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Charley No Face - The Green Man
13/02/2021
( 1270 letture )
I Charley No Face sono una giovane band dell’Oregon che pubblica in formato fisico a fine 2020 l’esordio discografico The Green Man, album che proprio tra i mesi più drammatici della pandemia globale e uscite più blasonate rischia di finire colpevolmente nel dimenticatoio. Il nome della band così come il titolo dell’album prendono entrambi ispirazione da un personaggio veramente esistito in Pennsylvania, tale Raymond Robinson, che in giovane età, a causa di un terribile incidente scalando un palo della luce venne permanentemente sfigurato dalla fortissima scossa elettrica e dalla successiva rovinosa caduta al suolo. Il giovane si recluse tra i boschi della zona in cui abitava, evitando qualsiasi contatto nonché di farsi vedere di giorno, non rinunciando a lunghe passeggiate durante le ore notturne. Inutile dire che l’accaduto creò un’aura di leggenda alimentata dagli occasionali avvistamenti da parte di turisti e curiosi che contribuirono ad allargarne il mito nella metà del secolo scorso. Nel corso dei decenni successivi Robinson, impietosamente ribattezzato Charley No Face e The Green Man (per via delle macchie comparse sulla pelle dopo l’incidente), venne addirittura annoverato tra le leggende urbane americane, ispirando scrittori sia di fiction che di saggistica, con tanto di una lunga e recente gestazione in pre produzione, per ora finita nel limbo, di un film sulla sua vita e sul suo mito.

Così se l’ispirazione derivata dal folklore, da quei miti rurali tipici dei fumosi e poco documentati inizi del Novecento americano, hanno portato i quattro di Portland a battezzare il nome del gruppo con quell’infelice nomignolo, così la musica proposta si innesta nella tradizione rock anni sessanta e settanta, tinta e filtrata dalla sensibilità e dai suoni dei decenni successivi. In effetti la definizione di stoner va parecchio stretta ai Charley No Face e rischia di confinarli in un genere che solo in parte ne costituisce il DNA. Come per i più illustri colleghi All Them Witches, i quattro artisti amano giocare con le palette cromatiche di cinquant’anni di storia del rock anglofono e non si preoccupano troppo di mischiare folk cantautorale col doom, lo psych rock con lo stoner, il desert rock con sensibilità post grunge. Il tutto però è sapientemente dosato per creare un amalgama che reinterpreta stilemi usati ed abusati conferendo loro nuova vita e nuovo colore. Basta ascoltare il primo vero brano, The Red Room, per trovarsi al cospetto di una canzone di levatura superiore. Il riff iniziale riconduce ai primi anni di vita dei Monster Magnet e colpisce fin dal primo accordo, sospeso tra doom e psichedelica. Ci si inoltra più in profondità nel brano e ci si rende conto di come la voce di Nick Wulforst sia perfetta per il genere proposto. Un cantante di razza che sa quando mantenere toni suadenti e quando forzare conferendo al pezzo spessore e potenza. Così come in Gatekeeper alcune soluzioni nelle armonizzazioni vocali e negli effetti di riverbero utilizzati per i cori ci riportano agli inizi anni novanta in casa Kyuss e nei Soundgarden più liquidi e sognanti. Ma è proprio in Prism (brano scelto come singolo e annesso video promozionale) che questi aspetti si incontrano e come attraverso il prisma del titolo baluginano sfumature cromatiche a tuttotondo: riff doom portante, cori psichedelici che ci immergono negli anni sessanta, patina cupa e malinconica che sa tanto di Stone Temple Pilots e lungo assolo emulo di sua maestà Jimi Hendrix. Non è un caso quest’ultimo riferimento, visto che Endless Dream ha un incipit che omaggia il maestro della sei corde (The Wind Cries Mary), una parte corale centrale sognante ed onirica che riconduce al titolo stesso, per poi tornare sul finale di nuovo in pieno delirio chitarristico. Wasted Youth spinge sull’acceleratore e si avvertono echi e sprazzi di Jane’s Addiction, ma è in Weight of the Sun che i Charley No Face sfoderano un’altra zampata letale. Una canzone profonda e vibrante che attraverso un’immaginaria macchina del tempo unisce l’animo sognate dei The Doors ai suoni dilatati e lisergici della scena stoner e desert rock degli anni novanta. La successiva Yellow Belly non è da meno: la melodia si adagia su un letto di basso e batteria per poi sfociare in repentine accelerazioni di chitarra che culminano in un refrain dal potenziale devastante in sede live. Mancherebbe ora la portata finale di un banchetto finora sontuoso. E Master of Light è il dessert ideale, quello che rende quasi perfetto un pasto già ottimo di suo. Unico brano di una lunghezza sostenuta, otto minuti, condensa ed unisce le molteplici fonti da cui i nostri hanno attinto. Il giro di basso iniziale ci conduce per mano nella composizione che più di tutti deve ai Black Sabbath e ai loro scolari, dai The Obsessed ai Monster Magnet. Ancora una volta il gusto interpretativo dei quattro non affonda nelle sabbie mobili del plagio, ma si mantiene su terreni saldi, forte una perizia tecnico compositiva davvero rara.

The Green Man si conferma come una delle migliori uscite del 2020 e pone prepotentemente in prima fila i Charley No Face tra le nuove band più interessanti del panorama doom stoner psych rock, ma non solo. La proposta musicale è così variegata che può essere fonte d’appeal anche per chi non è avvezzo a queste sonorità. Più volte durante l’ascolto ci si chiede se l’album sia davvero un esordio, tanta è la maestria e la sicurezza dimostrate dai quattro. Ora alla storia di Charley No Face manca solo il lieto fine: un’etichetta discografica muscolare che sia in grado di trasformare i fantastici quattro dell’Oregon da sussurrata leggenda urbana a perentoria realtà dei giorni nostri.



VOTO RECENSORE
85
VOTO LETTORI
82 su 8 voti [ VOTA]
Altroquando
Mercoledì 17 Febbraio 2021, 21.33.43
3
Ascoltato al volo qualche tempo fa, mi aveva lasciato una generica sensazione piacevole che però non ho approfondito. Visto il grande entusiasmo, vediamo di riprendere dove ho lasciato.
Enrico
Martedì 16 Febbraio 2021, 16.33.33
2
Tanta qualitá.
No Fun
Sabato 13 Febbraio 2021, 17.03.05
1
Ragazzi ma cosa è questa roba, vedo la cover che mescola Enea e Anchise dell'Incendio di Borgo di Raffaello con il serpente del Peccato Originale di Michelangelo, poi mi chiedo da dove vengano il nome del gruppo e dell'album, comincio a leggere e scopro la storia assurda. Poi vado avanti e leggo paragoni con nomi incredibili. Corro ad ascoltare.
INFORMAZIONI
2020
Forbidden Place Records
Stoner
Tracklist
1. Bring Me the Heads of the Kings Parts I - IV
2. Red Room
3. Gatekeeper
4. Prism
5. Endless Dream
6. Wasted Youth
7. Weight of the Sun
8. Yellow Belly
9. Master of Light
Line Up
Nick Wulforst (Voce, chitarra)
Stephen Cameron (Chitarra, voce)
Brad Larson (Basso)
Tim Abel (Batteria)
 
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