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Derek Sherinian - The Phoenix
07/10/2020
( 1279 letture )
Che Derek Sherinian fosse un musicista di talento era palese fin dal 1995, ai tempi in cui suonò con i Dream Theater nel bellissimo A Change of Season e, due anni dopo, incidendo le parti di tastiera nel sottovalutato Falling Into Infinity. Dopo aver salvato da uno scioglimento praticamente certo il quintetto di Long Island e, dopo aver attraversato con loro una delle fasi più sofferte del gruppo, il nostro virtuoso dei tasti d’avorio si ritroverà silurato in men che non si dica, sostituito da Jordan Rudess e bla, bla, bla, il resto è storia. Sono passati ormai più vent’anni però e il buon Derek cos’ha combinato? In questo enorme lasso di tempo il musicista ha pubblicato ben sette album tra il 1999 e il 2011, per poi prendersi una lunghissima pausa, ritornando in pompa magna e circondato da una pletora di ospiti da far tremare i polsi proprio quest’anno con The Phoenix. In titolo la dice lunga sul senso di rinascita e voglia di ripartire nel migliore dei modi lavorando su nuova musica, proseguendo così una carriera che ridendo e scherzando dura da cinque lustri.

Partiamo proprio dall’impressionante serie di ospiti chiamati in causa: alle sei corde si sono alternati grossi calibri come Joe Bonamassa, Steve Vai, Bumblefoot, Zakk Wylde e Kiko Loureiro, mentre al basso è per lo meno doveroso citare la presenza nella titletrack del sempre puntuale e velocissimo Billy Sheehan. Passando a questioni strettamente musicali invece, va subito sottolineato come Sherinian abbia optato per un disco piuttosto eterogeneo che non va in una direzione ben precisa e proponendo una serie di inediti che flirtano con generi disparati. Per chi scrive la prima impressione è stata quella di una confusione generale sulla strada complessiva da imboccare e seguire e che stenta a trasparire per via di una scaletta non sempre a fuoco. In realtà nonostante il continuo andirivieni tra lo spinto hard rock ottantiano di stampo Van Halen di The Phoenix, l’omaggio personale al blues di Them Changes -fra l’altro è l’unico pezzo cantato che vede un affidabile Bonamassa destreggiarsi tra la chitarra e voce che, pur senza strafare, funziona- il prog metal dagli esotici echi iberici della finale Pasadelo ( bello il solo spot acustico targato Kiko Loureiro) e i divertissment figli di un mix imprecisato tra jazz fusion e rock delle consecutive Dragonfly-Temple of Helios, l’album si rivela per quello che è. Siamo di fronte ad un classico lavoro shred dove l’abbondanza di stili è lo spunto per dare fuoco alle polveri sfoggiando una tecnica di prim’ordine. Tutto bello e perfetto, ma…

Il problema racchiuso in The Phoenix è che il disco ha il pilota automatico e, se escludiamo l’ottima zampata iniziale della titletrack, tutto il resto scorre via liscio nel suo essere monolitico, senza però far gridare al miracolo né tanto meno scandalizzarsi per qualche sonora caduta di stile. Ognuno fa il proprio compitino in modo estremamente professionale (e ci mancherebbe altro visto i fenomeni coinvolti), però non c’è nulla che veramente strappi un convinto sorriso di piacere o di stupore. L’ascoltatore in poche parole si sente l’album, pur sempre gradevole nella sua durata, ma di fatto, esclusa la gustosa zampata iniziale, a fine ascolto rimane un non so che di amaro man mano che emerge la consapevolezza che sarebbe potuto -o meglio dovuto- fare meglio. Spiace dirlo ma quella di Derek Sherinian è un ripartenza riuscita in parte: il musicista sa indubbiamente suonare, ma comporre musica memorabile è tutt’altra faccenda.



VOTO RECENSORE
65
VOTO LETTORI
82 su 4 voti [ VOTA]
JL
Giovedì 15 Luglio 2021, 10.35.34
3
Dopo diversi ascolti, parere personale, rimane uno dei dischi migliori sentiti negli ultimi anni, che si mantiene su livelli molto alti per tutta la sua durata. Derek non si risparmia e le sue tastiere sono mostri sputafuoco. Si apre con la granitica titletrack devastante nei duelli tastiera chitarra alla Deep Purple, tra Zakk e Derek (sopra il theremin indemoniato di Armen Ra), roba per orecchio fine. Raffinata e rocciosa Empyrian Sky scorre impetuosa ma sempre fluida tra hammond e synth con il basso pulsante di Johnson e la batteria sempre millimetrica di Phillips. Segue la goduriosa Clouds of Ganymede, con Steve Vai. Dragonfly è uno dei pezzi più preziosi, oso definirlo alla Keith Emerson (come anche altre parti del disco). Temple of Helios è un altro gioiello strumentale da più di 6 minuti. Divertente il break blues di Them Changes, con il grande Joe Bonamassa. Si vola alla fine del disco con Octopus e Pasadelo, che chiudono il disco lasciando la voglia di riascoltarlo.
Klacor
Giovedì 8 Ottobre 2020, 12.23.12
2
Direi che 65 è un po' poco, merita almeno un 75, fa cantare bene le casse.
JC
Mercoledì 7 Ottobre 2020, 17.31.41
1
A me è piaciuto molto. Siamo sulle medesime coordinate stilistiche di Black Utopia e compagnia: suoni un po' compressi e scuri, le tastiere di DS che "imitano" le chitarre distorte, guitar hero ospiti. Secondo me il disco funziona. Kiko, Zakk Wylde e Bonamassa picchiano veramente duro, Simon Philips alla batteria tiene le cose "semplici" riuscendo a far sembrare liscia anche la fusion, ci sono alcuni pezzi che (per chi ama il genere) sono veramente divertenti. Per me, che amo la musica strumentale, un buon disco. Da ascoltare: Dragonfly, per la bella scala. Pesadelo per sentire Kiko (è sempre un bel sentire). The Phoenix per gli shredder. E poi vabbè Them Changes divertente blues e Temple of Helios maestosa.
INFORMAZIONI
2020
Inside Out Music
Shred
Tracklist
1. The Phoenix
2. Empyrean Sky
3. Clouds of Ganymede
4. Dragonfly
5. Temple of Helios
6. Them Changes
7. Octopus Pedigree
8. Pesadelo
Line Up
Derek Sherinian (Tastiera)
Simon Phillips (Batteria)

Musicisti ospiti

Joe Bonamassa (Voce, Chitarra)
Zakk Wylde (Chitarra)
Ron “Bumblefoot” Thal (Chitarra)
Kiko Loureiro (Chitarra)
Steve Vai (Chitarra)
Armen Ra (Theremin)
Billy Sheehan (Basso)
Tony Franklin (Basso)
Ernest Tibbs (Basso)
 
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