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Eximperitus - Sahrartu
28/01/2021
( 730 letture )
Bisogna ammetterlo, pochi avrebbero puntato qualcosa sugli Eximperitus, e il perché è presto detto: quelli che oggi conosciamo con un moniker tutto sommato normale si sono fatti notare da subito per il nome intero composto da ben cinquantuno lettere e per il titolo del debutto a decisamente particolari. Si sa, certe uscite, oltre ad avere l’innegabile capacità di attirare attenzioni (e infatti sono sotto Willowtip Records dopo aver esordito per Amputated Vein Records), mettono sempre un po’ di sfiducia in chi inevitabilmente bolla tali uscite come trovate che servono a poco. Eppure, dietro tutto questo, si scopre un gruppo che va contro ogni aspettativa.

Sorprenderà sapere che i biellorussi, di cui non sappiamo nulla, sono attivi da ben dieci anni, possono vantare una compilation dedicata solo ed esclusivamente al mercato cinese (暗黑艺术执政 (trad. Dark Art of Power), 2018) e la lingua utilizzata per i testi è una versione traslitterata del biellorusso arcaico. Sono piccole particolarità che però aiutano a dare più serietà ad un gruppo che rischia di passare solo come “quel gruppo dal nome lunghissimo”. Šahrartu è un disco in cui il death metal è presente in una forma inaspettata e diversa da quanto si pensi. Di primo impatto sembrerebbero un gruppo dalla proposta moderna, magari sulla scia di Ring of Saturn o The Zenith Passage, ma nulla di tutto ciò, perché i tre sono vicini ai vecchi Nile più di quanto si possa pensare, ed è qualcosa che era possibile ascoltare già sul debutto di cinque anni fa. Le sei tracce si muovono inoltre su durate che vanno dai cinque ai ben dieci minuti, escluse intro e outro da tre, fattore che lascia presagire a brani ben articolati e perché no, anche in grado di rievocare atmosfere care al gruppo di Karl Sanders. Le melodie dai richiami orientali dell’intro diventano in poco tempo una costante del lavoro, essendo parte fondamentale in ogni singolo passaggio; anche quando i tre decidono di accelerare e lanciarsi nell’accoppiata riff serrati/blast beat, non si arriva mai ad avere della violenza fine a sé stessa, ma il tutto rimane molto legato ad un senso armonico decisamente riuscito. Il tutto viene naturalmente arricchito da tecnica sopraffina, che però, a differenza di quanto riscontrabile nei Nile, è meno un po’ meno presente ed esagerata. Si parla più che altro di rapide scale e qualche veloce riff eseguito ad alta velocità, come riscontrabile su Tahâdu, ma niente che possa davvero andare a togliere impatto a dei brani che dall’inizio alla fine del lavoro puntano tutto sul ricreare un’atmosfera dai toni mistici e oscuri; il tutto avviene non solo con l’intreccio tra le sei corde ma anche con l’utilizzo di tastiere e altre piccole aggiunte che rafforzano strutture pensate proprio per essere suggestive. I tre fanno infatti un utilizzo a dir poco massiccio e strabordante di riff più rocciosi e dilatati, perfetti per enfatizzare melodie e, con l’aiuto di un growl cavernoso e con il fondamentale lavoro della solista, la potenza data dal muro sonoro che si viene a creare. A differenza del debutto infatti abbiamo una produzione più inquadrata, in senso che sembra maggiormente adatta a quanto fatto dai tre, che con Inqirad raggiungono sicuramente l’apice del lavoro: un lungo brano da dieci minuti in cui mettono tutto il loro amore per le tematiche e questo tipo di death metal. Un brano principalmente composto da riff lenti, pesanti e che danno al tutto dei toni epici decisamente azzeccati. Sembrerebbe un lavoro quasi perfetto, ma dopo aver familiarizzato meglio con i quasi quaranta minuti del disco, non si può non fare a meno di sentire quanto i tre siano anche fin troppo debitori dei Nile. Sostanzialmente, i tre hanno preso come punto di riferimento i Nile dei primi tre album, concentrandosi sui pezzi più lenti ed epici. È qualcosa che però rende il disco riuscito solo in parte, perché se da un lato non si può negare che il tutto riesca ad intrattenere dall’inizio alla fine grazie a brani comunque piacevoli e che, ad eccezione del gruppo maestro siano pochi in giro a fare qualcosa di questo tipo (gli egiziani Crescent, in parte i Maat o gli Apep), dall’altra è impossibile non vedere il progetto come un'esplicita dichiarazione d’amore per uno stile molto ben delineato e iconico. Non parliamo di plagio, e sarebbe facile cadere in questo errore specialmente quando si utilizzano melodie orientali piuttosto semplici, ma di qualcosa che sa troppo di già sentito ed è privo di una personalità che permetta ai tre di compiere un salto di qualità più marcato.

Sembra quasi paradossale se si tiene conto di quanto detto all’inizio: da un gruppo che rischiava di essere vittima del pregiudizio ci si ritrova a fare l’errore di considerarlo autore di un capolavoro solo perché tale pregiudizio non ha trovato riscontro. Nonostante tutto Šahrartu è un album non da buttare e decisamente godibile se si cerca qualcosa che richiami i vecchi Nile, specialmente in termine di suoni. Un disco che bene o male si assesta sui livelli del debutto e che quindi non fa gridare al miracolo; da evitare? Se si cerca qualcosa di più personale, probabilmente sì, se siete invece alla ricerca di quanto descritto, gli Eximperitus potrebbero fare al caso vostro.



VOTO RECENSORE
64
VOTO LETTORI
55.5 su 6 voti [ VOTA]
El Faffo
Domenica 31 Gennaio 2021, 17.42.35
1
Beh capisco non sia per tutti, vienimi a dire che "Inquirad" non spacca e non ha personalità... Oppure che la produzione non è migliore degli ultimi lavori dei Nile!
INFORMAZIONI
2021
Willowtip Records
Death
Tracklist
1. Šaqummatu
2. Utpāda
3. Tahâdu
4. Anhûtu
5. Inqirad
6. Riqûtu
Line Up
Sconosciuta
 
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