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Glaciation - Ultime Éclat
16/03/2020
( 1110 letture )
Una figura umana giganteggia nel mezzo di un mare agitato. La superficie è turbata da onde che la increspano. Dietro il protagonista del dipinto, opera dell’artista francese David Figielek, un cielo dalle tinte calde e gelide insieme. L’artwork che introduce il pubblico all’ascolto di Ultime Éclat dei transalpini Glaciation getta le basi dell’atmosfera che dominerà i cinquanta minuti di musica contenuti nel disco. La copertina apre uno squarcio dal quale la modernità della musica metal fluisce insieme con l’impeto dello Sturm und Drang romantico: il senso di claustrofobico infinito di Caspar David Friedrich incontra la causticità del Varg Vikernes di Filosofem.

Tralasciamo tuttavia l’elemento visivo, poiché ciò che conta in un disco è la musica. E quella proposta dalla formazione francese è di pregevole fattura. Le chitarre sporche e ronzanti di Arnhwald e di A. Sethnacht tessono armonie che ondeggiano tra l’afflato lirico dell’arte romantica e la furia brutale e sincera del black metal norvegese degli anni ’90. Su queste volteggia la voce disperata del cantante Hreidmarr, che si pronuncia in un elegante francese evocativo ed ammaliante che pare appellarsi direttamente a quell’ultimo barlume che dà titolo all’album.

A che tante facelle?
Che fa l’aria infinita, e quel profondo
Infinito Seren? Che vuol dire questa
Solitudine immensa? Ed io che sono?


Così si interrogava l’Io poetico appellandosi alla luna nel "Canto Notturno di un Pastore Errante dell’Asia", capolavoro sommo di Giacomo Leopardi. Ormai quelle facelle paiono estinte, una sola sopravvive al termine del tempo. Ed è a questa, non più alla luna leopardiana, che i Glaciation si appellano. Seppur non dotati di una eccezionale qualità tecnica -i brani che compongono l’album sono piuttosto semplici nella forma-, i sette musicisti mostrano una verve compositiva notevole. Nonostante la durata delle singole canzoni (la media è approssimativamente di sette minuti) non si avverte mai una sensazione di “annacquamento”. Ogni elemento presente in Ultime Éclat è perfettamente amalgamato con gli altri.
Prendiamo in considerazione, a titolo esemplificativo, l’inizio del disco e la sua fine. La title track che apre l’album comincia con colpi di rullante accompagnati da una tromba dal sapore marziale, che poi, mantenendo il medesimo incedere militare, esplode nel riff principale del brano. Questa l’alba musicale dell’avventura sonora pensata dai Glaciation. Il tramonto, invece, è di tutt’altra natura, difficilmente accostabile a sonorità belligeranti simili. Le Grands Champs d’Hiver è il mesto lamento funebre di un pianoforte che piange l’estinzione anche di quell’ultima fiaccola, immagine musicale di un paesaggio desolato, immenso, abbandonato. Una melodia semplice, come le altre che l’hanno preceduta, ma efficace.
Con quest’ultima fatica prosegue il percorso di riscoperta e rielaborazione dell’ondata norvegese degli anni ’90, un percorso cominciato nell’ormai lontano 2012, quando venne pubblicato l’EP dal significativo titolo di 1994. Ed è palese, tanto in quel primo lavoro quanto in quest’ultimo, oggetto della nostra recensione, il debito che i Glaciation hanno nei confronti di Count Grischnack (la cui figura troneggiava sulla copertina di 1994), sebbene i sette francesi riescano nell'arduo compito di apparire sì derivati da quella musica ma non derivativi.
Nella musica contenuta in Ultime Éclat vengono a coesistere numerosi casi di quella fondamentale ondata di black metal norvegese, tra loro anche molto differenti. Pensiamo all’introduzione del secondo brano, Le Rivage: due chitarre acustiche dialogano usando il linguaggio della malinconia ripescando dalla vena folk degli Ulver del capolavoro Kveldssanger, poi sostituite da una cavalcata black metal dai toni epici e decadenti. O, ancora, è impossibile non ripensare agli Immortal non appena Ce qu’il y a de Chaos parte: un black metal tendente al thrash scandito dalla batteria precisa di Grégoire G. si sviluppa in seguito in un corpo di più ampio respiro, grazie alle tastiere di Arnhwald che donano un tocco sinfonico e, insieme, gotico alla composizione. Se chiudiamo gli occhi, il logo degli Emperor prende forma dall’infinito buio del nostro sguardo.

I Glaciation, dunque, rielaborano gli ingredienti più raffinati di quella musica, quelli più, se vogliamo, complessi -non si trovano tracce delle band più viscerali ed istintive, come, ad esempio, i Gorgoroth- per realizzare un piatto di tutto rispetto. Certo non scevro di difetti e ben lontano dalla perfezione, ma comunque degno di uno e più ascolti.



VOTO RECENSORE
70
VOTO LETTORI
60 su 2 voti [ VOTA]
mardonziak
Martedì 17 Marzo 2020, 22.48.10
2
Lo ascolterò anch'io, dato che alla voce c'è il redivivo "Hreidmarr" che tanto mi piaceva negli Anorexia Nervosa
El Faffo
Martedì 17 Marzo 2020, 17.19.41
1
Complimenti per la recensione, mi hai fatto venir voglia di ascoltarlo !
INFORMAZIONI
2020
Osmose Production
Black
Tracklist
1. Ultime Éclat
2. Le Rivage
3. Et puis le Soufre
4. Acta Est Fabula
5. Ce qu’il y a de Chaos
6. Vers le Zéro Absolu
7. Les Grands Champs d’Hiver
Line Up
Lineup:
Hreidmarr (Voce)
Arnhwald (Chitarra, Synth, Voce)
A. Sethnacht (Chitarra)
Katia von Wasgau (Basso, Mellotron)
Grégoire G. (Batteria)

Musicisti ospiti:
Cecil G. (Voce, Cori)
I. Luciferia (Autore aggiunto nelle tracce 2 e 3)
 
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