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Ocean Gates - Ocean Gates
07/12/2020
( 859 letture )
Tra le uscite da segnalare in questo autunno nefasto un posto di rilievo lo occupano sicuramente gli Ocean Gates, che debuttano con l’album omonimo Ocean Gates e vanno ad arricchire l’elenco di uscite discografiche rilasciate dalla penisola iberica. Il five piece infatti proviene dalla regione più a ovest della Spagna, come si può evincere dalla pronuncia nel cantato e dai nomi latineggianti della line up. La band della Galizia presenta all’interno della propria formazione la frontman Nuria Otero, le due chitarre di Daniel Munoz e Ruben Perez, il basso di Santiago Paz e Jorge Moya alla batteria. Si sono formati solo in tempi recentissimi, due anni, ma nonostante questo breve arco di tempo debuttano ora sul mercato discografico, presentandosi con una commistione di hard rock, metal clssico, ma anche progressive e folk, sebbene nulla hanno a che vedere con Moonspell e Mago De Oz, giusto per fare un esempio.

The Equinox Warriors inizia con un arpeggio a cui fa seguito un giro di basso profondo, tant’è che se uniamo ad una voce acuta i primi secondi si ha la sensazione di sentire i Rush versione hard rock degli anni ’70. Gli Ocean Gates dimostrano di destreggiarsi perfettamente tra le varie coordinate della loro proposta, tant’è che, come accenanto, anche il progressive fa sicuramente parte del loro background, anche se con il passare dei secondi il timbro della Otero sarà principalmente accostabile a Jinx Dawson. Ascoltando Snake Circle emerge in modo consistente anche la componente doom, dando al brano un aspetto più imponente e un impatto sicuramente più profondo, non disdegnando le sferragliate chitarristiche tanto care all’hard rock ed al metallo tradizionale, sebbene tutto sia presentato con un’atmosfera moderna. Da segnalare anche l’assolo dai risvolti psichedelici e con una giusta dose di tecnica, prima della conclusione aggressiva. Night Shift inizia con un riff seventies che più seventies non si può. Sebbene i primissimi secondi possano ricordare parziamente Creeping Death, ci si rende conto ben presto di essere a metà strada tra i Rainbow di Long Live Rock N’Roll ed il metal primigeno dei Saxon, con le chitarre sempre pronte a ricamare riff in successione ed una batteria che deve semplicemente incalzare dalle retrovie.
Stormchild si rivela essere una cover dei Trespass, che si adatta perfettamente al sound degli Ocean Gates, i quali rallentano di qualche bpm la velocità pur mantenendo inalterata la loro efficacia, soprattutto quando è il momento di sguinzagliare la chitarra in un assolo funambolico e durante il break seguente, non lesinando nemmeno su una chiusura alla Iron Maiden. Non la punta di diamante del disco, ma sicuramente un esperimento riuscito. Si ritorna su atmosfere più lente ma pesanti con l’heavy doom di On the Way Out, dove la cantante può vocalizzare maggiormente rispetto al metal tradizionale della precedente, intervallata dai riff marziali della premiata ditta Munoz / Perez, i quali poi si esibiscono in un assolo prolungato che conclude la traccia, il tutto in un’atmosfera magniloquente ed oscura, che raggiungerà il suo apice nella seguente traccia. Beyond the Veil è una parentesi a sè stante del disco, una ballad che concede il suo tributo ai classici degli anni ’80 ed è qui dove viene lasciato completamente spazio all’ugola della frontman, circondata dagli arpeggi sempre presenti ma mai invasivi. Forse proprio in questo brano il pathos raggiunge il suo culmine, in un’atmosfera evocativa ritmata da tribalismi di batteria, scanditi come dei tamburi, per poi far irrompere la forza d’urto dei due chitarristi, rimasti sopiti fino al momento di liberare nuovamente la distorsione delle sei corde. A questo punto si assistono a transizioni e cambi di tempo molteplici, ma l’attenzione principale viene affidata come sempre agli assoli al fulmicotone della coppia d’asce, mai energetici ed entusiasmanti come in questo brano, e alle armonizzazioni vocali della Otero, chiudendo tutto con una rullata assassina di batteria. E' sempre la batteria ad aprire Royal Rockward, con ride e charleston a scandire il ritmo e dettare legge, così come si conveniva alle aperture seventies, e l’hard rock roccioso dei nostri è pronto a decollare anche questa volta, con una coppia d’asce che sciorina riff a profusione con notevole disinvoltura, come se non dovesse temere confronti con il passato. La traccia è come si suol dire breve ma intensa, in netto contrasto con la lunga canzone finale, che farà concludere l’album degnamente. In The Curse i nostri giostrano abilmente tra riff ruvidi e giri armonici più cadenzati e, dopo la prima strofa dove la cantante impegna il proprio diaframma con timbro profondo, si ha il primo rallentamento, che conferisce al brano un incedere epico nei suoi cambi di scena, mantenendo però sempre lo stesso mood drammatico e solenne. Dopo un bridge strumentale arriva il momento dove le chitarre emergono nuovamente e si pongono in primo piano, con la batteria sotto a dare maggior spessore al comparto ritmico, formando una cornice sognante che va a adagiarsi nel finale con l’arpeggio conclusivo.

Al termine dell’ascolto di Ocean Gates si rimane indubbiamente soddisfatti, tant’è che la mezz’ora abbonante ci sembrerà volare. L’arsenale sembra non mostrare mai il fianco, anzi prosegue imperterrito lungo la tracklist tutto d’un fiato e senza annoiare. Come si è visto emergono ripetutamente le chitarre, mentre forse si soffre di una certa linearità dal punto di vista vocale, ma si parla comunque di una cosa che non si avverte troppe volte e non fa la differenza. Un aspetto positivo è invece che, pur sentendo distintamente innumerevoli richiami provenienti dal passato, la band è chiaramente distinguibile e con un’identità ben precisa, a maggior ragione se consideriamo che la struttura delle canzoni sembra possedere quasi sempre la stessa impronta e delinea un approccio personale durante il processo compositivo. A voler proprio trovare un difetto, il disco coinvolge ma non entusiasma fino in fondo e questo forse porta la band ad essere consigliata più agli appassionati del genere che agli ascoltatori dell’intera scena, sebbene non è da escludere che possa far breccia anche in chi proviene da altre estrazioni del metallo.



VOTO RECENSORE
71
VOTO LETTORI
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INFORMAZIONI
2020
Boomland
Hard Rock
Tracklist
1.The Equinox Warriors
2.Snake Circle
3.Night Shift
4.Stormchild
5.On the Way Out
6.Beyond the Veil
7.Royal Dockyard
8.The Curse
Line Up
Nuria Otero: (Voce)
Daniel Munoz: (Chitarra)
Ruben Perez: (Chitarra)
Santiago Paz: (Basso)
Jorge Moya: (Batteria)
 
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