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Elephant Tree - Habits
17/07/2020
( 1150 letture )
La storia degli Elephant Tree inizia all’incirca nel 2013, quando Jack Townley e Sam Hart iniziano a provare insieme, in una piccola sala di un buio vicolo di Londra. In quel momento, Townley era passato al basso per tenere assieme la ritmica con Hart e provare a buttare giù qualche pezzo assieme, ma non appena i due trovarono Peter Holland, cementando la propria amicizia e collaborazione, il ritorno alla chitarra fu immediato. Il trio è un instancabile frequentatore dell’underground dei molti concerti cittadini ed è in questa modo che conosce Riley MacIntyre, canadese da poco trasferitosi a Londra con la passione per il sitar. Il quartetto inizia così a comporre materiale assieme e tiene il primo concerto a luglio 2014. Firmato un contratto con la Magnetic Eye Records, gli Elephant Tree pubblicano il primo album, Theia, sempre nel 2014. Il gruppo sente il bisogno di cambiare e le pressioni per i sempre maggiori impegni portano quindi all’uscita di MacIntyre, che resterà comunque come produttore per l’imminente secondo album, registrato tra maggio 2015 e gennaio 2016. Pubblicato come Elephant Tree, il disco permette al gruppo di proseguire con sempre maggiore intensità la propria carriera di live band, partecipando al Desert Fest a Londra e poi di supporto a molte altre band, fino all’approdo negli States. Trovato il supporto di John Slattery e rinnovato l’accordo con MacIntyre per la produzione, gli Elephant Tree cominciano a lavorare al nuovo album, che sarà completato a maggio 2019, ma non viene pubblicato perché la band decide di cercare una nuova etichetta e trova anche il modo di passare altri mesi in tour. Finalmente, a gennaio 2020 viene lanciato il singolo Sails e il terzo album Habits esce qualche mese dopo.

Gli Elephant Tree una band nata dall’underground, fatta di musicisti cresciuti assieme, non professionisti che, anno dopo anno, hanno visto la propria passione trovare un riscontro sempre maggiore e, grazie a questo, hanno poi deciso di essere onesti con se stessi, cambiando e trovando una dimensione più congeniale e che permettesse loro di continuare a crescere. Habits riflette grandemente un simile approccio, marcando un netto passo avanti rispetto al debutto, senza che questo significhi uno stravolgimento degli assunti di base. Anzitutto, le sonorità portate da Slattery ampliano e intensificano la dimensione space e psichedeliche dello stoner/doom di base del gruppo, ma assieme a questo, cresce e notevolmente anche lo spettro musicale della band e la performance vocale di Holland trova una dimensione decisamente più personale e interessante, con armonizzazioni e diversi effetti che ne ingentiliscono l'effetto, rendendola centrale ai brani. Altro dato non secondario, nel caso di Habits si può appunto parlare di canzoni, compiute e melodicamente ricercate, diverse e identificabili l’una dall’altra. Il che in un calderone come quello dello stoner/doom, ormai sempre più affollato e sempre più fatto di gruppi che sembrano riciclare i soliti riff senza preoccuparsi minimamente di dargli un senso melodico e una identità personale, è senz’altro da considerarsi un grande merito.
Habits è fatto di sette canzoni più intro, cinque delle quali oscillano tra i sei e i sette minuti, con un comune substrato musicale che appunto viaggia tra stoner, doom, psichedelia, space rock e una evidente influenza alternative che riguarda soprattutto la prova vocale di Holland, il quale riprende sì il caratteristico andamento space, ma lo amplia notevolmente con influenze tra grunge e Tool, mentre Townley non si fa mancare delle ottime quanto interessanti soluzioni acustiche e Slattery gioca tra sintetizzatori e moog. Il risultato è per lo più ottimo, non necessariamente originale, ma senz’altro personale quanto basta per differenziare gli Elephant Tree da tante altre band coeve, certificandone la crescita. I riff pesanti come macigni e le derive space restano centrali in molti episodi, ma ad esempio basti ascoltare un episodio come Wasted per cogliere quanto la melodia di Holland e il refrain cantabile e ossessivo facciano la differenza in tal senso, esaltando il brano, che si piazza in testa e difficilmente ne può uscire. Allo stesso modo, le ottime parti acustiche che accompagnano The Fall of Chorus e la prima parte di Broken Nails, costituiscono elementi emozionanti di brani concepiti in maniera compiuta. Molto bello il singolo Sails che da miglior tradizione illustra in maniera abbastanza completa l’identità di Habits e ne mette in luce le potenzialità melodiche, con le scale esotiche di Holland e le incursioni synth di Slattery che si uniscono al pesantissimo riffing. Ma in effetti non esiste una sola canzone che sia meno che molto valida presa di per sé e Faceless è forse anche più riuscita, con basso batteria e chitarra che sembrano fondere le casse macerando un riff-simil Kyuss e Holland piazza l’ennesimo buon refrain. Inutile illustrare tutti i brani, se per aggiungere che la lunghezza non eccessiva dell’album aiuta l’ascolto, facendo venir voglia di ripartire da capo, non appena il lungo e fantastico finale space di Broken Nails si spegne.

Una storia "normale" e semplice quella degli Elephant Tree, se vogliamo. Eppure, è da band come questa che possiamo attendere il futuro, per la passione e la voglia semplice quanto inesausta di andare avanti e migliorarsi, passo dopo passo. Habits è un bel disco, di quelli che volendo fanno da tesoro per tutto l’anno in un genere. Non perché siano innovati o contengano brani indimenticabili, ma perché mostrano talento e volontà e una ricerca personale che non guasta mai, unite alla capacità di scrivere canzoni vere, che hanno un senso melodico, una struttura degna di questo nome e una evoluzione anche dinamica che mostri crescendo e diminuendo (se ascolti Bird, in tal senso), andando oltre alla solita colata di watt che, in un mercato così affollato, rischia di essere davvero fine a se stessa. Ottimo ritorno.



VOTO RECENSORE
79
VOTO LETTORI
85 su 1 voti [ VOTA]
Freccia
Lunedì 20 Febbraio 2023, 17.48.16
1
Appena ascoltato, un gran bell album
INFORMAZIONI
2020
Holy Roar Records
Stoner/Doom
Tracklist
1. Wake.Repeat
2. Sails
3. Faceless
4. Exit the Soul
5. The Fall Chorus
6. Bird
7. Wasted
8. Broken Nails
Line Up
Peter Holland (Voce, Basso)
Jack Townley (Chitarra, Voce)
John Slattery (Sintetizzatori, Chitarra, Effetti Luce)
Sam Hart (Batteria)
 
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