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24/04/24
KARMA
CENTRALE ROCK PUB, VIA CASCINA CALIFORNIA - ERBA (CO)
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14/09/2020
( 2237 letture )
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Volessimo orientarci nel panorama rock contemporaneo e non sapessimo in che direzione puntare la bussola per essere certi di non sbagliare l'approdo state pur certi che la destinazione finale del nostro viaggio sulla pista delle novità più succose del genere che amiamo sarebbe la Svezia. E come potrebbe essere altrimenti! Il nefasto 2020 sembra aver risparmiato dalla sua aura catastrofica soltanto, o quasi, la creatività scoppiettante delle band made in Sweden: II degli H.E.A.T, Sudden Death degli Horisont, Heat Wave delle Thundermother e Holy Moly! dei Blues Pills sono giusto alcuni dei dischi che abbiamo recensito, lodandone la bontà, firmati da talentuosi musicisti scandinavi. Queste uscite hanno in comune la nazionalità dei componenti, la bravura dei singoli ma soprattutto la condivisione di una sorta di cordone ombelicale che li lega tutti ad una ''mamma'' comune, quella sonorità strizzante l'occhio al ventennio d'oro del rock dei Settanta-Ottanta, sia chiaro con le dovute differenze stilistiche fra i singoli interpreti. Ogni band, infatti, checché ne dicano gli strenui oppositori del revival in atto, non si scopiazza a vicenda né scimmiotta i gruppi ai quali si ispira; au contraire si dimostra capace di cogliere la lezione dei maestri, contestualmente ricucita su un sound moderno e personale in costante miglioramento album dopo album. Non fanno eccezione i Dead Lord, quartetto giunto alla quarta fatica discografica, capitanati dalla timbrica davvero originale, come vedremo, del leader Hakim Krim e contraddistinti dal look di chi si è consumato a furia di macinare chilometri e dissolutezza a bordo di un chopper sulla Route 66.
Saggiamo l'audacia dei nostri già a partire dalla copertina che ci mostra la resa incondizionata di un impotente e statico uomo incravattato, ritratto a mezzo busto manco fosse in un ritratto leonardesco dal sapore surrealista, colto nel pieno di un burnout cognitivo. Di sicuro non è l'unico ad essere su di giri perché con l'opener Distance over Time si va subito in brodo di giuggiole: le sei corde fulminanti del duo Krim/Nordin (a proposito di quest'ultimo: che gran cosa è stato promuoverlo alla chitarra dopo aver inciso i primi dischi come bassista, senza nulla togliere all'ottimo Ryan Kemp) si scatenano in un fraseggio che ricorda il periodo della NWOBHM e regalano sprazzi di autentica deflagrazione tanto sulla ritmica quanto sulla solistica, sorrette da un basso pulsante, caldo, mai in secondo piano nelle scelte operate in fase di missaggio ma anzi valorizzato e imprescindibile nello schema sonoro della band, così ricco di colore e coralità. Letter From Allen St. sembra ripartire laddove la traccia in apertura non si era mai fermata per davvero, configurandosi come la degna prosecutrice di un discorso imbastito con chiarezza d'intenti. C'è da impazzire e stropicciarsi gli occhi dinanzi l'espressività della voce di Hakim Krim e dell'uso che il frontman, non di certo un virtuoso, ne fa. Il suo cantato è altamente performativo, mai tirato né piatto bensì modulato affinché trasmetta, a seconda delle circostanze o addirittura in contemporanea, grinta e malinconia. Dopotutto, che ci sia da inasprire l'approccio come nelle successive Authority ed Evil Always Wins, tracce leggermente scollegate dalle precedenti e, complici anche i testi piuttosto fatalisti circa la possibilità di convivere con le contraddizioni della modernità a cuor leggero, esacerbate da un andamento meno spensierato, oppure rientrare nei ranghi con Messin' Up (non a caso scelto come singolo di punta per sponsorizzare il disco), pezzo di irresistibile presa grazie alla morbidezza fluida delle sue soluzioni e alle chitarre blueseggianti, i Dead Lord non perdono mai la propria identità, anche cambiando faccia in corso d'opera, coadiuvati da un frontman dalla versatilità impressionante e da compagni di viaggio che sanno quel che fanno e lo fanno maledettamente bene. Dark End Of The Rainbow è un brano da ascoltare con il vento in faccia, una valigia piena di sogni e la voglia di viaggiare dopo un temporale, roccioso quanto basta grazie alla progressione decisa della ritmica ma capace poi di aprirsi nel ritornello che fa galoppare l'immaginazione impegnata a decifrare miraggi, come nell'effetto ottico della pozzanghera sull'asfalto che riflette gli oggetti distanti. Bridges si concede autentiche sfuriate tipiche dell'hard-rock settantiano regalando uno degli assoli meglio riusciti del disco, mentre The Loner's Ways e Gonna Get Me, pur prefigurandosi come degli ottimi brani, sembrano pagare il prezzo di un giustificato calo dopo una carrellata di esecuzioni che rasentano la perfezione. Ci pensa la conclusiva Dystopia a non tradire le aspettative, affermandosi come la perfetta sintesi di quanto magistralmente espresso in questi 40 minuti di grandissima musica.
Sui profili social della band, nello spazio riservato alla presentazione, a differenza di molti altri artisti della stessa fascia non godenti di una popolarità clamorosa ma attentissimi a ''pompare'' le proprie doti inserendo un numero spropositato di informazioni pur di raggranellare qualche ascolto in più, leggerete soltanto tre parole: Rock from Sweden. I Dead Lord non divergono da quanto scritto, forse svogliatamente, per descriversi. Ascoltare Surrender non significa soltanto riscontrare la presenza di sonorità vintage, cogliere il passaggio alla Thin Lizzy, infuriarsi o esaltarsi perché si è abbastanza preparati per notarlo, sia per critica o gaudio. Racchiudere il lavoro di questi ragazzi in coordinate tanto rigide limiterebbe la piena fruibilità di un signor disco, straripante d'amore per quello che si è composto prima, che si compone oggi e che si comporrà domani e che di difetti, salvo il leggero calo fisiologico sul finale, ne ha davvero pochissimi. Dopotutto a volte occorre semplicemente riconoscere che la buona musica, se fatta veramente col cuore, se ne frega di chi prova a imbrigliarla in troppe congetture: va goduta. E tanto basta.
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5
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Ma quanto è bella la copertina? Anche a me ricorda un quadro surrealista, davvero stupenda |
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4
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Tanta ma tanta roba veramente!! Lo comprerò sicuramente e nel mio stereo rimarrà a lungo.. |
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3
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@Altered: grazie del suggerimento, ma....è da sabato che lo ascolto!!! Quando è partita Crimson past mi sono sciolto 😍, per non parlare del singolo Under the moonlight sky, superba! Spero in una recensione, magari da parte tua visto che mi sembra di essere sulla stessa lunghezza d'onda. Saluti!! |
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2
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@Shock Ciao Shock! Non posso che concordare con te e già che ci siamo (non che ce ne sia bisogno, perché sei super informato!) ti do una dritta: ultima release dei Night uscita venerdì, band sempre svedese, non particolarmente famosa, con lo stesso produttore dei DL Ola Ersfjord.
Il disco si chiama High Tides- Distant Skies ed è un'altra gemma, vedremo se avrò modo di proporlo in redazione qualora sfugga alle assegnazioni.
Come a dire: finisci con un capolavoro e ricominci con un altro.
Stay rock! \m/
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1
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Sottoscrivo in pieno i primi due paragrafi della recensione che dicono tutto.
Sul disco, dei quattro pubblicati dal gruppo probabilmente è migliore: sempre l'ombra dei Thin Lizzy c'è dietro, ma il songwriting e l'esecuzione del gruppo sono al top, portandosi dietro dieci canzoni (sia lodato Dio) senza nessun cedimento e senza filler, con ogni brano che stà in piedi da solo e grazie alla particolare e calda voce di Hakim ha una marcia in più. Uno dei migliori dischi di hard rock (l'ho già scritto un sacco di volte...) dell'anno, direi ampiamente tra i primi cinque. |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Distance Over Time 2. Letter From Allen St. 3. Authority 4. Evil Always Wins 5. Messin’ Up 6. Dark End Of The Rainbow 7. Bridges 8. The Loner’s Way 9. Gonna Get Me 10. Dystopia
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Line Up
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Hakim Krim (Voce, Chitarra) Martin Nordin (Chitarra) Ryan Kemp (Basso) Adam Lindmark (Batteria)
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RECENSIONI |
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