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Asking Alexandria - The Black
29/01/2021
( 812 letture )
È sempre un’arma a doppio taglio recensire dischi a cui si è legati affettivamente poiché il rischio di non essere obiettivi è dietro l’angolo, così come la tentazione inconscia di sovrastimare il reale valore di alcune tracce che occupano una nicchia importante nel cuore di chi scrive.
The Black è stato fondamentale in un periodo molto complicato della mia vita e mi ha aiutato tantissimo nell’affrontare demoni come la solitudine e crisi varie che ai lettori giustamente non interessano: basti sapere che l’ascolto di questo platter (in particolare la title-track, I Won’t Give In, Send Me Home e Here I Am) è stato per me un’ancora di salvezza ed è quindi anche con un pizzico di emozione che mi appresto a parlarne. Cercherò di scindere in maniera netta il redattore dal fan, ma in ogni caso chiedo venia in anticipo se in alcuni punti dovessi confondere i due ruoli.

Detto questo, partiamo con la trattazione vera e propria: gli Asking Alexandria, dopo l’acerbo esordio Stand Up and Scream (totalmente debitore dell’”electronicore” degli Attack Attack!), crescono in fretta e sviluppano uno stile più personale svelando influenze insospettabili al di fuori del canonico metalcore. Nel 2010 infatti esce l’EP Life Gone Wild contenente due cover degli Skid Row e nel 2012 si replica con un’altra pubblicazione incentrata su reinterpretazioni di gruppi icona degli anni ’80 come Mötley Crüe, Journey, Whitesnake e Def Leppard.
Il cambiamento si fa tangibile già in Reckless & Relentless, dove l’EDM e i sintetizzatori molesti vengono sostanzialmente defenestrati in favore di un post-hardcore/metalcore compatto e rabbioso, ma è con il terzo full-length From Death to Destiny che la band raggiunge la definitiva maturità stilistica e compositiva. La sezione strumentale smette di intestardirsi sulla ripetitività dei breakdown e, senza rinunciare alla spigolosa aggressività del genere, amplia i suoi confini dando importanza ai riff di chitarra che ora risultano più studiati e policromi; intrigante è anche la scelta di introdurre, al fianco di un utilizzo ragionato dell’elettronica, parentesi orchestrali capaci di donare ai brani gravitas ed eleganza. Perfette testimonianze di questo nuovo corso sono Break Down the Walls, The Road e soprattutto Moving On, una power ballad hard rock magistralmente interpretata dal timbro “adulto” di Danny ormai libero dalle scorie emo del passato.
Se la strada per gli Asking Alexandria sembrava dunque spianata, nel gennaio 2015 arrivò un annuncio scioccante che sconvolse tutti i fan: il singer comunicò infatti la sua decisione di lasciare la band per dedicarsi a un nuovo progetto, il supergruppo rock We Are Harlot. Gli altri membri, scottati dall’accaduto, non persero tempo e si misero subito alla ricerca di un sostituto trovandolo in Denis “Stoff” Shaforostov, il classico ragazzo della scene phase tutto frange e pantaloni strappati divenuto famoso grazie al suo canale Youtube in cui postava cover dei suoi idoli, AA in primis. Il giovane ucraino aveva già due esperienze alle spalle, i Make Me Famous (un unico album nel 2012) e i Down & Dirty (qualche singolo e niente più), entrambi palesi rip-off degli inglesi e se a ciò si somma che era già sotto contratto con mamma Sumerian, la scelta davvero non poteva essere più facile.

Con lui al microfono esce nel marzo 2016 The Black, preannunciato dal chitarrista/mastermind come un album connotato da una forte impronta arena-rock.
Il quarto disco di inediti difatti si allontana dalle pesantezza dei due predecessori e si configura come un lavoro a metà tra una sorta di alternative e un metalcore leggero, catchy e infarcito di quei cori/vocalizzi da stadio utili a giocare con il pubblico in sede live. Non troviamo più breakdown massicci o elettronica da dancefloor, bensì composizioni che puntano al mainstream in virtù di un uso preponderante della melodia e di fascinose orchestrazioni sinfoniche, il tutto a discapito della tipica energia grezza di marca -core che qui, pur presente, risulta decisamente stemperata e addolcita.
A riprova si possono citare l’accattivante ma edulcorata Let It Sleep, l’emozionante title-track con la sua coda solo piano-voce o Sometimes It Ends (aperta e chiusa da estratti di interviste in cui Ben Bruce dà l’addio all’ex cantante), tracce sì caratterizzate da chugging riff e da harsh vocals notevoli eppure è innegabile l’alleggerimento complessivo del sound rispetto alla ferocia delle composizioni del passato. Se l’anthem I Won’t Give In, pur nella sua immediatezza, mi mette i brividi ogni volta, non posso dire lo stesso per The Lost Souls e Just a Slave to Rock ‘n’ Roll, la prima esageratamente carica di cori (un po’ alla 30 Seconds to Mars se vogliamo) e la seconda impregnata di una rabbia costruita e di maniera che ha ben poco di spontaneo.
Il disco poi continua alternando in maniera piuttosto netta i diversi volti della band: quello emotional delle ballad radiofoniche Send Me Home e Here I Am (sentitevi She Hunted Me dei Make Me Famous per capirne l’origine), quello ruffiano della strappalacrime Gone, tutta archi e piano, e infine quello dove l’indole metalcore riaffiora con prepotenza grazie a brani come Undivided (piccato dissing contro Worsnop), We’ll Be Ok e la conclusiva Circled by the Wolves, a metà tra lo stile canonico del -core e la persistente tendenza corale arena rock.
A distanza di ormai cinque anni dalla sua uscita, The Black è un album che continua a far discutere e a dividere la fanbase: col senno di poi, possiamo dire che si colloca in un ambiguo limbo all’interno della discografia del combo di York, inferiore a Reckless & Relentless e a From Death to Destiny ma superiore ai lavori che hanno visto il rientro del figliol prodigo Danny Worsnop, proponenti un alternative pop-rock vicino agli ultimi Bring Me The Horizon senza riuscire ad eguagliare la qualità di quest’ultimi.
Il “colpevole” non è dunque Denis Shaforostov, autore di un’ottima performance globale tanto nello scream/growl quanto nel cantato pulito, bensì il reparto strumentale, reo di aver ammorbidito eccessivamente il sound tramite la drastica riduzione dell’attitudine in your face tipica del metalcore in favore di una proposta radio-friendly tutta cori e melodie. Nessuna delle dodici tracce, se presa singolarmente, è insufficiente o da buttare, ma la sensazione è che sia proprio l’insieme a mancare di mordente, soprattutto se si fa il confronto con quanto pubblicato prima.

In conclusione, il buon Denis si è trovato nel posto giusto ma al momento sbagliato e il suo lascito (ricordo che è stato cacciato nell’ottobre 2016) rimane così un più che discreto album che però poteva essere migliore. Ora ci sta riprovando con l’ennesimo nuovo progetto -i Drag Me Out- e vedremo se stavolta le cose per lui andranno meglio; da suo fan glielo auguro sinceramente.



VOTO RECENSORE
75
VOTO LETTORI
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INFORMAZIONI
2016
Sumerian Records
Metal Core
Tracklist
1. Let It Sleep
2. The Black
3. I Won’t Give In
4. Sometimes It Ends
5. The Lost Souls
6. Just a Slave to Rock ‘n’ Roll
7. Send Me Home
8. We’ll Be OK
9. Here I Am
10. Gone
11. Undivided
12. Circled by the Wolves
Line Up
Denis “Stoff” Shaforostov (voce)
Ben Bruce (chitarra, cori, voce su tracce 2, 10)
Cameron Liddell (chitarra, cori)
Sam Bettley (basso)
James Cassells (batteria)
 
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