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25/04/24
MARDUK + ORIGIN + DOODSWENS
AUDIODROME, STR. MONGINA 9 - MONCALIERI (TO)
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Novembers Doom - Nephilim Grove
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23/03/2020
( 917 letture )
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Undicesimo album per i longevi Novembers Doom, band di Chicago che dalla metà degli anni ’90 ha iniziato a deliziare i timpani degli amanti di un genere alquanto interessante: il death-doom metal. Il nuovo Nephilim Grove prosegue su un percorso, oramai datato, in cui le sonorità dei Paradise Lost si miscelano con quelle dei Katatonia e degli Opeth. Il suono è pesante già dalle prime battute di Petrichor con il suo semitono dissonante e gli inserti della scuola-madre (quella doom per eccellenza) che non mancano. Petrichor è l’evoluzione maligna di alcuni lavori degli Opeth, ancora più drammatica, forse anche più teatrale, con una parte centrale che rimanda alle sonorità psichedeliche dei Pink Floyd. Il basso a cinque corde di Mike Feldman lavora dal fondo e quando ha spazio, nel silenzio delle chitarre, emerge prepotente con dettagli di fattura notevole.
La title-track è un pezzo sinistro con il cantato growl che si interseca con la voce pulita di Paul Kuhr, a volte un po’ troppo indulgente sulla teatralità ed è questa una nota che tornerà a più riprese durante tutto l’ascolto del cd. What We Become -uscito come primo singolo del nuovo album-ha un inizio melanconico con un breve arpeggio che si ripete come una nenia. Pochi secondi che lasciano spazio ad un sound che diventa via via più corposo, senza però tradire la vena melodica cara ai canoni doom dei Paradise Lost. Dopo l’eleganza di What We Become, ritorna in auge la cattiveria e la pesantezza con Adagio, uno dei brano più pienamente death se non fosse per una parte centrale sussurrata e noiosa. I Novembers Doom hanno potenzialità tecniche palesi; sono musicisti di profilo notevole. Un vero peccato che restino vittime della ricerca teatrale ad ogni costo, quasi come se l’impatto diretto venga sempre schivato perché ci sia quel colpo d’effetto che non sempre riesce. E quando ci si pone la solita domanda: ma come mai non hanno avuto il successo che altri di pari rango hanno ottenuto, la risposta sta tutta lì. Nel fatto che, a nostro avviso, parliamo di un songwriting tiepido, mai pienamente avvincente ed avvolgente. L’ascolto prosegue con Black Light, il brano “crudo” che avevamo anelato. Si badi: i nostri sono sempre lì pronti a pennellate di pastello anche su una tela di rosso vivo, un marchio di fabbrica a volte stucchevole. The Clearing Blind fa emergere la tecnica di livello alto degli strumentisti. La voce crea un tappeto su cui ognuno si cimenta in qualche slancio di bravura. Anche questo brano, unitamente a tanti altri, inutile nasconderlo, resta un po’ freddo e poco coinvolgente. Il pezzo del quale ci apprestiamo a parlare, Still Wrath, è quello che abbiamo maggiormente gradito. Qui viene messo da parte ogni indugio -se non fosse per la voce ancora una volta eccessivamente teatrale- e si parte con un buon attacco diretto e con le chitarre di Larry Roberts e Vito Marchese che macinano note granitiche, inframezzate dall’assolo che ingentilisce la trama crudele. Nephilim Grove si chiude con The Obelus i cui tratti sono marziali e guerreschi.
Nephilim Grove è un disco di facile ascolto, di primo impatto. Non va metabolizzato col tempo e non va valorizzato con ascolti multipli e complicati. È abbastanza diretto, benché eccessivamente teatrale al pari della cover del cd (colori densi, alberi e luna che, mischiati alle nuvole, regalano un senso di nostalgia). Il voto finale, 74, non può che essere il frutto del fatto che l’album in questione resta certamente di buona fattura, ben suonato, intimo e drammatico, ma senza assurgere ai “must” da cui è lontano, troppo lontano. Della voce di Paul Kuhr abbiamo già detto tanto, ma pare giusto aggiungere che probabilmente il limite è la continua ricerca della timbrica che ha reso noto Mikael Akerfeldt ed i suoi Opeth. Una maggiore personalità avrebbe giovato a quello che sospettiamo sia uno dei punti deboli di questo ascolto. Gli amanti del doom lo gradiranno; i seguaci del death metal saranno lì, già li vediamo, a storcere il muso.
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Seguo da anni questa band, mi piace molto, anche se è fortemente limitata. Quello che fa lo fa benissimo, ma si ripete di album in album. Anche in questo caso speravo di qualcosa di differente, invece mi ritrovo le solite melodie e gli stessi riff presenti negli altri lavori. Un peccato, perché non riescono proprio ad elevarsi, tranne forse in un paio di vecchi dischi, restando semplicemente una buona band. Comunque anche Nephilim Grove mi piace, concordo col voto. Copertina stupenda, tra l'altro. |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Petrichor 2. The Witness Marks 3. Nephilim Grove 4. What We Become 5. Adagio 6. Black Light 7. The Clearing Blind 8. Still Wrath 9. The Obelus
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Line Up
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Paul Kuhr (Voce) Larry Roberts (Chitarra e voce) Vito Marchese (Chitarra) Mike Feldman (Basso) Garry Naples (Batteria)
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RECENSIONI |
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