagini. Forse il culmine dell’album e sicuramente la traccia emotivamente più potente. Trees of Gold recupera un andamento più rilassato e sognante, con una linea vocale più ricercata e una piacevole atmosfera anni Settanta che compare in mezzo alle consuete stratificazioni di chitarra. Tempo per la composizione più lunga dell’album, introdotta da un arpeggio e da voci registrate, provenienti da Dark Star di John Carpenter, così come nel finale di Half-Moon Burns si sentiva la classica citazione di Rutger Hauer da Blade Runner. Beneath the Haze recupera sia i riffoni stoner che il cantato alieno della opener e li alterna a lunghe digressioni strumentali, che trovano pace solo nello ieratico refrain, che pure appare debole argine alla bestia spaziale che prende via via possesso della canzone, fino al quasi puro rumorismo del finale.

Reign of the Orion è conferma del talento degli Spaceslug nel creare anzitutto un’atmosfera ben precisa, un viaggio nelle stelle e nel vuoto del Cosmo. Il loro stoner psichedelico non sembra portare grandi luci di speranza e resta sempre piuttosto freddo e al contempo magmatico, sempre in movimento, nervoso e oscuro. Solo in Trees of Gold si percepisce una qualche forma di calore e serenità, ma sembra appunto un episodio solitario. Aiuta in questo anche la produzione che mette in primo piano le stratificazioni della chitarra e le voci filtrate, lasciando la sezione ritmica appena indietro ed ovattata, seppure mai in disparte. D’altra parte, anche a livello strumentale il lavoro compiuto al trio è encomiabile per dinamiche e perfino fantasia. Come detto, colpisce che la prolificità tenuta finora dalla band non sembri mostrare alcun fianco e anzi continui a proporre qualche elemento di novità e ricerca. Reign of the Orion si pone come collettore delle diverse anime partorite finora dagli Spaceslug e riesce nell’intento di affinare ulteriormente la proposta, tornando ad una forma canzone più definita, con ottimi risultati. Affascinanti e da scoprire, senza dubbio.



VOTO RECENSORE
78
VOTO LETTORI
45 su 3 voti [ VOTA]
Vittorio
Lunedì 20 Aprile 2020, 17.16.31
1
Per quanto mi riguarda è un buon prodotto, un album ricco di sfumature e spunti originali (vedi le tastiere di Spacerunner che ricordano certe atmosfere della dark wave anni 80). In effetti il sound è scuro e opprimente, come una densa nebbia spaziale fatta di polvere e detriti cosmici alla deriva, anche se non sempre tutto funziona alla perfezione.
INFORMAZIONI
2019
BSFD Records
Stoner
Tracklist
1. Down to the Sun
2. Spacerunner
3. Half-Moon Burns
4. Trees of Gold
5. Beneath the Haze
Line Up
Bartosz Janik (Chitarra, Voce)
Jan Rutka (Basso, Voce)
Kamil Ziółkowski (Batteria, Voce)
 
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