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Slowly Building Weapons - ECHOS
27/12/2020
( 1273 letture )
Una terra curiosa l’Australia, dal passato musicale di tutto rispetto e che sta regalando anche negli ultimi anni bellissime sorprese (per chi vi scrive arriva proprio da Melbourne il disco più bello del 2020); le giovani band provenienti dal paese dei canguri si sono fatte spesso notare in campo metalcore – Parkway Drive, Northlane e Thy Art Is Murder tra gli altri –e progressive, nel senso più eclettico possibile– Ne Obliviscaris, Karnivool, ma anche Tame Impala e King Gizzard & The Lizard Wizard – ma l’Australia si difende bene sotto ogni punto di vista, da oggi anche grazie al nuovo album degli Slowly Building Weapons intitolato ECHOS.
È un’evoluzione decisamente significativa quella compiuta dal quartetto diviso tra Sydney e Ōmihachiman (Giappone), che esordisce nel 2007 con Nausicaä con grandi lodi da parte della critica e un contemporaneo flop commerciale che tiene la band lontana dalle scene per dieci anni. Nell’album la band frulla umori black metal, post-hardcore, sludge e noise sulla falsa riga di gruppi come Converge, Old Man Gloom e Coalesce, riuscendo a costruire un’atmosfera asfissiante e pericolosa, ma povera di personalità. Si sentono buoni spunti, ma c’è tanta carne al fuoco e non viene cotta tutta nella maniera adeguata.
Dunque i quattro si ritirano per tornare a pubblicare un nuovo album esattamente dieci anni dopo: Sunbirds perfeziona la formula blackened hardcore del disco d’esordio avvicinandosi alla lezione di band contemporanee come Svalbard e Oathbreaker, mentre si citano come ispirazione nomi importanti come Oranssi Pazuzu. L’album suona freddissimo e tagliente, sebbene a lungo andare mostri più di qualche debolezza. Stavolta però un barlume di notorietà sembra farsi vivo per gli Slowly Building Weapons, che non spariscono nel nulla, ma impiegano solo tre anni per dare un seguito a Sunbirds: ECHOS esce nell’ottobre del 2020 e incredibilmente spiazza tutti.

Tutti i nomi citati finora al cospetto di questo album svaniscono, nel senso che non sono più presi come riferimento per la band, che anzi cambia repentinamente direzione stilistica abbandonando totalmente le velleità black metal e in buona parte anche quelle hardcore, mantenendo invece una forte componente sludge che si trasforma in doom metal puro. Ma non è finita qui: a infittire le trame doom dei quattro australiani –che per il terzo disco cambiano il terzo batterista– si aggiunge una abbondante componente shoegaze che si fonde con echi post rock e costruzioni prog. La maturità stilistica che si percepisce in ECHOS è a un livello nettamente superiore rispetto ai due album precedenti, che sembrano quasi prodotti da un altro gruppo se confrontati con il disco qui in oggetto.
La partenza è affidata ad Armada Of Ghosts, che si nasconde dietro un riffing black metal estremamente riverberato per poi esplodere in un mid-tempo maggiormente cadenzato. Spariscono le harsh vocals di Nicholas Bowman, che si affida invece a un cantato pulito piuttosto timido a dire il vero, difatti la voce rimane costantemente immersa nel mix generale, come da scuola shoegaze. Il brano ha uno svolgimento lontano dalla forma canzone e nei suoi quattro minuti passa agevolmente dal blackgaze ad un finale dominato da un colossale riff doom, che sfuma poi in una coda ambient collegata al brano successivo. La band ha imparato a giocare con le dinamiche e per questo sono molti i momenti di contrasto tra volumi in ECHOS; Foal To Mare infatti si affida a continui crescendo dominati da un basso pulsante e grasso, mentre tutt’interno regnano i riverberi ambientali che distorcono e rendono impalpabili le voci.
È un’atmosfera diafana quella costruita dagli Slowly Building Weapons, ben rappresentata dalla bellissima copertina ad opera del bassista Craig Lorimer –autore di tutte le copertine degli album della band- e dalla produzione del noto Tim Carr, coadiuvato in fase di mastering da Mell Dettmer; entrambi già presenti in tutte le release precedenti del gruppo, ma qui veramente determinanti per il risultato finale. Si ha seriamente l’impressione che i quattro australiani abbiano voluto cambiare completamente faccia, rischiando, certo, ma vincendo la sfida con se stessi, con i fan e con la critica.
Ascoltando un brano delicato ed evanescente come Dissolving si fa davvero fatica a pensare che questi ragazzi sono gli stessi che dicevano di rifarsi ai Converge; in questo specifico caso l’accostamento più immediato verrebbe da farlo con gli Slowdive! Ma i nostri sono bravi a non creare monotonia con un finale ancora una volta puramente doom, dove i ritmi rallentano e gli accordi vengono sganciati come bombe aeree, potenti e inesorabili. In una dichiarazione rilasciata dai membri della band sono gli stessi musicisti a dire come i due album precedenti fossero legati a precisi stilemi, mentre ECHOS si distacca dalla musica precedentemente prodotta, essendo stato composto lasciandosi letteralmente andare alla deriva, una condizione nella quale gli australiani si sentono ora molto più a loro agio rispetto agli esordi.
Le registrazioni sono state effettuate tutte in presa diretta, con l’intera band nella stessa stanza e con il solo Nicholas Bowman a registrare le voci in Giappone. Sono stati effettuati pochi lavoretti in studio secondo le parole dei musicisti e ascoltando la lunga Echo From Hill vi è da credergli sulla parola: stavolta sembra di essere immersi in un covo di fantasmi, con la voce lontanissima di Bowman che si districa tra tappeti pianistici intervallati da pochi colpi di batteria. Un’altra volta è l’esplosione finale a riportare l’ascoltatore in una dimensione maggiormente doomgaze impalpabile nella sua durezza.
Sul finale spicca anche The Final Vehicle, con la voce proveniente dalla stessa cripta nella quale era immersa quella di Ozzy Osbourne ai tempi di Planet Caravan. Tempi dilatati e arpeggi di chitarra glaciali lasciano presto spazio a cadenze sludge che rimangono sotto strati di riverberi e delay mentre la voce di Bowman si dissolve progressivamente in un epilogo davvero enfatico. La stessa enfasi che troviamo poi nell’ultima Omega, una sorta di canto monastico in crescendo dove la chitarra di Adam Preston tira fuori il riff più sofferto di tutto il disco.

Bisogna proprio dirlo dunque: gli Slowly Building Weapons non sono più la stessa band del 2007, ma nemmeno quella di tre anni fa; il quartetto australiano ha trovato una dimensione più consona alla propria proposta artistica scappando dal blackened hardcore e trovando rifugio nel doom più contaminato, strizzando l’occhio tanto ai fan del post rock quanto a quelli del più classico shoegaze. Le qualità in fase di songwriting si sono affinate in maniera significativa e possiamo solo sperare che i nostri non decidano nuovamente di cambiare strada.
ECHOS è dunque l’ennesimo ottimo disco di questo 2020 ricco di buone uscite discografiche, sarebbe proprio un peccato lasciarselo sfuggire!



VOTO RECENSORE
80
VOTO LETTORI
55 su 1 voti [ VOTA]
INFORMAZIONI
2020
Bird’s Robe Records
Doom
Tracklist
1. Armada of Ghosts
2. Foal to Mare
3. We Are All Animals
4. Acid Gold Sun
5. Dissolving
6. Heaven Collapse
7. Disc of Shadows
8. Echo From Hill
9. The Final Vehicle
10. Omega
Line Up
Nicholas Bowman (Voce, Tastiera)
Adam Preston (Chitarra)
Craig Lorimer (Basso)
Adrian Griffin (Batteria)
 
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