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19/02/21
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Tim Bowness - Late Night Laments
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25/11/2020
( 488 letture )
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Late Night Laments è il titolo più azzeccato per questo album di Tim Bowness, ne palesa il contenuto e lo scenario da ricreare al momento dell’ascolto per connettersi meglio con l’atmosfera introspettiva che evoca. L’approccio di Tim Bowness all’interno dei No-man (gruppo di cui fa parte insieme a Steven Wilson) si riflette ampiamente in questo lavoro: gli strumenti impiegati, come ad esempio il vibrafono o i synth, sono congeniali alla finalità dei brani e riescono a tenere compatta la rarefazione che da loro deriva. I due poli opposti, il diradamento e la solidità, vengono infatti tenuti insieme ed equilibrati nei pezzi, i quali non sono né eccessivamente scomposti e onirici -le linee melodiche sono infatti organizzate -né compressi in un’armonia a blocchi. I musicisti ospiti offrono un insostituibile contributo: nomi come Richard Barbieri (ex Japan) e Colin Edwin riportano alla memoria le glorie dei Porcupine Tree, ai quali Bowness si ritrova legato chiaramente grazie ai No-man; Kavus Torabi e Melanie Woods fanno invece entrambi parte dei Knifeworld.
Lo stile della voce di Tim Bowness è inconfondibile e se si ha familiarità con i suoi precedenti lavori (sia da solista, sia nei No-man) non si noteranno significativi cambi di impostazione. Muovendosi l’artista comunque all’interno dell’art rock, è per definizione difficile che riproduca gli stessi pattern o che le composizioni si assomiglino. Scomponendo analiticamente i brani non si troveranno davvero delle imitazioni o delle costanti che possano giustificare eventuali accuse di banalità verso Tim Bowness. Certo, ci sono alcuni elementi che innegabilmente si inscrivono nella sua “formula” o nel suo immaginario -come d’altronde avviene nel momento stesso in cui si individua la categoria di art rock-, e questi comprendono la sua voce sommessa, quasi sussurrata, un’importante presenza di sintetizzatori e di strumenti elettronici, ritmiche così dilatate che fanno sorgere l’idea di un pezzo che si diffonde in più direzioni, pur mantenendone una principale, per enumerarne qualcuno. Se si assume per vero però che l’intero sia maggiore della somma delle sue singole parti, non saranno dunque solo queste componenti differentemente combinate a fornire il risultato del pezzo. Tra l’altro, come fatto notare sopra, le stesse componenti sono intrinsecamente variegate: basti pensare alle percussioni o alle parti effettive di synth.
Si accolga secondo coscienza, quindi, la proposta di Tim Bowness: una volta che si abbandonano le resistenze si viene investiti dall’intimità di brani come Northern Rain, l’opening track che predispone perfettamente all’ascolto di Late Night Laments. La nostalgia non viene inoculata senza vie d’uscita: è stata parzialmente elaborata, e la si intravede nella sua purezza in rari punti ben amalgamati con gli altri, maggiormente filtrati. I’m Better Now, la traccia seguente, è un raccordo tra diversi percorsi. Più oscuro rispetto al primo brano, incrocia atmosfere quasi lo-fi distorte a suoni retro. Diversi momenti sono lucidi e nitidi, e risaltano come una salda goccia di freddo sudore nell’inquietudine che il resto degli strumenti fa scaturire. La voce è un Virgilio che guida tra i sentieri che, seppur minimali, grazie alle dissonanze e ai vibrati, creano dei layer instabili. Si prosegue poi con Darkline, in cui figura Barbieri ai sintetizzatori. La fluidità è controbilanciata dal ricorrere di temi che segnano il tracciato, consentendo così di vagare liberamente tra le parti soliste che esulano dal mondo tellurico. We Caught The Light sembra che assolva la funzione di allineare l’ascoltatore. Il contrabbasso di Colin Edwin esegue poche note, ben distinte, e riporta al nucleo della persona impedendone la dispersione. I cori dischiudono orizzonti percettivi che cullano in un clima tendenzialmente di apertura e luce, come suggerito dal titolo. Su una linea simile si mantiene anche The Hitman Who Missed, le cui percussioni scandiscono accenti molto contratti per quasi l’intera durata del brano. Molto apprezzabile è il pianoforte che si distingue tra le altre sonorità più elettroniche, tanto quanto il contrabbasso. L’esito è un’ottima commistione in cui nulla risulta slegato. Never A Place è particolarmente evocativa e riflessiva. Il brusio e le voci presenti all’inizio del pezzo fanno calare in una situazione dalla quale ci si discosta immediatamente grazie alle parole di Bowness che sottolineano la differenza rispetto al resto della società, la mancanza di un posto tra le sue fila. La ripetizione dei versi appare alienante, coerentemente con l’andatura del brano. Il vibrafono suonato da Tom Atherton è efficace nell’intento. Si passa dunque a The Last Getaway, brano che porta alla luce la curiosa storia di Harry Horse, autore di libri per bambini che morì suicida dopo aver ucciso la moglie (alla quale era stata diagnosticata una malattia degenerativa) e gli animali della famiglia. Il pezzo è molto espressivo, le tastiere compiono un lavoro magistrale sempre nell’ottica minimale che contraddistingue Late Night Laments, che si realizza anche nelle ritmiche e soli limati. Hidden Life restituisce un deserto di immagini, una solitudine e desolazione eleganti che conducono ad un malinconico piacere. Il mood si pone in continuità con l’album, rende l’idea di una vigile distensione. L’ultimo brano, One Last Call, come affermato da Tim Bowness, coniuga uno scenario estremamente personale al tema generale del terrorismo motivato ideologicamente. Il pezzo è volutamente ambiguo e domina un clima di contemplazione assoluta, dall’inizio alla fine, quasi psichedelica.
Ogni canzone che compone Late Night Laments è grandemente dilatata e pone nella condizione di unire la riflessione all’estasi, abbracciando molteplici forme di pensiero. L’album è consigliato principalmente agli amanti del genere, i quali possono cogliere con attenzione ciò che riserva; è possibile, comunque, anche una positiva esperienza di ascolto immediato data l’universalità dell’introspezione che è qui proposta.
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Northern Rain 2. I’m Better Now 3. Darkline 4. We Caught The Light 5. The Hitman Who Missed 6. Never A Place 7. The Last Getaway 8. Hidden Life 9. One Last Call
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Line Up
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Tim Bowness (Voce, Tastiere, Ukulele) Brian Hulse (Chitarra, Tastiere, Batteria, Cori)
Musicisti Ospiti:
Tom Atherton (Vibrafono nelle tracce 1, 4, 5, 6, 9) Richard Barbieri (Sintetizzatori nelle tracce 3, 7) Evan Carson (Batteria e percussioni nelle tracce 1, 4) Colin Edwin (Contrabbasso nelle tracce 4, 5, 9) Alistair Murphy (Dianatron nella traccia 5) Kavus Torabi (Chitarra nella traccia 2, cori nella traccia 4) Melanie Woods (Cori nelle tracce 1, 2, 4)
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RECENSIONI |
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