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26/04/24
KARMA
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Stoned Jesus - First Comunion
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23/01/2021
( 617 letture )
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La storia degli Stoned Jesus inizia in Ucraina, nell’ormai non tanto più vicino 2010, con l’incisione -al di là di un paio di demo- del primo full length First Comunion. Nonostante questo lavoro sia tanto ricco di cliché, quanto derivativo in termini di sound, è incredibile vedere come le intenzioni del platter delineassero già una linea nitida verso il futuro stile della band. Seven Thunders Roar (2012) è di certo disco che ha consacrato la band al pantheon delle nuove promesse dello stoner, ma per capire come ci si è arrivati, un giro di passaggio su First Comunion è d’uopo. La band di Igor e compagni eredita a piene mani dai capisaldi del genere: atmosfere heavy blues alla Kyuss e impianto voce e chitarra completamente rivolto allo stile dei Black Sabbath. Insomma, riferimenti classici, condivisi da un’orda di band del genere. Ciò che risveglia l’attenzione nello stile degli ucraini tuttavia è che con il passare degli ascolti ci si rende conto che i brani non sono del tutto costruiti sulle spalle delle band citate. I riferimenti stilistici vengono scomposti e usati per arricchire composizioni longeve che risultano lontane dalla classica forma canzone e al tempo stesso profondamente hard rock, ricordando (almeno come approccio puramente strutturale) i Led Zeppelin.
Rimanendo in tema anni settanta, una citazione di Alucarda (film horror messicano del 1977) adorna il primo brano del platter. Occult apre le danze con i tipici tempi lenti dello stoner doom, lasciando all’ascoltatore diversi immaginari cupi e decadenti, in totale riferimento all’opera cinematografica appena citata. “Now we hide in forests and caves We are the blasphemous children Our witchcraft is saving the day Time will come to end kneeling” (Occult) Poco dopo i sei minuti, lo stacco di chitarra introduce un nuovo riff e una sezione più rapida e strafottente, che tra una produzione grezza e una semplicità tipica del rock ‘n’ roll coinvolge e colpisce più di tanti altri. Il cambio di mood è repentino e geniale, ed Occult è la dimostrazione di come, le idee semplici e libere, a volte possano dipingere tele estremamente nitide, tra soli di chitarra gonfissimi e sovraincisioni che armonizzano i riff. Red Wine invece è il brano più corto del lotto e si muove su strutture più semplici, tuttavia con un buon carattere.
“This beautiful skin you have just drives me insane I cannot sleep, cannot eat, and you are to blame Your black eyes are cruel but I want you to be mine And one of these nights I swear I'll drink your red wine, yeah!” (Red Wine)
Sia da un punto di vista sonoro e tematico Red Wine è un blues 2.0, nonostante la forte matrice doom, non perde di sensualità, disperazione e sporca arroganza. La band gioca molto con le dinamiche dei volumi, fra crescendo e momenti di maggiore attenzione in cui la cassa si riempie e si svuota di continuo, dando un incedere pomposo al pezzo. Il finale conferisce una sfumatura rassegnata e tragica alla canzone, sull’ultimo tiratissimo solo di chitarra. Black Woods invece è il pezzo che più strizza l’occhio, fra la longevità e l’approccio stilistico, a quello che accadrà nel futuro della band con Seven Thunders Roar. Il riff iniziale di chitarra è il cardine di tutto il pezzo, poiché andrà a ripetersi in maniera ossessiva, senza stancare mai. Il pezzo risulta immediato e coinvolgente, sfruttando proprio la ripetitività come veicolo per calarsi profondamente nella scelta musicale e nel mood proposto dalla band. L’ossessione è catartica e si rompe nel momento del solo di chitarra, che si muove sinuoso su un tappeto retto dalla sola sezione ritmica di basso e batteria. Il trio segue un percorso solidissimo mentre tutto intorno cambia inesorabilmente, per poi ripartire da dal punto d’inizio con il medesimo riff d’apertura. Le citazioni ai Black Sabbath -questa volta non solo nel sound ma anche nel cantato dall’impronta puramente narrativa- sono ovunque, tuttavia il pezzo funziona incredibilmente bene, risultando estremamente godibile sia per gli avvezzi al genere che non. A mettere la ciliegina sulla torta vi è la breve e rapida sezione finale, che rompe totalmente con gli schemi di quanto ascoltato fino ad ora concedendo -sui secchi colpi dei rullanti- un finale epico ed inaspettato al brano. La produzione acerba e graffiante filtra, in maniera tanto sgraziata quanto autentica, l’apertura affidata a basso e chitarra di Falling Apart. In questo pezzo conclusivo subentra una dose massiccia di psichedelia, grazie anche ad un cantato onirico sia in termini di sound che di tematiche.
“Falling apart we proud We're too close to the sun Heat we felt was so loud Burnt us down to the ground Spiraling down we go From the Sun to the core Drifting in clouds we float on Into the nevermore” (Falling Apart)
La dimensione del mito prende forma nei riferimenti a Icaro che si avvicina al sole, cadendo successivamente dall’alto dei cieli fino al nucleo della terra. La moltitudine di effetti usati, tra delay, reverberi e armonici tende a impastare leggermente la proposta musicale, riuscendo tuttavia nella missione psichedelica della band. Gli Stoned Jesus proseguono la loro crociata con un riff di chitarra che rimanda in parte al mood di Black Woods, per via dell’impronta anni settanta e la sua forte ripetitività. Ancora una volta vengono usate le dinamiche, mischiate al campionamento delle voci (progressivamente sempre più effettate nel tempo) per creare un crescendo mistico, disturbante e psichedelico. Il climax diventa un tappeto per una lunga improvvisazione di chitarra, dove diversi toni -tra alcuni più ruvidi e altri più acquosi e fluidi- si danno il cambio in assoli di chitarra, rumori di fondo e feedback. Ritornano le voci nella nostra testa e lentamente veniamo accompagnati verso la fine del trip, in un finale che riesce a rimettere a posto le cose dal caos. La produzione di questo lavoro è chiaramente quella di una band che si approccia al primo full length: ruvida, con delle sezioni che impastano un po’ i suoni e di conseguenza in alcuni punti caotica. Tuttavia quest’ultima, sempre considerati i tempi d’esordio, funziona egregiamente nel genere, soprattutto nelle parti che strizzano l’occhio alla psichedelia. First Comunion è un po’ come il novellino del gruppo che dice la sua, in maniera inaspettata e senza usare tutte le parole giuste, o magari usando le parole degli altri, dicendo tuttavia la cosa giusta. Il platter lascia una gran voglia di essere riascoltato e risulta piacevolmente fruibile anche ai non amanti del genere, visti i tanti riferimenti anni settanta e -nonostante le influenze doom- un’innata leggerezza di fondo. Successivamente gli Stoned Jesus raffineranno sia il songwriting che l’accuratezza del suono, consacrando uno stile svincolato dalle strutture più classiche e decisamente di qualità. Intanto non ci resta che recuperare un debutto che mette delle ottime carte in tavola.
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Gruppo che mi ripropongo di approfondire da eoni. Prima o poi troverò la via verso la luce. |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Occult 2. Red Wine 3. Black Woods 4. Falling Apart
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Line Up
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Igor (Voce e Chitarre) Nick Cobold (Basso) Alexander EphirZ (Batteria)
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RECENSIONI |
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