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Sweven - The Eternal Resonance
30/12/2020
( 589 letture )
Chiusa l’esperienza Morbus Chron per “divergenze stilistiche”, Robert Andersson forma gli Sweven assieme al chitarrista Isak Koskinen Rosemarin, anche lui ex-Morbus Chron e Jesper Nyrelius, batterista degli Speglas. La fine di quel progetto inizialmente partito nel 2013 con un album puramente death vecchia scuola ma che con l’EP A Saunter Through the Shroud iniziava a spostarsi verso altri lidi, lasciò con l’amaro in bocca, perché Sweven, ultimo disco pubblicato nel 2014, fu qualcosa che raramente si sentiva in ambito death.

Un nuovo inizio, dev’essere questo quello che Robert Andersson vuole comunicare con The Eternal Resonance, un disco che se per buona parte continua quello che i Morbus Chron avevano fatto sull’ottimo Sweven, da cui arriva il monicker, segna a tutti gli effetti l’inizio di un nuovo percorso per il trio di Stoccolma. Quel prog death che non sembrava poi tanto prog death, si sviluppa oggi in una forma più articolata, migliorata se vogliamo e che fa comprendere come i nostri siano alla ricerca di una proposta tutta loro. La prima volta che si ascolta The Eternal Resonance si ha come l’impressione di non essere davanti ad un album death, ma quanto più ad un album che interpreta il death metal prendendo spunto, in generale, dal mondo del prog rock; si trovano sicuramente delle somiglianze con gli Opeth, con i Nighingale o con il rock psichedelico/spaziale (Nektar!), ma le sfaccettature che compongono il disco sono multiple e donano al tutto un’impronta ben distinta. Come detto, non si parla del classico album prog death. Se l’intro di tre minuti ha bene o male dato qualche spunto, By Virtue of a Promise, pezzo da nove minuti, mette subito in chiaro il tutto, riproponendo certamente uno stile simile a Sweven ma in cui è possibile sentire come suoni più definito, ragionato, maturo. Gli arpeggi dai toni psichedelici e dai rimandi simil-jazz saranno una costante e con il passare dei minuti daranno maggior vigore a delle atmosfere che si muovono tra il surreale, il sognante e, specialmente in alcune melodie, malinconico. Le melodie e le atmosfere unite al growl di Andersson sottolineano tutto questo, con il nostro che in alcuni frangenti sembra lasciarsi andare ad una disperazione affrontata in piena solitudine, quasi come se fosse uno sfogo:

As the farthest ends of my presence
and my heart sway to and fro,
inside me a marred boy shivers
and I'm willing to let him go


Non solo growl però, perché per tutto il disco è possibile sentirlo sussurrare o cantare in pulito. È il caso della solenne Sanctum Sanctorum, strumentale conclusiva che con le sue melodie chiude il disco senza che l’ora ci lasci senza niente. Ma prima di quella vi sono episodi ottimi, in cui il particolare prog death dei tre mostra una qualità compositiva eccellente; per la maggior parte si ha a che fare con ritmi che sono lontani dal death più classico, ma quando i battiti per minuto aumentano, ecco che a farsi vive sono le emozioni più vicine alla rabbia e all’insoddisfazione. Tutto ciò viene messo in musica senza l’utilizzo di riff serrati e blast beat, ma piuttosto con riff rocciosi e una batteria che picchia in modo marziale. Qualcosa di questo tipo possiamo sentirlo in The Sole Importance, in cui è possibile apprezzare il bel lavoro tra chitarre e tastiere, con quest’ultime che per tutto il disco fanno un lavoro egregio muovendosi tra vari effetti. Anche in questo caso, la voce riesce ad essere incredibilmente espressiva, specialmente verso metà brano con quel And though demons disturb these waters, ride the waves into the fiery storm ricco di sentimento. Discorso simile per Mycelia, in cui però sentiamo una batteria che accenna a qualcosa di puramente death metal e che fa da base ad arpeggi dissonanti su cui Andersson urla il suo dolore per lasciare spazio ad un finale jazzato e solenne che si collega immediatamente al pezzo successivo. Simile ma decisamente più cattiva è invece Visceral Blight, in cui si fanno sentire blast beat e un accenno di riff più serrati dai rimandi black. Le chitarre, grandi protagoniste del disco, sono la dimostrazione più immediata delle abilità del cantante/chitarrista, che non si affida praticamente mai al death metal ma intreccia melodie, costruisce riff chiari e in continuo movimento aiutandosi con le linee soliste di Isak Koskinen Rosemarin, mai esagerato e puntuale negli interventi, anche i più piccoli. Sorretto tutto da un ottimo lavoro di basso e batteria, con il primo che ogni tanto si prende qualche libertà in più e con il secondo autore di un lavoro straordinario, non deve essere dimenticato Marcus Mohlin, tastierista ospite che con il suo lavoro rende ancora più particolari gli arrangiamenti e rende l’aspetto emotivo del disco ancora più intenso. Davvero un ottimo lavoro da parte di tutti.

Ecdysis (2013) degli Horrendous, The Formulas of Death (2013) dei Tribulation, i norvegesi Obliteration, Morbus Chron e adesso gli Sweven con The Eternal Reson. Ciò che questi dischi hanno in comunque è l’aver dimostrato come ci sia ancora spazio per interpretare il death metal, arricchendolo sì di strutture prog, goth o altro ma che per qualche motivo, diventa riduttivo etichettarlo come “progressive death metal”. La sensazione è che a distanza di anni si possa riscontrare con maggior evidenza quanto importante sia stato il lavoro di Dan Swanö nel voler rendere particolare, qualcuno dirà avantgarde, il death metal. Si parla di etichette, l’ultimo dei problemi, ma è un discorso che è giusto fare per provare a spiegare meglio lavori come questo, che oltre ad una forte carica emotiva, portano dietro composizioni di livello e su cui è bene soffermarsi più volte. The Eternal Reson rende chiari I motivi per cui i Morbus Chron si siano sciolti, e pur essendo un miglioramento di Sweven, segna per Robert Andersson un nuovo inizio.



VOTO RECENSORE
80
VOTO LETTORI
95 su 1 voti [ VOTA]
Doom
Venerdì 5 Marzo 2021, 10.58.56
1
Dai, metto commentino anche qui perchè mi piange il cuore: questo è un bellissimo disco, tra i migliori del 2020 ma anche tra le migliori uscite svedesi di sempre a mio parere. Ottimo da tutti i punti di vista, tecnica, composizione, varietà, esecuzione, sincerità. Insomma album davvero sopraffino, naturale successore del precedente a nome Morbus Chron, gruppo certamente debitore di ciò che di grande han fatto gli Opeth, e loro degnissimi e forse unici successori perchè non si limitano a ripetere pedissequamente ma inseriscono una buona percentuale di loro originalità.
INFORMAZIONI
2020
Ván Records
Prog Death
Tracklist
1. The Spark
2. By Virtue of a Promise
3. Reduced to an Ember
4. The Sole Importance
5. Mycelia
6. Solemn Retreat
7. Visceral Blight
8. Sanctum Sanctorum
Line Up
Robert Andersson (Voce, Chitarra, Basso)
Isak Koskinen Rosemarin (Chitarra)
Jesper Nyrelius (Batteria)

Musicisti ospiti:
Marcus Mohlin (Tastiere, Synth, Pianoforte)
 
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