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19/04/24
DESPITE EXILE + LACERHATE + SLOWCHAMBER
BLOOM, VIA CURIEL 39 - MEZZAGO (MB)
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23/01/2021
( 1128 letture )
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Uno dei gruppi della scena progressive -anche e soprattutto prog death- più sottovalutati e ignorati degli ultimi anni sono sicuramente i Persefone. Band andorrana nata agli inizi degli anni 2000, questa è sempre stata, seppur piuttosto silentemente, una realtà di un’originalità e profondità compositiva non alla portata di tutti, sia per stile che per songwriting nudo e crudo. Ancora oggi poi risultano perfettamente funzionanti i primissimi lavori della formazione, nella loro immaturità ma estrema giovinezza nel defluire di sentori progressive, death, black e technical tutti mescolati in un calderone di violenza incontrollata. Ad oggi tale calderone è fermo da svariati anni, da quel Aathma del 2017 in cui converse tutto ciò che di buono c’era nei lavori precedenti e specialmente in Spiritual Migration, il capolavoro assoluto della band. In questa sede è però fondamentale fare un passo indietro, un passo successivo al debutto Truth Inside the Shades, ma precedente al concept album nipponico -anch’esso più che interessante- Shin-Ken: il secondo lavoro nonché concept sulla dea che dona il nome alla band stessa, Core. Il disco in questione si dipana in più di un’ora, suddivisa in tre imponenti suite a loro volta suddivise in atti e poi in sottosezioni. Un album sicuramente impegnativo ma anche perfettamente incasellato che, nonostante alcune scelte definibili acerbe, riesce a imporsi come il disco più controverso e idiosincratico della discografia dei Persefone.
L’IMMATURA: “SANCTUARY: LIGHT AND GRIEF” I suoni della natura aprono questa suite ancor prima del riff cupo e death su cui si poggerà tutto il brano. Sin da subito si subirà la sporcizia della produzione, grezza, a tratti ovattata e incapace di valorizzare a dovere le linee di basso e alcune scelte ritmiche alle pelli; ma comunque tutto funziona e non sarà difficile arrivare alla conclusione del disco senza dare troppo peso a tali sbavature. Il cantato di Marc Martins Pia è una danza tra uno scream acido e un growl cavernoso belluino. La bestialità di ciò che costituisce il sound dei Persefone viene però spesso imbastita come contrappeso alla pacatezza dei bridge, dei giri cervellotici variopinti o addirittura romantici. Eppure si godrà senza dubbio ad assistere a questo balletto, alle sfuriate death o riff black interrotti dalle sfumature da ballad con basso e arpeggi alle sei corde che accompagnano le linee vocali di Marta Masafret. L’offerta non si ferma di certo qui, i ritmi controtempo ci trasportano per mano in questo viaggio annichilente con note di eleganza greca, un viaggio in cui gli accordi minori si sposano con i growl oscuri e poi in clean con elementi digitali. La preparazione con cui bisogna approcciarsi a questo disco -che ricordo essere del 2006- deve essere assoluta, in quanto gli andorrani non spendono un secondo fortuitamente. Ogni passaggio è frutto di studio della scena metal più brutale sino alla musica classica, dagli Opeth arrivando persino ai Children of Bodom, basta sentire l’esplosione dopo l’intro di piano nell’ultimo atto per provarlo. Il finale romantico con tanto di narrazione si conclude in un climax ritmico martellante, un guitarwork eccellente solistico e il cantato impazzito. La sporcizia di questa prima suite, le sue idee ragionate ma ancora non perfettamente amalgamate e la dicotomia luce/buio tipica della band sono qui solo in una fase spuria, motivo per cui non si può che godere di questo brano ma ammettendone i limiti.
L’OSCURA: “UNDERWORLD: THE FALLEN AND THE BUTTERFLY” L’inizio sinistro va subito al punto con un riff tagliente, rapidissimo e distruttivo con una vena funerea. Sezioni alla Dream Theater imbandiscono labirinti nella più cupa violenza, storpiata dalle linee di tastiera sempre pronte a supportare il songwriting. Il growl qui già si fa eccellente, si confà ancora meglio con il brano e viene scritto con una dovizia di particolari impressionante. Il guitarwork riesce ad essere così tenebroso che anche nei contesti più romantici non ci si sentirà al sicuro, facendo godere le orecchie più esigenti. Una fase concitata nel primo atto ci investe con tempi composti, sincopi e poliritmie in una sezione cervellotica fuori di testa, interrotta bruscamente da toni solenni. Il secondo atto viene aperto da un arpeggio delicato, una ballad con tratti stoner ma anche estremamente freddi e ragionati. La ritmica in 4/4 e il cantato fanno sì che l’ascoltare precipiti in tonalità lovecraftiane, concludendo questa intima seconda parte. Rullante militare in un groove quasi doom ed ecco che il respiro dell’ascoltatore deve fermarsi nuovamente dinanzi alla distruttività del cantato tra growl e scream. Arie liturgiche ma, quasi paradossalmente, anche belliche sfociano in chitarre rapide, sintetiche e mai inefficaci. Il lavoro alle pelli di Josa è magistrale, e il suo doppio pedale cadenzato ad arte. Plauso finale alle ennesime linee di Marta e alla sezione solista di chitarra: ciliegine sulla torta di un pezzo memorabile.
LA VIRTUOSA: “SEED: CORE AND PERSEPHONE” La pacatezza è l’incipit di Seed, un brano le cui prime note risultano maggiormente ragionate che furenti. Un lavoro di chitarra e basso annunciano l’esplosione magnetica, ricca di influenze di tutto il prog “tripla A”. La suite in questione dona più adito all’armonia e alle partiture piuttosto che alle sezioni vocali, comunque ottime a livello compositivo. Giri alla Mastodon ripetuti con una pulizia di esecuzione sopraffina, idee mai banali in cui la radiofonia di alcune variazioni si intersecano in cascate di brutalità e delicatezza. Tastiere eleganti che conducono il bianco in questo percorso decisamente nero, chiudendo il tutto in un valzer che ancora una volta ci delizia e ci fa venir voglia di rivivere tutto.
A distanza di 15 anni dunque non si può negare che i Persefone realizzarono un disco incredibile, un ennesimo lavoro eccellente in una discografia in cui ogni album ha il suo perché e i suoi motivi di esistere, Core in primis. Tre suite che risultano tre vasi di Pandora in cui vi sono contenuti sempre diversi e nuovi; ogni suite ha la sua personalità, i suoi difetti ma anche i suoi pregi, andando incontro ai gusti di ogni metallaro che si rispetti. Ciò che ci possiamo augurare è dunque che a breve sarà per noi tutti possibile mettere le mani su un nuovo disco del gruppo, ritornando nel loro mondo fatto di oscure selve e di catartiche luci, di paralizzanti urla e di consolatori sospiri.
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2
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Bellissimo album, da rispolverare davvero |
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1
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Che disco, che band. Voto corretto, lo alzo solo a 85 perché per me nel genere che propongono sono al top. Nota di merito alla band: quando sono venuti a suonare a Milano in un buco alla fine del concerto sono usciti tra il pubblico a ringraziare tutte le persone presenti. |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Sanctuary Act I: Goddess Wrath 2. Sanctuary Act II: Light’s Memories 3. Sanctuary Act III: Exiled to the Void 4. Sanctuary Act IV: To Face the Truth 5. Underworld Act I: Clash of the Titans 6. Underworld Act II: Dark Thoughts from a Dark Heart 7. Underworld Act III: When the Earth Breaks 8. Underworld Act IV: Released 9. Seed Act I: A Ray of Hope 10. Seed Act II: Self Betraying 11. Seed Act III: Doubts are Seed 12. Seed Act IV: Dark Inner Transition 13. Seed Act V: The End
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Line Up
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Marc Martins Pia (Voce) Carlos Lozano Quintanilla "Rüdiger" (Voce e Chitarra) Jordi Gorgues Mateu "Alden" (Chitarra) Miguel Espinosa "Iawr" (Voce e Tastiere) Toni Mestre Coy "Fragment of Silence” (Basso) Aleix Dorca Josa (Batteria)
Musicisti ospiti Marta Masafret (Voce)
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