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Angellore - Rien Ne Devait Mourir
13/02/2020
( 1508 letture )
Arrivano al terzo album i gothic/doomster francesi e lo fanno con un artwork fin da subito roboante e molto bello, che fa ben presto salire l’interesse verso la proposta di Rosarius e Walran. I due fondatori degli Angellore infatti hanno man mano rifinito al meglio il proprio sound, allungando a dismisura il minutaggio dei brani in scaletta e ampliando ancora di più il raggio delle proprie influenze, che vanno ora verso il doom metal più soffocante, ora verso il gothic romantico dominato dalla voce del soprano Lucia, ma senza dimenticare le proprie radici death metal e folk e aggiungendo anche una qualche breve incursione nel black metal sinfonico. Tantissima carne al fuoco quindi; forse troppa.
Se infatti si decide di inaugurare un album con un brano che sfiora i venti minuti, bisogna essere ben certi dei propri mezzi e delle proprie capacità di scrittura, caratteristica che invece non sembra brillare in particolar modo in questo Rien Ne Devait Mourir.

A Romance Of Thorns è il brano su cui ruota tutto l’album e per forza di cose fin da questo primo momento si riescono già a trovare tutti i pregi e i difetti di quello che sarà il resto dell’opera: un suggestivo coro gregoriano lascia ben presto spazio a un pianoforte languido che regala subito una bella melodia, presto raggiunta dall’oboe di Gunnar Ben (Skálmöld) e in seguito sostenuta dal resto degli strumenti elettrici. Subito si percepisce che la produzione non è il massimo, dal momento che le chitarre e la batteria si impastano fra loro e il basso non riesce ad emergere mai; escono invece in modo egregio dal mix i synth, le parti orchestrali (molto suggestive) e le voci, soprattutto quella di Lucia. Sono già passati sei minuti e il brano tutto sommato convince. Poi però vi è il primo cambio di atmosfera significativo, grazie al growl di Rosarius, che sceglie di esprimersi attraverso una tecnica figlia più di un certo tipo di black metal rispetto al gothic doom dei nostri, peccato però che il canto harsh lasci parecchio a desiderare, risultando sfiatato e talvolta stonato. Questo growl però caratterizza tutti i brani in scaletta, con buona pace degli ascoltatori. A metà brano una sezione in tremolo picking ci porta vicini ad atmosfere puramente black metal, ma sempre rimanendo su mid-tempo che rimane invariato fin dall’inizio del pezzo. Bisogna aspettare i tre quarti di minutaggio per sentire un parziale cambio di ritmo, che spinge ancor più verso le velocità tipiche del black, ma si frena quasi subito per dare spazio ad un momento corale che sembra uscito da un gruppo folk metal. A questo punto c’è troppa confusione e la produzione che mette la voce di Lucia ad un volume proibitivo, se confrontato con gli altri strumenti, non aiuta di certo. Il brano riesce ad arrivare alla fine con ancora un paio di sezione diverse tra loro, che riprendono i toni gothic dell’inizio e riescono ad azzeccare una breve chiosa finale corale di buon gusto.
Dopo questo pezzo buona parte degli ascoltatori saranno abbastanza frastornati da non proseguire con l’ascolto: una composizione così lunga ha bisogno sì di cambi di ritmo e di atmosfera, ma gli Angellore pasticciano un po’, frenandosi nei momenti che riescono a regalare pathos e indugiando invece su sezioni che potrebbero essere tranquillamente scartate. Finisco col dire che, se il brano fosse stato interamente strumentale, il risultato finale ne avrebbe giovato molto.
Ma continuiamo ad analizzare la breve tracklist dell’album, che prosegue con Dreams (Along The Trail) , cinque minuti gradevoli dove finalmente la band sceglie di perseguire un obiettivo chiaro e lo fa senza allungare i tempi: il growl qui è ben contestualizzato, su un ritmo medio che parte ancora dal black metal, ma viene arricchito dal flauto e dai synth, i quali donano un’aura di fiaba maledetta al brano, che si piazza come l’episodio migliore dell’album.
Purtroppo Drowned Divine soffre di buona parte dei problemi del brano iniziale invece, protraendosi per tredici minuti con un’andatura stanca e trascinata e delle voci davvero poco azzeccate: non è chiaro se i nostri tendano a voler imitare un certo stile vocale del metal estremo anni ’90 (vengono in mente gli Isengard o gli Storm, dove il pulito sghembo di Fenriz fa oggi sorridere, ma riusciva ad essere ben contestualizzato in quegli anni e con quel particolare stile), oppure non abbiano coscienza delle proprie capacità canore, ma il risultato è il più delle volte scadente e penalizza tutto il resto dei brani. Questo è il vero peccato, poiché ad esempio Drowned Divine si fregia di un’ottima sezione di archi, ma che viene sfruttata poco e male, a favore di momenti più atmosferici dominati dai synth e dalle voci.
In Blood For Lavinia assistiamo a una discreta performance di Walran dietro al microfono, col suo timbro da baritono che non sfigura sulla base stavolta puramente gothic metal imbastita dalla band. Il problema è che il risultato finale richiama fin troppo lo stile dei Draconian e la voce non può non far pensare a Herbie Langhans (soprattutto nel brano degli Avantasia Draconian Love).
Molto meglio invece Sur Les Sentiers De Lune, brano quasi ambient sorretto totalmente dai synth e solo sul finale rafforzato dall’ingresso della band. Qui il pathos è ben percepibile e le emozioni riescono a fluire in modo ottimale, grazie ad una costruzione organica e ben bilanciata, che riesce in tutti i suoi sei minuti a disegnare un paesaggio sonoro fortemente malinconico ed invernale. Sicuramente questo è l’altro highlight dell’album.
Chiude infine l’ultimo lungo brano del lotto, Que Les Lueurs Se Dispersent, che sceglie ancora un tono sommesso e dominato dai synth e dal piano; una scelta niente male perché dà più forza poi alle sezioni strumentali più prettamente metal. Le voci si fanno sussurrate e il growl scompare quasi del tutto, per poi lasciare spazio nell’ultima parte del brano a Lucia, accompagnata dagli ottimi violini di Catherine Arquez, che chiudono l’album nella maniera migliore. Poco più di undici minuti che stavolta riescono ad essere ben congegnati e non risultano pesanti.

Cosa dire quindi di Rien Ne Devait Mourir per concludere? Gli Angellore possiedono molte frecce da poter scoccare al momento opportuno, ma devono ancora riuscire a concretizzare nel modo migliore la propria vena compositiva; in questo album tutto viene condizionato dall’eccessivo minutaggio del brano iniziale, che rende indigesto e pesante tutto il resto del disco, che altrimenti avrebbe anche dei momenti molto buoni da proporre, se presi singolarmente. La produzione poi, effettuata tra Francia e Germania dal 2016 al 2018 e con i vari contributi strumentali registrati in varie parti d’Europa, risulta non perfettamente azzeccata per esaltare il sound della band, con risultati veramente pessimi sulla già menzionata A Romance Of Thorns. Gli Angellore dichiarano di aver scritto questo album a partire dal 2009 e concludendo la composizione nel 2016. Forse questo esagerato lasso di tempo ha condizionato le varie fasi di scrittura dei brani, che difatti risultano sbilanciati in molti casi. Il mio consiglio è quello di provare a concentrarsi su brani più brevi e che puntino dritti all’obiettivo, come nel caso di Dreams (Along The Trail), riducendo le sezioni vocali e provando a sfruttare una produzione meglio equalizzata e brillante; i brani lunghi e complessi ancora non fanno al caso loro. Questo terzo album non è ancora il migliore prodotto dalla band, limitiamoci a salvare i pochi brani buoni, la copertina meravigliosa e aspettiamo il prossimo giro di boa.



VOTO RECENSORE
56
VOTO LETTORI
96.88 su 9 voti [ VOTA]
Black Me Out
Lunedì 28 Dicembre 2020, 10.50.21
5
@LUCIO 77 Ma figurati, non ti inimichi proprio nessuno. Per curiosità, proprio dopo averti consigliato l'ascolto di questo album, lo sono andato a riascoltare anche io e non cambierei una parola di quello che ho scritto in questa recensione. Ma come dice il Marchese se la musica è in grado di emozionare allora il giudizio tecnico vale fino a un certo punto; io non mi emoziono con questo album, se non in certi brevi guizzi, ma quello che vale per me non è detto che valga per altri, anzi. La recensione deve guardare all'obiettività il più possibile e questo passa necessariamente per il giudizio tecnico dell'opera, però gli ascoltatori sono differenti ed è giusto che ognuno percepisca quello che meglio gli si addice, ci mancherebbe! Qui comunque siamo lontanissimi dal funeral doom propriamente detto e quel che dici sulla musica di Skepticism e Shape Of Despair è giustissimo: il loro stile, aiutato molto dalle tastiere e dall'organo, è molto meno "duro" rispetto a quello dei Thegothon, ma punta ad essere estremamente atmosferico (non a caso il mio disco preferito degli Skepticismo è "Ordeal", di cui ti consiglio di leggere la bella recensione presente qui sul sito). Perciò la tua è un'osservazione fondata, continuerai con gli ascolti che vorrai farti a vedere che anche in questa nicchia vi è tanta diversità di stile, che la rende sempre interessante.
LUCIO 77
Lunedì 28 Dicembre 2020, 10.19.18
4
Per Black Me Out: Parto da questo Album che ho ascoltato poco fa.. Non voglio inimicarmi i due contendenti, tanto meno un Nobile, quindi ecumenicamente parlando, dico che il Lavoro avrà poca "personalità" però in alcune parti mi ha emozionato.. Forse anche la neve che scende copiosa ha aiutato nel creare l'atmosfera... Per quanto concerne il Funeral Doom, dopo i Thergothon, ho seguito i vostri consigli e per il momento ho sentito i Skepticism ed i Shape Of Despair... Mi sono piaciuti entrambi però ho notato che rispetto ai Maestri, sono meno catacombali e lenti ma più atmosferici in certe situazioni.. Meno Cathedral "prima maniera" e più Cascadian"... E' solo un'impressione da Primo ascolto e poca conoscenza del FD o la mia osservazione è fondata? Grazie..
Le Marquis de Fremont
Giovedì 20 Febbraio 2020, 15.19.29
3
La ringrazio, Monsieur Black Me Out. Come ho accennato, ognuno ha i suoi gusti e reagisce in maniera diversa alle sollecitazioni ed emozioni che la musica può generare. Personalmente do poca importanza alla "personalità" o al fatto di "rinnovarsi" o "innovare" di un gruppo. Ascolto molta musica, spesso quando vado a cavallo o in mountain bike perché amo la simbiosi natura/musica e le emozioni che genera. Questo mi hanno dato gli Angellore con i loro album. Con qualche pecca, ho sottolineato. Ma altri, magari di più personalità o perfetti nell'esecuzione o prodotti alla grande non mi emozionano in egual misura. Le cito un esempio: Dance of December Souls dei Katatonia non è certo perfetto. Ma che emozioni!. Au revoir.
Black Me Out
Giovedì 20 Febbraio 2020, 11.49.45
2
Se il voto utenti esprime la verità assoluta allora stavolta ho toppato alla grande! Scherzi a parte, grazie del commento @Le Marquis de Fremont, a dire il vero aspettavo proprio lei sotto questa recensione, mi aspettavo che il disco in questione potesse incontrare i suoi gusti. Il precedente album degli Angellore ammetto di non averlo mai ascoltato con attenzione, quindi di quello non posso parlare; di questo invece credo di sì, avendolo ascoltato per diverse settimane e avendolo confrontato proprio con alcuni dei dischi da cui la band dice di prendere ispirazione. Ecco, proprio al confronto con i loro "maestri" - Lacrimas Profundere e Draconian su tutti a mio parere - il risultato è impietoso a mio modo di vedere: la personalità degli Angellore è veramente minima e ciò è minato anche dalla performance vocale davvero carente da parte dei cantanti (poi a qualcuno può benissimo piacere, ma io credo che i limiti siano ben visibili) e dalla scarsa capacità di costruire brani lunghi ed articolati (ed infatti io ho salvato ed apprezzato, anche molto, il brano più breve del disco); la produzione poi dà il colpo di grazia a tutto quanto. Però, quando mi è stato assegnato questo album mi è stato anche detto che sarei potuto cadere o dal lato di chi avrebbe detestato questo disco o di chi lo avrebbe apprezzato come un mezzo capolavoro, avendo proprio delle caratteristiche così particolari da definire in modo oggettivo. E io tendo di più verso la prima opzione, anche se Dreams (Along The Trail) la continuo ad ascoltare piacevolmente di tanto in tanto.
Le Marquis de Fremont
Mercoledì 19 Febbraio 2020, 15.19.38
1
Ognuno ha ovviamente i propri gusti e le proprie opinioni. Quindi, non sono d'accordo con il recensore. A me l'album è piaciuto. Mi ha ricordato molto i primi Lacrimas Profundere di ...and the Wings Embraced Us e di La Naissance d'un Rêve con i tappeti di tastiere molto evocativi. Effettivamente ci sono dei passaggi un po' sottotono (soprattutto nel primo brano) ma ampiamente riscattati da brani come Dreams (Along The Trail), Sur Les Sentiers De Lune e Que Les Lueurs Se Dispersent veramente evocativi. Vedo che anche il precedente non è giudicato bene e a me è piaciuto anche quello e il loro primo full lenght Errances. Au revoir.
INFORMAZIONI
2020
Finisterian Dead End
Gothic / Doom
Tracklist
1. A Romance Of Thorns
2. Dreams (Along The Trail)
3. Drowned Divine
4. Blood For Lavinia
5. Sur Les Sentiers De Lune
6. Que Les Lueurs Se Dispersent
Line Up
Rosarius (Voce, chitarre, synth, piano, organo)
François “Walran” Blanc (Voce, synth, piano)
Lucia (Voce)
Celin (Basso, cori)
Ronnie (Batteria, percussioni, cori)

Musicisti ospiti
The Funeral Choir (Voci in “A Romance Of Thorns”)
Gunnar Ben (Oboe in “A Romance Of Thorns”)
Mathieu Vigouroux (Violoncello in “A Romance Of Thorns”, “Drowned Divine” e “Que Les Lueurs Se Dispersent”)
Thierry Plet (Flauto in “A Romance Of Thorns”)
Delfine R. MacKinnon (Arpa celtica e voce in “A Romance Of Thorns”)
Ségolène Perraud (Flauto in “Dreams (Along The Trail)”)
Catherine “Cathy” Arquez (Violino acustico ed elettrico in “Drowned Divine” e “Que Les Lueurs Se Dispersent”)
Céline Vernet (Flauto in “Sur Les Sentiers De Lune”)
 
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