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Amnutseba - Emantism
07/04/2020
( 936 letture )
Francia. Che bel Paese che è la Francia: lo Champagne, il brie, il Louvre, la Tour Eiffel, il black metal. I nostri cugini d’Oltralpe, quando si tratta di cose di valore, certo sono degli ottimi rivali. Nonostante la storica antipatia -goliardica, ça va sans dire- che ci contrappone a loro (ricordiamo il po-po-po-po dei mondiali di Germania 2006), è innegabile la qualità dei loro prodotti, anche in ambito musicale. E, per restringere il cerchio a ciò che ci interessa in questa sede, nel settore della musica estrema. Dalle terre francofone, nel corso del nuovo Millennio, si è levato un grido infernale che ha saputo portare aria fresca in un genere che, tradizionalmente, presenta un roccioso nucleo di stasi ed immutabilità. Certamente quando si parla di innovazione in ambito black metal, argomento assai scottante presso una larga fetta di pubblico, insieme con le storiche band avanguardiste norvegesi, anche quelle francesi ricoprono un ruolo fondamentale: pensiamo a Deathspell Omega e a Blut Aus Nord, le due più celebri. Figli del black metal più vorticoso ed intricato proveniente dalle profumate campagne francesi, gli Amnutseba irrompono prepotentemente sulla scena con Emanatism, pubblicato dalla tedesca Iron Bonehead Productions, ereditando dai due gruppi citati la segretezza circa l’identità dei membri: chi siano i musicisti che si celano dietro il moniker Amnutseba non è dato saperlo.

Prima di esordire con questo disco, la band proveniente dall’Île-de-France aveva pubblicato due demo, pubblicati nel 2017 e nel 2018 dall’americana Caligari Records, molto interessanti, sebbene ancora acerbi. I due lavori presentavano una musica complessa e stratificata, capace di ipnotizzare ed ammaliare, al punto tale da attirare l’attenzione della stessa etichetta germanica che, sempre nel 2018, decise di ristampare i due demo in una compilation intitolata I-IV. In queste sei tracce si trovava in nuce tutto ciò che, oggi, possiamo ascoltare nel valido Emanatism: un black metal violento e cavernoso, di difficile approccio ai primi ascolti, caratterizzato da riff intricati e, talvolta, non semplici da interpretare, il tutto condito da influenze ambient, elettroniche e death metal.

Non è musica facile, quella proposta dagli Amnutseba. Per taluni ascoltatori potrebbe anche essere irritante, poiché denotata da un marcato intellettualismo che, talvolta, tarpa le ali ad un brano eccellente, se più diretto ed impulsivo. Si fa, ora, necessaria una precisazione a quanto scritto poco sopra: sebbene sia innegabile che, nelle vene della misteriosa band francese, scorre il tetro sangue della musica estrema conterranea, è altresì possibile percepire il debito che i Nostri hanno nei confronti della malvagità musicale statunitense. Nello specifico, è forte l’influenza di un personaggio come Naas Alcameth (mastermind di una pletora di progetti tra i quali ricordiamo Nightbringer, Aoratos e Akhlys) e della musica deviata e perversa degli Aevangelist di Omen ex Simulacra. Non bisogna affrontare Emanatism come un qualsiasi altro album. Alla stregua delle band summenzionate, l’azione-ascolto è qualcosa di differente dal semplice far partire le canzoni e lasciare che le note penetrino nelle orecchie. Per apprezzare un lavoro come questo è necessario desiderare la sofferenza, trasformando l’atto della fruizione artistica in una sorta di autolesionismo psico-intellettuale; è necessario lasciare che la musica ci laceri.
Abstinence, il brano che introduce al mondo questa misteriosa entità, è un biglietto da visita eccellente: un inizio lento, dominato da chitarre estremamente distorte e gonfie che si prendono la scena timidamente, prima di irrompere con riff inizialmente semplici e che, con l’avvento della batteria e del basso, si stratificano e si fondono in un turbine sonoro inestricabile, dal quale, di tanto in tanto, emerge qualche plettrata riconoscibile. La voce dell’ignoto cantante è la ciliegina sulla torta: gli scream logoranti ed i growl cavernosi non dominano la composizione, come spesso avviene. In fase di missaggio, la voce è trattata come strumento tra gli strumenti, alla stregua di quella di The Cuckoo negli svedesi Terra Tenebrosa. I quasi nove minuti di Abstinence sono un labirinto sonico nel quale non v’è ingresso e non v’è uscita: ci si trova perduti, senza punti di riferimento, con l’unica consapevolezza che da questo posto di terrore e dolore non si può sfuggire. Ungrund, altro macigno di circa nove minuti, inizia subito spaccando le ossa dell’ascoltatore, con un blast beat talmente regolare e gelido da sembrare meccanico accanto al quale le chitarre continuano il loro lavoro di destrutturazione del concetto di riff -già principiato e sviluppato da quasi tutte le band che abbiamo menzionato in precedenza in vari dischi. In questa seconda traccia troviamo una maggior varietà rispetto al precedente: dal death/black malato proveniente dall’America si torna ad arpeggi più vicini al tradizionale black metal norvegese (la prima volta che ho ascoltato la canzone, mi è tornato più volte alla mente l’intro di Freezing Moon dei Mayhem), per poi tornare negli abissi statunitensi e di nuovo in Europa. Una altalena che culla l’ascoltatore nei più profondi ed oscuri angoli della perversione sonora. Se già la precedente Abstinence non lasciava trapelare nemmeno il più flebile raggio di luce dall’esterno del labirinto, in Ungrund viene distrutta la possibilità dell’esistenza di una fonte luminosa che potesse trovarsi là fuori. L’universo è divorato dall’oscurità.

Dopo un inizio così faticoso, diciotto minuti circa di musica suddivisi in due canzoni, è giunto il momento di qualcosa di più breve. Il terzo brano, intitolato semplicemente ., dura meno di tre minuti. Ma prosegue in quel cammino di immersione nel dolore e nell’abisso. La musica, con il suo avanzare tenebroso, si fa sempre più claustrofobica ed asfissiante. I due minuti e trentaquattro secondi cominciano con un growl disumano, ricco di riverbero che ne accentua la malvagità, che domina la scena per i primi trenta secondi, superati i quali si aggiungono chitarra, basso e batteria, che avvolgono il cantante e lo stritolano in una morsa crudele, ipnotica e soffocante. I successivi due minuti sono pura sofferenza, una ferita che si fa sempre più profonda.
Si giunge così a Dislumen, il cui inizio è affidato ad uno stop-and-go dettato da un lavoro certosino e preciso sul rullante e dalle immancabili chitarre corrosive. Lo svolgimento del brano, che dura “solo” sei minuti -quasi sette, a dire il vero-, è affidato a ritmiche che, per la prima volta in Emanatism, stimolano un headbanging, seppur mesto e funebre. Altro elemento di novità apportato da questa quarta e penultima è l’inserimento di tappeti elettronici dal sentore ambient ed industrial, a rendere tutto più logorante e graffiante. In un disco che ha ben pochi punti bassi, Dislumen rappresenta il momento più elevato: un brano che funziona alla perfezione. Duro, crudele, faticoso, labirintico. Eccellente.
L’ultima canzone, Tabula comincia in modo quasi identico a Ungrund -segno di idee che, giunti a questo punto, cominciano a scarseggiare?- e, in generale, seppur molto ben suonata e costruita, non ha più molto da offrire all’ascoltatore. Il punto di massimo annichilimento è già raggiunto. Ora ci si limita a reiterare quanto fatto con le quattro composizioni precedenti. Tabula non è una brutta canzone, sia chiaro: piuttosto, è una canzone superflua, un riempitivo. Nonostante ciò, anch’essa ha dei momenti assai intriganti, dissonanze molto vicine a quelle dei Blut Aus Nord di The Work Which Transforms God, grida sgraziate che perforano la psiche dell’ascoltatore, cori sintetizzati che sanno di Apocalisse, sezioni di puro inferno sonico. Ma riempitivo resta.

Bisogna dare merito a questo misterioso progetto, del quale non si conosce nemmeno il numero di membri, un debutto simile lascia molto ben sperare per il futuro. Un futuro tinto del nero più nero. Pur peccando un po’ di ingenuità qua e là, talvolta arrovellandosi per raggiungere una complessità artificiosa, Amnutseba è una (one man?) band che ha mostrato, con questo primo lp, di avere tutte le carte in tavola per poter farsi strada in questo intricato e pericoloso mondo del metal estremo più cervellotico ed oscuro. Tra i lavori black metal più interessanti degli ultimi mesi, senza ombra di dubbio.



VOTO RECENSORE
79
VOTO LETTORI
56.4 su 5 voti [ VOTA]
INFORMAZIONI
2020
Iron Bonehead Records
Black
Tracklist
1. Abstinence
2. Ungrund
3. .
4. Dislumen
5. Tabula
Line Up
Sconosciuta
 
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