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25/04/24
MARDUK + ORIGIN + DOODSWENS
AUDIODROME, STR. MONGINA 9 - MONCALIERI (TO)
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Avenged Sevenfold - Waking the Fallen
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30/01/2021
( 1849 letture )
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ODI ET AMO Sembra difficile trovare una correlazione tra il celebre carme di Catullo e la carriera degli Avenged Sevenfold ma, a ben pensarci, non è nemmeno così arduo. Da anni ormai, se non addirittura dall’inizio della carriera, la band statunitense oscilla tra critiche cocenti ed elogi appassionati. Più numerose le prime che i secondi, a voler essere onesti. Per questo è bene cercare di non vestire i panni del fan, né tantomeno del detrattore del quintetto, ed analizzare in maniera fredda ed equa Waking The Fallen, seconda fatica discografica del gruppo di Huntington Beach. A differenza dell’esordio, si registra un cambio nella lineup dove il bassista Johnny Christ fa il suo ingresso per rimanerci in pianta stabile fino ad oggi, per una permanenza quasi ventennale. Per il resto, le fondamenta sono quelle che hanno accompagnato gli Avenged Sevenfold durante il loro periodo migliore: alla voce Matt Shadows, alle sei corde troviamo Synister Gates e Zacky Vengeance e infine alla batteria il compianto e talentuosissimo The Rev, anima e mente della band californiana.
Le differenze con il precedente Sounding The Seventh Trumpet sono evidenti e le fortissime influenze metalcore degli albori sono qui quasi totalmente svanite. In questo potremmo asserire che gli statunitensi siano stati tra i precursori di questo genere nel nuovo millennio, quando ancora non era molto appetibile per le masse e ci si doveva accontentare di locali di medio-bassa capienza per proporlo al pubblico. Sicuramente lo scarso appeal del primo disco, di cui i più ricorderanno solamente la ballad Warmness on the Soul, fu uno dei motivi per i quali gli Avenged Sevenfold virarono verso altri lidi, trovando più consensi e spostando il mirino verso un heavy metal che negli anni si è mostrato essere la scelta azzeccata. L’omonima Waking The Fallen è l’opener perfetta per spianare la strada alla successiva Unholy Confessions, unico singolo lanciato per promuovere il disco poi pubblicato sotto l’etichetta Hopeless Records, prima dell’arrivo della ben più celebre Warner Bros. con cui inizierà una proficua collaborazione. Di metalcore ci è rimasto lo scream di Matt Shadows durante le strofe che poi lascia spazio ad un cantato pulito e dolce nei ritornelli, per una traccia che oggi, a diciotto anni di distanza, è ancora una delle meglio riuscite non solo di questo album, ma della loro intera discografia. Dovendo utilizzare un solo aggettivo per descriverla, la definirei piacevole, non stanca mai nemmeno dopo innumerevoli ascolti. Un frenetico rullare di tamburi da parte di James Owen Sullivan, in arte The Rev, apre Chapter Four, più cupa ed oscura della precedente, con testi che inneggiano a una vendetta sanguinolenta e la massiccia presenza del cantato ancora una volta violento del frontman. Verrebbe da dire i bei tempi in cui Matt Shadows poteva sfoggiare quella tecnica, ad oggi soprattutto in sede live le corde vocali non rispondono più alla stessa maniera. La stessa produzione in studio infatti si è dovuta adeguare, ma non per questo è meno godibile o apprezzabile, basti pensare alla performance messa in campo in The Stage che si è assestata su ottimi livelli.
Passiamo poi a Remenissions, di stampo decisamente metalcore, nella quasi interezza del brano. Si parla di religione, dell’inizio e della fine, di come l’uomo non abbia reali certezze mentre invece la fede ti dia un pavimento solido su cui poggiare la propria esistenza, mentre invece, al tramonto della nostra vita, rimaniamo tutti confusi senza risposte in mano. Un pezzo convincente, inframezzato da alcune breve parti acustiche che si alternano ad altre più violente, testo alla mano un bel viaggio tra gli oscuri meandri della mente umana, resi da una buona tecnica dei singoli musicisti e accompagnati da una altrettanto valida prova alla voce. Fin qui, giunti al primo terzo, si possono muovere poche critiche. Un’accoppiata greve e pesante ci porta a metà disco, parliamo di Desecrate Through Reverence e Eternal Rest, quest’ultima aperta in maniera inedita da una sezione rapida e tecnica scaturita dalla sei corde di Synister Gates, non per nulla uno dei più ammirati anche al di fuori dai fan della band. Lo stesso chitarrista poi si rende protagonista di una performance di assoluto valore sia in apertura del brano Second Heartbeat, in un duetto con The Rev, ma anche e soprattutto in chiusura, dove sale in cattedra con un assolo virtuoso ed efficace. Appena prima della doppia traccia I Won’t See You Tonight troviamo una non particolarmente memorabile Radiant Eclipse. Fa sicuramente effetto trovare un brano della durata complessiva di quasi 14 minuti, se consideriamo ambo le parti di cui è composto, in una band che si professava come metalcore, le cui soluzioni stilistiche solitamente sono di tutt’altro genere e durata. Eppure i nostri si destreggiano ottimamente anche qui, tra ritornelli strappalacrime, assoli da power ballad e sezioni di pianoforte, suonato tra l’altro proprio dal polistrumentista Synister Gates. Consiglio anche ai meno avvezzi del metalcore, dell’alternative e soprattutto ai meno fan della band, l’ascolto di questa traccia, uno degli highlight nella carriera degli Avenged Sevenfold. La prima parte può essere idealmente identificata con un alter ego molto simile per caratteristiche, sonorità, durata e realizzazione, cioè Save Me, presente nella tracklist di Nightmare, dove peraltro urge ricordare la presenza di Mike Portnoy, fresco di dipartita dai Dream Theater. Molto differente poi la seconda parte, rapida e violenta all’inizio, colma di scream, più lenta e cadenzata dal riff di chitarra dopo la metà, aperta e chiusa dallo stesso grido disperato e rabbioso. Non poteva mancare una ballad, Clairvoyant Disease, conclusa in maniera docile dal trio batteria-voce-chitarra. Chiude l’album la dodicesima traccia All The Things Will End, che si muove tra alti e bassi, fino ai due minuti e mezzo finali dove la band ci stupisce con una sezione interamente strumentale dai tratti più progressivi e sperimentali, e noi non possiamo che gradirla.
Di questo Waking The Fallen troverete, cercando per il web, anche una ristampa relativamente recente, che risale al 2014, targata Warner Bros. e soprannominata Resurrected. Il disco bonus di questa versione contiene principalmente versioni live dei pezzi contenuti nell’edizione originale ma anche qualche interessante demo. Il tutto condito da un documentario su dvd, con video musicali, scene live e riprese effettuate durante le registrazioni in studio. A mio modestissimo parere si gode bene di questo album anche nella sua versione originale, ma ai fan consiglio caldamente l’acquisto se non altro per vedere in carne ed ossa The Rev che in fin dei conti è sempre emozionante. Il cambio di rotta intrapreso dagli Avenged Sevenfold fu qui apprezzato dalla critica e porterà il quintetto californiano verso il successo con la terza release City Of Evil, l’album della conferma. Particolari difetti questo secondo lavoro degli statunitensi non ne contiene, il pregio è che si fa riascoltare piacevolmente anche a distanza di molto tempo, proprio quest’anno che diventa maggiorenne, con l’ormai famoso deathbat in copertina.
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Buon disco, ma a mio giudizio viene penalizzato da eccessiva prolissità, sono molte le tracce a cui tagliere un minuto buono di durata.
Il meglio arriverà poco dopo, ciò non toglie che anche qui ci siano parecchi classici del gruppo. |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Waking the Fallen 2. Unholy Confessions 3. Chapter Four 4. Remenissions 5. Desecrate Through Reverence 6. Eternal Rest 7. Second Heartbeat 8. Radiant Eclipse 9. I Won't See You Tonight Part 1 10. I Won't See You Tonight Part 2 11. Clairvoyant Disease 12. And All Things Will End
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Line Up
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M. Shadows (Voce) Synyster Gates (Chitarra, Pianoforte) Zacky Vengeance (Chitarra) Johnny Christ (Basso) The Rev (Batteria)
Musicisti ospiti Scott Gilman (Arrangiamenti Orchestrali)
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