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Helfir - The Journey
08/01/2021
( 1229 letture )
Galeotto fu quel tour di supporto agli Antimatter nel 2013: uno dei risultati maggiormente ambiti dal musicista e compositore Luca Mazzotta, il nostro era già riuscito a raggiungerlo prima ancora di intraprendere una carriera discografica vera e propria.
Bisogna riconoscere che in quella demo risalente a otto anni fa ci doveva essere del materiale seriamente interessante, tanto che l’etichetta My Kingdom Music decise subito di mettere sotto contratto Mazzotta e dare così il via alla produzione in studio del progetto Helfir. Il primo album, intitolato Steel Bleeding e datato 2015, è un successo e fa sì che Mazzotta guadagni la possibilità di andare in tour con gli Orphaned Land; segue poi il secondo disco The Human Defeat che si conferma su livelli elevati grazie ad una scrittura bilanciata sebbene debitrice di band come Katatonia ed Antimatter, per l’appunto.
Sotto il nome di Helfir infatti Mazzotta sfoga le proprie pulsioni più nere e decadenti, le quali si riversano in composizioni prettamente gothic metal con sfumature folk e talvolta lievemente prog. Una formula non nuova, dunque, ma che riesce ad essere in parte piuttosto personale. A tre anni di distanza dall’ultimo album il compositore sceglie di scavare ancora più a fondo nella propria intimità per confezionare il proprio disco più personale: The Journey, come da titolo, è un viaggio tra le pieghe dell’anima di Mazzotta, un’anima delicata e cupa sebbene capace di aprirsi a momenti di grande empatia verso l’ascoltatore.

L’opera è divisa in tre ideali capitoli intitolati rispettivamente Lying On A Blue Lawn, Table of Diners e Tree of the Abyss e composti da quattro brani ciascuno ad eccezione del secondo, che ne conta invece solo tre. Le immagini che si delineano solo leggendo i titoli sono perlopiù oniriche, ma c’è spazio anche per la quotidianità come testimoniato dal secondo capitolo. Da questo punto di vista i testi di The Journey occupano una parte importante del concept globale e aiutano senza dubbio nella comprensione totale del disegno messo in piedi da Mazzotta. Musicalmente invece i riferimenti che da sempre sono alla base della musica del progetto Helfir non cambiano: ci troviamo sempre al cospetto di grandi nomi tra i quali, oltre a quelli già citati, possiamo nominare Anathema e i conterranei Novembre, anche se di questi ultimi viene mantenuta più un’ispirazione umorale piuttosto che strettamente musicale. Di per sé il fatto che si sentano chiaramente le influenze di Mazzotta non è un male, perché i brani risultano ben composti e gradevoli all’orecchio, i problemi stanno altrove: se i termini “gotico” e “decadente” fanno intuitivamente pensare a una musica lenta e riflessiva nel caso di The Journey il concetto viene estremizzato ai massimi termini, ovvero tutti gli undici brani si muovono costantemente su tempi medi con variazioni pressoché nulle a livello di ritmo e dinamica. Sicuramente non è l’obiettivo primario di Helfir coinvolgere l’ascoltatore, semmai l’intento è quello di spingerlo alla riflessione e al raccoglimento grazie alla cupezza della proposta; in ogni caso però questo continuo reiterarsi dello stesso costante ritmo attraverso brani dalla durata contenuta per un totale di cinquanta minuti scade più di una volta nella monotonia ed è un gran peccato.
L’avvio del disco infatti è uno dei migliori che ci si potrebbe aspettare: The Game si presenta con una base electro ingombrante sulla quale la voce si appoggia in maniera soffice e sommessa, creando un bel contrasto. Le percussioni sintetiche si accompagnano benissimo allo svolgimento del brano e conducono verso un finale dominato dai sintetizzatori che chiudono le danze con un forte umore synthwave. Notiamo già in questi primi minuti due fattori rilevanti: il brano ha sempre la stessa scansione ritmica e non subisce mai alcuna variazione, il che in una composizione puramente elettronica come questa non un difetto, ma alla luce dell’ascolto complessivo può diventarlo; in secondo luogo si sente come la voce di Mazzotta sia talvolta non estremamente a fuoco e più avanti nei brani lo stile trascinato applicato al canto – questo sì accostabile alla voce utilizzata da Carmelo Orlando nei Novembre – sfocia addirittura in alcune leggere stonature. Un momento realmente convincente arriva con The Past, dove la chitarra è libera di esibirsi in piacevoli virtuosismi su un tappeto ritmico prettamente doom metal; qui le componenti del brano trovano modo di incastrarsi bene, riuscendo a costruire un quadro intenso e vario che si lascia ascoltare e riascoltare. Diversa, ma altrettanto indovinata, la ballata acustica Clouds, durante la quale Mazzotta dimostra di essere in grado di orchestrare un brano tutto sommato semplice rendendolo profondissimo e avvolgente. Impossibile credere che non sia voluta la citazione al tema principale di Halloween firmato da John Carpenter suonata dai synth che aprono e puntellano la martellante The Gathering, che però oltre all’omaggio ad uno dei padri dell’horror moderno si fa notare per poco altro.
In generale la seconda parte dell’album brilla meno, per tutti i motivi già citati in precedenza e i brani che spiccano riescono a mostrare i muscoli meno di quanto potrebbero se fossero posizionati in una scaletta più snella: No Escape nella sua prevedibilità è un ottimo brano se preso a se stante e le pulsioni gotiche e decadenti della voce e della chitarra riescono finalmente a trovare un punto di incontro saldo e credibile; peccato che posizionato a questo punto del disco corra il rischio di passare in sordina.
Altro brano che avrebbe meritato una sorte migliore è Tied to the Ground, un’altra dimostrazione di gothic metal convincente e godibile grazie anche a un minutaggio inferiore ai quattro minuti. Sempre apprezzabile l’intermezzo atmosferico che serve da rampa di lancio per un altro pregevole momento chitarristico. Sicuramente infatti Mazzotta si trova a suo agio con la chitarra in mano, molto più che dietro al microfono, per esempio, e attraverso questo strumento tira fuori il meglio dalle proprie composizioni. Delude invece il finale affidato alla voce femminile di Tamara My, che non lascia il segno sull’ennesimo brano sulla scia dei Katatonia più crepuscolari, il quale soffre però di un minutaggio prevedibilmente più elevato e di un uso della voce dell’ospite veramente anonimo.

Non si mette affatto in discussione che The Journey sia un album importantissimo a livello personale per Luca Mazzotta, ma il risultato globale è piuttosto altalenante: al fianco di brani indovinati ve ne sono troppi che non spiccano mai il volo e il rischio che la noia insorga è vivido in più di un’occasione. La varietà poi è la grande assente e l’omogeneità che permea la maggior parte della musica qui contenuta diventa con gli ascolti sempre più invalidante per la longevità del disco. Dietro il progetto Helfir vi è tanta conoscenza e un’alta dose di professionalità, ben percepibile ascoltando la produzione di The Journey e la disposizione degli elementi strumentali all’interno dei singoli brani, ma quello che manca in questo disco è una scintilla che faccia decollare definitivamente la musica di Mazzotta, scintilla che fino al disco precedente eravamo sicuri che sarebbe scoccata proprio in questo album. Non è stato così purtroppo, anche se rimane un pugno di belle canzoni che dimostrano che parliamo di un musicista capace di fare cose egregie. Non rimane altro che riporre le nostre speranze sul prossimo album, convinti di poter ascoltare finalmente un’opera completa in tutte le sue parti.



VOTO RECENSORE
68
VOTO LETTORI
32.81 su 16 voti [ VOTA]
INFORMAZIONI
2020
My Kingdom Music
Gothic
Tracklist
1. The Game
2. In My Dream
3. The Past
4. Clouds
5. In the Pale Land
6. The Gathering
7. No Escape
8. Traces of You
9. Tied to the Ground
10. Uncensored
11. Silent Path
Line Up
Luca Mazzotta (Voce, Tutti gli strumenti)

Musicisti Ospiti:
Tamara My (Voce su traccia 11)
 
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