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19/04/24
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Green Carnation - Leaves of Yesteryear
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06/06/2020
( 2894 letture )
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Negli ultimi quattordici anni i Green Carnation sono rimasti avvolti nel silenzio, eccezion fatta per le varie performance live scaturite dal quindicesimo anniversario del loro capolavoro, Light of Day, Day of Darkness, dalle quali si è ricavato il DVD Last Day Of Darkness. Tornano ora sulla scena grazie al loro album Leaves of Yesteryear. Il titolo evoca un’immagine malinconica e nostalgica che mette sulle tracce dell’essenza del disco: si ha infatti una mescolanza omogenea dell’esser stato con ciò che invece è concepito nel presente. I cinque brani annoverano a metà album My Dark Reflections of Life and Death, ri-registrazione del pezzo contenuto nell’esordio del 2000 Journey at the End of the Night; la chiusura Solitude, inoltre, è una cover del classico dei Black Sabbath. Il risultato non è affatto un mosaico forzato, una sorta di EP arricchito di materiale fondamentalmente già pronto rivisitato al minimo, sebbene ad una prima occhiata la presentazione possa far sorgere questo timore. La band, al contrario, ha realizzato una sorta di summa di quella che è stata la sua storia, movimentata sia a livello di cambi di formazione sia di generi. Il tutto gode di estrema coerenza interna e limpidezza d’intenzioni: non si trovano scelte stilistiche equivoche o riflesse in loro stesse nè incomprensibili. Una caratteristica peculiare che sorregge i lavori dei Green Carnation, riscontrabile in album anche molto diversi tra loro, è il riuscire a far fluire nel senso più proprio il pezzo senza pesantezza alcuna -indipendentemente dalla sua lunghezza o elaboratezza. Ciò avviene al di là dell’orecchiabilità di un brano, chi partecipa ad esso tramite l’ascolto si sente calato al centro del movimento e avverte la musica dipanarsi. Non v’è posta nessuna barriera, la comprensione dei pezzi non è un’azione d’analisi compiuta a posteriori ma avviene contemporaneamente al dispiegarsi degli stessi brani. Si viene irrimediabilmente pervasi da un senso di totalità, dimensione che suona più come un ricordo al quale ricongiungersi che non come una meta alla quale anelare: i Green Carnation attuano la possibilità di questa unione rendendo l’uomo al contempo ipocentro ed epicentro della dinamica.
Leaves of Yesteryear segue una composizione tematica circolare: la prima traccia, omonima dell’album, è pervasa dal senso di solitudine, introdotto dalla perentoria affermazione
It's always loneliness,
che rimanda all’ultimo brano contribuendo a creare continuità tra i pezzi. L’opening track ha dei tratti epici, riesce a respirare nonostante la drammaticità. L’azione non è del tutto vanificata, la speranza penetra ancora le pieghe dell’esistenza. Il progressive metal tocca dei momenti power così come altri più oscuri o di quiete. La chitarra solista spicca, non ci sono mai momenti piatti, ogni strumento è in perfetta simbiosi con gli altri e si muove con equilibrio nell’evoluzione del pezzo. Il secondo brano, Sentinels, è molto deciso e scandito: il ritornello fa dilatare e insieme concentrare la tensione precedentemente accumulata. Si toccano dei picchi di aggressività sui quali però la voce si erge chiara, le chitarre distorte con basso e batteria preparano un terreno sempre più bruciato, pregno di potenza. La struttura è interessante in quanto riesce a sorprendere nonostante la brevità del pezzo. Si giunge così alla sopracitata My Dark Reflections of Life and Death, che ben restituisce il topos del viaggio. Il brano indaga infatti il dubbio straziante umano che si giostra tra la tentazione, il dolore, la luce e la tenebra; sono presenti richiami al doom metal, a generi cupi in una varietà cangiante. La tastiera permette la transizione da parte a parte, mentre la batteria enfatizza dei colpi diradati ma solenni. I piani di riflessione sono molteplici, il pezzo è in continua trasformazione ma mantiene la sua natura. Ogni parte merita attenzione, dai singoli riff agli accordi acustici a quelli più estremi. La gravità si mescola all’elevazione concessa dall’apertura di certi giri, creando un’esperienza rivelatrice da ascoltare. Hounds, la quarta canzone, inizia con un’atmosfera sospesa che poi sfocia nella sua controparte, si verifica quindi una rottura per cui da pianoforte e chitarra acustica si impongono delle violente chitarre elettriche. Il brano procede in un’ottima media tra i due toni, carico e veemente, a tratti ipnotico per la ripetizione di determinati giri, a volte invece spiazzante nei suoi cambi. Il divenire procede nelle forme che preferisce, impadronendosi degli strumenti arrivando ad un senso di compiutezza. L’ultima traccia, Solitude, costituisce un bell’arrangiamento del brano dei Black Sabbath che confluisce nel sound del gruppo. Molto atmosferica e quasi psichedelica, placa i furori delle tracce precedenti senza sferzarli, anzi, ne indica la reale sussistenza e li richiama ma in modo mormorato. Le tastiere cullano la struttura facendo da raccordo per epoche diverse, urgenze diverse e sensazioni differenti: un’ottima chiusura che va a riconfermare l’intero accaduto.
Leaves of Yesteryear vede un’eccellente interpretazione da parte di ogni membro del gruppo: crea una sintesi dello storico della band e la restituisce rotonda e liscia, sempre in movimento. Non manca, chiaramente, l’elemento emozionale vissuto in modo autentico nel percorso delle cinque tracce.
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11
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Bello davvero, tutto sta al proprio posto tecnica e idee.Torno a riascoltare il disco.Voto 82 |
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10
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complimenti davvero per la rece in effetti è un lavoro questo dei green carnation davvero che suscita molteplici sentimenti forse non ho mai ascoltato niente di simile e sono contento di averlo scoperto qui. grazie a voi si arricchisce ancora di più il mio bagaglio di ascolto |
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9
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Ammetto di ascoltarli ora per la prima volta, ignaro del fatto che siano tornati in attività dopo 14 anni e che non tutti i brani siano inediti. Ciò detto, per ora è il mio top album 2020. Classe cristallina. |
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8
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Le composizioni inedite sono vibranti e malinconiche e per me hanno saputo ricreare la magia. Tuttavia concordo con chi dice che dopo 14 anni (o quello che sono) era lecito attendersi qualcosa di più sotto il profilo meramente quantitativo (e buona pace al detto l'art pour l'art) |
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7
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Sì scusa mi sono confuso, infatti anche nella recensione viene detto 14 anni dal loro ultimo lavoro. Purtroppo ciò peggiora ulteriormente la situazione |
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6
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Ps: @Jansen: il precedente disco di inediti, in relatà, risale al 2006 (Acoustic Verses). Di anni ne sono passati 14, il che rende ancora più bizzarra la pubblicazione di questo ep mascherato da full. |
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5
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Due settimane fa hanno trasmesso in streaming un live per celebrare la pubblicazione di questo lavoro. Prima dello show hanno fatto vedere un piccolo documentario sulle registrazioni del suddetto. E ad un certo punto, lo stesso Kjetil si lascia sfuggire l'affermazione "I'm proud with the result of the recordings for this new Ep...or full lenght, still don't know".E' chiaro che la casa discografica ha spinto per avere un disco di una certa durata, e loro lo hanno riempito a dovere. Nel complesso ho apprezzato questo lavoro (due delle tre inedite sono davvero ottime, Sentinels risulta invece di una banalità assolutamente mai sentita in nessun loro disco precedente). |
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4
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Concordo con i commenti sotto, gli inediti sono molto belli, ma è un EP mascherato da LP. Inoltre, avevamo davvero bisogno di una rivisitazione di My Dark Reflections of Life and Death? Direi proprio di no....voto 65 |
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3
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Concordo totalmente con Victory, carini gli inediti, ma presentarsi dopo 7 anni di assenza con praticamente un EP di 24 minuti venduto allo stesso prezzo di un album normale sa un po' di presa per il culo fatta per racimolare qualche soldo, soprattutto se questi sono gli stessi che hanno composto Light of Day, Day of Darkness. 65 anche per me |
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2
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86 a sta roba.....belli gli inediti, ma poco piu di un EP. 65
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1
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Dei Green Carnation ho amato -e tutt'ora amo- alla follia Light of Day, Day of Darkness, uno degli album che, nella mia esperienza, meglio hanno saputo trasmettere il senso di dolore e malinconia (e in questo calderone ci butto dentro band DSBM come Xasthur e funeral doom come Slow), facendomi percepire le sensazioni provate dalla tragedia vissuta dal fondatore Tchort, bilanciata da un evento lieto. Gli altri loro album non mi hanno fatto impazzire, proprio perché non hanno mai saputo farmi rivivere esperienze così intense. Dalla lettura della recensione di quest'ultimo disco, tuttavia, esco piuttosto incuriosito e sicuramente lo ascolterò nei prossimi giorni |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Leaves of Yesteryear 2. Sentinels 3. My Dark Reflections of Life and Death 4. Hounds 5. Solitude
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Line Up
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Kjetil Nordhus (Voce) Terje Vik Schei (Chitarra) Bjørn Harstad (Chitarra) Kenneth Silden (Tastiere) Stein Roger Sordal (Basso) Jonathan Alejandro Perez (Batteria)
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