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Dirty Honey - Dirty Honey (EP)
17/03/2021
( 1440 letture )
I miracoli discografici esistono ancora.
Baciati dal sole di Los Angeles e scaldati dalla passione per il rock ‘n’ roll più puro, quattro ragazzi venuti dal nulla hanno di fatto confermato quest’asserzione riuscendo in brevissimo tempo ad imporsi all’attenzione del grande pubblico, vuoi per la possibilità di aprire i concerti di band arcinote quali Guns ‘N’ Roses, Slash e Alter Bridge, vuoi per la diffusione capillare di un pezzo che ha centrato in breve tempo un traguardo impensabile per una band autoprodottasi.
When I’m Gone, la traccia di apertura dell’EP omonimo dei Dirty Honey, è stato infatti il primo singolo a raggiungere la vetta della Billboard’s Mainstream Rock chart assicurando ai losangelini una visibilità senza eguali e raccogliendo pareri entusiastici fra appassionati ed esperti del settore.
La consacrazione finale (badate bene: legata sempre e solo all’EP qui proposto) è giunta in concomitanza con il sold out di tutte le date previste per il primo tour americano da headliner.
É una storia di meritato successo e popolarità crescente quella legata ai Dirty Honey e non è troppo difficile, ascoltando le 6 tracce comprese nella loro, finora, unica release ufficiale, comprendere perché.

Adagiato egregiamente sulle coordinate di un hard rock settantiano misto ad echi southern e intriso di un’irresistibile vena blues, il sound dei Dirty Honey spicca per la sua capacità di risultare tanto maturo e convincente quanto di facile presa sull’ascoltatore.
I quattro, nati sotto la buona stella del rock che ha da sempre lambito i cieli della gloriosa città natale, hanno talento ed intuizione nonché la stoffa per comporre canzoni che, pur condividendo la matrice comune, sanno aprirsi a variazioni sul tema, vantando solismi avvincenti e sezioni ritmiche da urlo.
La possibilità di storcere il naso dinanzi la grinta con la quale Marc LaBelle interpreta le vocals, o alla tecnica sopraffina di John Notto e alla sua chitarra fiammeggiante che duetta spesso e volentieri negli intermezzi strumentali delle varie tracce con i patterns alla batteria di quel diavolo di Corey Coverstone, è pari allo zero, garantiamo.
Sono proprio queste caratteristiche esplosive ad aiutare nell’opera di rinvigorimento di un’idea di musica che, sebbene offuscata dalle tendenze sempre più in voga dei surrogati dell’hip-hop o del reggaeton, resiste ed attira vecchi e nuovi proseliti sempre più affamati di hard rock.
Soltanto un’altra band, resasi in grado di diventare un vero e proprio fenomeno di massa in bilico fra le critiche più aspre e gli elogi più sentiti, alla quale i Dirty Honey vengono spesso e volentieri paragonati (non senza eccessiva fretta e scarsa attenzione per i dettagli), ossia i Greta Van Fleet, è riuscita nell’impresa di tornare a far parlare del rock a 360 gradi anche all’infuori della cerchia ristretta degli appassionati.
Riflettere sulla chiave del successo comune a questi due gruppi giovanissimi e col futuro dalla loro può risultare intrigante in considerazione di un’analisi che esula dal nostro scritto ma che può stuzzicare interessanti riflessioni sullo stato di salute del rock anche in un’ottica mainstream.
Ma restando sulla musica dei Dirty Honey non possiamo che individuare, nell’ossimoro che marca il nome della band, un possibile spoiler anche della proposta musicale, scissa fra la componente sporca e distorta e la maggiore orecchiabilità e dolcezza dei ritornelli costruiti su accordi aperti e caldi.
Non sorprende, alla luce di questo, come una canzone del calibro di When I’m Gone abbia stracciato le classifiche internazionali, sposando appieno gli elementi in antitesi e facendoli coesistere in perfetta armonia.
I nostri pescano dal cilindro il riff perfetto che si stampa nella mente mentre al microfono LaBelle giganteggia graffiando sin da subito salvo poi rallentare e giocarsi tutte le carte in un ritornello coinvolgente, catchy e carico di energia, difficile da dimenticare e ancor meno da emulare, vista l’acutezza spropositata del timbro del vocalist.
La successiva Rolling 7s parte in sordina, dosando i toni in un crescendo accompagnato dal basso di Justin Smolian che si fa sempre più incalzante fino a convolare a nozze, nel refrain, con la sei corde di John Notto. Risultato? Un altro chorus coi fiocchi dinanzi al quale c’è soltanto da stropicciarsi gli occhi e fare rewind.
Heartbreaker placa l’istinto irrefrenabile che vorrebbe i nostri macinare bpm come se non ci fosse un domani e si apre ad una lettura più soft, maggiormente cadenzata, rivelando specialmente nell’assolo in chiusura la duplice natura dei Dirty Honey, a proprio agio nel picchiare ma anche nel far emergere la malinconia tipica del blues.
Gli accenni southern di Down the Road arricchiscono il sound e galvanizzano la prestazione corale dei Dirty Honey mentre Scars è in tutto e per tutto un pezzo che farà felice gli estimatori del rock degli anni 70 prefigurandosi come una traccia stracolma di amore per i Led Zeppelin e per l’indimenticato groove di quel periodo magico con il bridge che concede ampio spazio all’improvvisazione chitarristica e all’incedere irrefrenabile della batteria in botta e risposta.
La conclusiva Break You condensa le esperienze sin qui manifestate veicolandole a favore di un’insolita, ma non per questo meno convincente, attitudine sfrontata e sleaze.

Dirty Honey è una gemma che brilla nel panorama dei cosiddetti Extended Play.
Raramente ci si imbatte in un lavoro autoprodotto di cotanta bellezza e verso il quale risulta francamente difficile muovere critiche.
Per ognuno dei sei tasselli che compongono il mosaico dei losangelini, infatti, va lodata la bontà degli arrangiamenti e della produzione cristallina che riporta alla mente il bollore e l’atmosfera delle esibizioni live.
Brani da palcoscenico, dunque, pensati appositamente per un pieno coinvolgimento dell’audience in sede di concerto e costruiti di conseguenza.
L’attesa spasmodica per il primo album ufficiale dei Dirty Honey, i quali hanno dichiarato di non avere alcuna fretta e di non voler premere sull’acceleratore ponderando la tempistica in base all’ispirazione e non al business che già li reclama sulla cresta dell’onda, è probabilmente una scelta vincente e sentenzierà la verità sul quartetto.
Se saranno capaci di ripetere e confermare quanto apprezzato nell’EP, siamo certi che scriveranno alcune fra le pagine più memorabili del rock contemporaneo.



VOTO RECENSORE
85
VOTO LETTORI
88.66 su 3 voti [ VOTA]
Ecce Homo
Sabato 29 Maggio 2021, 10.01.06
2
Band molto interessante, sostanzialmente fanno un lavoro simile ai Greta van fleet, recuperando in questo caso il sound di band come Aerosmith e guns, per il momento mi suonano davvero bene ma ho paura che alla lunga possano risultare poco originali, come i colleghi prima citati, anche se su questo spero di sbagliarmi e che anzi possano anche migliorare visto la giovane età
duke
Giovedì 1 Aprile 2021, 20.46.35
1
...ottimi....cerchero' l'imminente cd....
INFORMAZIONI
2019
Autoprodotto
Hard Rock
Tracklist
1. When I’m Gone
2. Rolling 7s
3. Heartbreaker
4. Down the Road
5. Scars
6. Break You
Line Up
Marc LaBelle (voce)
John Notto (chitarra)
Justin Smolian (basso)
Corey Coverstone (batteria)
 
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