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23/03/21
SWANS + NORMAN WESTBERG
ALCATRAZ - MILANO
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Dunwich - Tail-tied Hearts
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15/10/2020
( 481 letture )
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Dalla Russia con amore esordiscono con Tail-tied Hearts i Dunwich, giovane trio di Mosca, sotto l’egida della Caligari Records, oscura etichetta underground sita in Florida (tranquilli, niente raggaeton) che ha puntato molto sul talento di questa giovane band. I Dunwich si destreggiano tra diversi generi che toccano pure lidi darkwave e avantgarde, posando però la loro musica su una solida ossatura in parte post metal, in parte gothic doom. Queste influenze sono quasi sempre ben amalgamate conferendo alle canzoni una personalità invidiabile (non dimentichiamo che trattasi di un esordio) che rifugge dai cliché dei generi. Fautrice di questo piccolo gioiello è in buona parte Margarita Dunwich artista poliedrica che coltiva interessi in tutti i campi dell’occulto e del gotico. Dalla fotografia paesaggistica e architettonica (sua principale attività) agli abiti e i gioielli di scena che indossa, l’artista russa a soli trent’anni è un’autentica umanista decadente. Una moderna strega che lega l’amore per la natura incontaminata e le vestigia umane di epoche perdute della madre patria alla musica che canta, in un binomio indissolubile dove passato e presente si incontrano.
Tail-tied Hearts si apre con la breve Glow, l’incipit arpeggiato richiama Wicked Game di Chris Isaak per poi confluire in Through the Dense Woods dove la chitarra si distorce e la voce suadente ed eterea di Margarita si produce in un repentino cambio in growl, degno della sua vicina di casa, l’ucraina Tatiana Shmailyuk che con i suoi Jinjer sta raccogliendo un meritato successo globale. Solitude rispecchia l’andamento, anche qua una parte più sensuale e gotica esplode nel finale più violento, i richiami evidenti sono verso bands come Avatarium, Dool e Madder Mortem. Wooden Heart non cade nella trappola di proporre la stessa struttura per la terza volta consecutiva, ma si sposta in territori post metal e doom. L’organo e le tastiere di Bronikov salgono in cattedra e generano il giusto sottofondo d’atmosfera dilatata nel tempo e decadente. Il brano si mantiene in tutta la sua lunghezza sui toni soffusi che Margarita Dunwich interpreta con la sua voce eterea, soluzione vicina a certe ballads dei Myrkur. Mouth of Darkness cambia notevolmente il tiro, ritmi più veloci, cantato sostenuto in stile gothic, una riuscita alternanza di chitarra ed organo dove il refrain ipnotico viene proposto più volte in un crescendo emotivo che sfocia nel finale in growl. Fall rientra nei componimenti più lenti dell’album e forse è l’unico momento meno esaltante dell’album. L’organo conferisce la giusta atmosfera gotico sepolcrale ma il brano è interrotto da una parte centrale declamata che onestamente non si sposa per niente e anzi stride con il tono elegiaco della canzone. Sanctuary vira apertamente verso il blackgaze con una parte interpretativa di Margarita da brividi dove il lirismo dell’incipit esplode nel break cantato in growl. Sul finale l’accompagnamento di chitarre folk crea un’aura suggestiva che rievoca melodie tradizionali di un passato dimenticato. The Sea chiude l’album e non è un caso che i Dunwich collochino la canzone in chiusura. Con i suoi nove minuti è la composizione più ambiziosa di tutto il disco e riprende un po’ tutte le direttrici musicali proposte nell’album. I tempi si dilatano ulteriormente e su un tappeto di ritmiche funeral doom la chitarra sfodera tutto il suo repertorio, arpeggi, parti più distorte intervallate da fraseggi in pieno blackgaze tanto cari agli Alcest. Le tastiere l’accompagnano a volte all’unisono, a volte creando un inquietante senso di dissonanza. Margarita sceglie di mantenere un approccio più pulito, morbido e dilatato, non forzando mai in growl, ma optando per un’interpretazione soffusa ed accorata. Il brano si conclude senza particolari sussulti e se proprio si volesse cercare il pelo nell’uovo, era forse lecito attendersi qualche variazione ritmica che avrebbe reso più leggero l’ascolto di una canzone parecchio lunga.
Nel complesso la band sforna una prova convincente, nella quale la voce di Margarita può esprimersi in assoluta libertà, sia quando decide di tessere trame delicate e decadenti che quando decide di imperversare con la furia del cantato estremo. Dalla sua c’è una capacità istintiva ed innata (almeno in parte), di creare paesaggi sonori dove vale la pena perdersi. L’intero album propende più per le soluzioni oniriche ed introspettive, le parti più veloci e distorte sono in netta minoranza, complice anche l’uso dell’organo, strumento che accresce l’apporto melodico delle tracce. La nostra cantante può contare su un timbro riconoscibile all’istante e ha il pregio di non scimmiottare il modus operandi delle sue illustri colleghe: come la splendida A.A. Williams sul fronte alternative rock, Margarita Dunwich ha personalità da vendere e la giusta presenza scenica. Ci sono spazi di miglioramento sotto il profilo strumentale, mancano parti soliste che a volte potrebbero arricchire di colore alcune canzoni monocrome, ma è solamente l’opinione di chi scrive. La produzione è più che discreta anche se a volte i suoni dei singoli strumenti risultano impastati. Dove invece è deficitaria è nelle poche parti più violente e distorte nelle quali un suono più corposo ed esplosivo avrebbe giocato a favore dell’impatto dell’album stesso. Se le premesse qualitative sono queste contiamo comunque di vedere al più presto i Dunwich prodotti e distribuiti da una label con più mezzi, nella speranza che questo diamante grezzo possa splendere pure al di fuori dei confini della grande madre Russia.
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2
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Ma magari... I nostri Dunwich italici son a ben altri livelli! |
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1
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Credevo fossero quelli romani... |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Glow 2. Through the Dense Woods 3. Solitude 4. Wooden Heart 5. Mouth of Darkness 6. Fall 7. Sanctuary 8. The Sea
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Line Up
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Margarita Dunwich (Chitarra, Voce) Anton Bronikov (Chitarra, Organo) Mikhail Markelov (Batteria)
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RECENSIONI |
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