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ALAIN JOHANNES + THE DEVILS + ANANDA MIDA feat. CONNY OCHS
RAINDOGS HOUSE, P.ZZA REBAGLIATI 1 - SAVONA

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HEADBANGERS PUB, VIA TITO LIVIO 33A - MILANO

Architects - For Those That Wish To Exist
23/03/2021
( 2547 letture )
Gli Architects trovano sempre il modo di far parlare di loro. Che sia volontariamente o no, sono una delle band più discusse e più amate della scena metal core e modern metal. Si parla di loro in quanto alfieri del genere progressive metal core /post hardcore come lo conosciamo oggi, e designer di stilemi e suoni che sono stati poi riproposti da tantissime band ispirate a loro; rappresentanti di un’intera generazione (se non due) di giovani ascoltatori ribelli e sognatori; scrittori di messaggi significativi nell’ambito culturale e impegnati in quello politico-sociale. Insomma sugli Architects c’è davvero tanto da dire, senza dimenticare la terribile disgrazia che ha segnato la loro storia e la loro carriera, ovvero la prematura dipartita del chitarrista e compositore Tom Searle per malattia: vicenda che ha colpito duramente la scena metal e che ha cambiato completamente il modus operandi della band.

Infatti, mentre il penultimo album Holy Hell presentava ancora pezzi arrangiati da Tom e prodotti post-mortem, come una sorta di lascito ed epitaffio, il nuovo lavoro For Those That Wish to Exist vede una composizione ex-novo e una nuova formazione della band, compreso il chitarrista Josh Middleton, fondatore dei Sylosis: inizialmente solo turnista negli Architects è poi diventato membro ufficiale. Alcune differenze stilistiche effettivamente si notano già dai primi singoli estratti e dal primo ascolto, e finalmente gli Architects paiono smentire la voce che i loro pezzi siano un po’ tutti uguali: questo album vede pezzi uno diverso dall’altro in maniera evidente, con un songwriting che pare volontariamente variegato, e che si distacca in parte dal metal core/post hardcore aggressivo e sfacciato della band, abbracciando sonorità emotional già precedentemente esplorate, aggiungendoci più sfumature digitali, progressive, alternative ed elettroniche, quasi pop. Forse il distacco col passato è esagerato e inaspettato, e le parti più leggere surclassano per presenza quelle più furiose, anche se queste -con la loro forza e pesantezza- riescono a bilanciare il tutto in alcuni pezzi, non facendo mancare la scuola metal / hardcore che porta il nome degli Architects . Non manca mai la vena di malinconia che pervade i lavori della band da anni, sia essa nei testi proferiti o nella parte puramente musicale, ed essa incarna il fine espressivo sempre elevato dei Nostri. Rispetto ai precedenti, For Those That Wish to Exist è un album più lento, più dilatato, più contemplativo e riflessivo, dai suoni ampi ed eterei: a cominciare dalle scelte vocali del frontman Sam Carter, famoso per aver introdotto determinati modi di cantare che in molti dopo di lui hanno imitato, soprattutto i suoi cosidetti “PLEAH”, di cui in questo album però non c’è traccia. In questo lavoro il singer Sam indulge molto in cantati puliti efebici, dolci e sognanti, non solo nei ritornelli, ma non dimentica le linee vocali più estreme che lo caratterizzano: screaming/yelling acerrimo ed esclusivo, riconoscibile al primo ascolto. Dunque sono presenti le atmosfere tipiche degli Architects, soprattutto quelle create e rese personali negli ultimi anni; ma bisogna accostarcisi con la consapevolezza che questo è un album diverso, più leggero, e che vuole dare spazio a un’espressività ed emotività lampante, a tratti spicciola, che possa smuovere le corde intime dell’ascoltatore. Con For Those That Wish To Exist vi emozionerete più che infervorarvi, anche se i vecchi fan della band potrebbero sì arrabbiarsi, più che altro per il disappunto dato dai cambiamenti e dalla leggerezza generale dell’album.

Se alcuni pezzi possono sembrare fin troppo semplici, pop e catchy, e alcune parti fin troppo banali, ci sono frame spontaneamente metal-core e post-hardcore, nonché momenti stilistici e compositivi che fanno venire i brividi per quanto sono belli: come in Giving Blood, Little Wonder e Goliath, grazie a parti digitali psicotrope, cori evocativi ma anche suite orchestrali che danno quel senso epico già ben presente nei loro lavori. Non mancano in generale buone idee ed espedienti funzionanti che accattivano e conquistano, e tutto ciò controbilancia le eventuali cadute di stile. La produzione ad hoc è ad opera degli stessi Dan Searle e Josh Middleton, e sono presenti tre featuring vocali in questo lavoro, tra cui spicca quello di Winston McCall dei Parkway Drive nel pezzo Impermanence, e si fa notare anche quello di Simon Neil dei Biffy Clyro, che arricchisce il già bellissimo pezzo Goliath. Quattro invece i singoli usciti in precedenza, fra i quali il romantico e melanconico Dead Butterflies, che colpisce con la sua poetica e decadente agro-dolcezza, e il suo finale dominato dagli archi. Questo gusto soffuso, dolce e sentimentale, quasi da ballad, viene ripreso in altri pezzi, come ad esempio Flight Without Feathers. Fortunatamente non mancano breakdown taglienti e ben integrati, che più che mai danno un momento di respiro in composizioni che potrebbero essere troppo destabilizzanti, e che col loro impatto servono a richiamare i vecchi tempi, insieme con un senso rapsodico e straziante mai assente: li troviamo e apprezziamo in Discourse is Dead, An Ordinary Extinction, Animals e soprattutto in Impermanence, con il già citato feat. fuori dai denti di McCall, che con la sua potenza ci riporta indietro, e ci fa sognare gli anni d’oro del metal core. A livello testuale il messaggio è chiaro e ancora impegnato: la necessità dell’umanità di elevare il proprio status, la ricerca di un miglioramento in favore del bene e della giustizia, ma anche la comprensione che il cambiamento deve avvenire innanzitutto in ciascuno di noi e partendo dalle proprie azioni, consapevolezza, presa di posizione e responsabilità, piuttosto che lasciare le cose al caso e limitarsi incolpare politici e regnanti. Un messaggio che, in un momento in cui ci troviamo ad affrontare una pandemia globale, vuole forse riferirsi anche a questo delicato argomento, e più che mai ci ricorda che dobbiamo fare la nostra parte rispettando le regole, per un futuro migliore. Quasi come in un dipinto medievale post Peste Nera, la morte -che ha segnato i Nostri in maniera indelebile- sembra essere sempre velatamente presente in questo lavoro, ma quasi accettata e compresa quale parte della vita: ciò è espresso anche nell’ultimo pezzo Dying is Absolutely Safe, un’altra ballad emozionale, acustica e corredata di archi. Non dimentichiamo che questo concetto di “Memento Mori” era stato proprio espresso in un pezzo con questo titolo, nell’album All Our Gods Have Abandoned Us, l’ultimo con Tom Searle Interessante anche il reitero di alcune parole e versi dei lavori passati, quelli appunto con Tom, ad esempio “Distant Blue”, quasi a voler evocare tempi passati che si possano proiettare e conservare ancora nel presente, tramite memoria e tributo sempiterni.

Per concludere, questo album sembra un desiderio degli Architects di reinventarsi ed esprimersi: abbiamo davanti un lavoro sicuramente differente, ma degno di nota, soprattutto dal punto di vista compositivo, artistico e dell’audience, che si può decisamente ampliare ad ascoltatori di altri generi. Non mancano pezzi davvero riusciti che meriterebbero di essere esaminati ad uno ad uno, e forse i fan storici storceranno il naso al primo ascolto… ma addentrandosi appieno riusciranno meglio a comprendere le buone intenzioni dei Nostri.



VOTO RECENSORE
75
VOTO LETTORI
69.88 su 17 voti [ VOTA]
enrico86
Domenica 2 Luglio 2023, 15.59.23
6
Mi avvicinò a questa band con curiosità. Praticamente è come se harry stiles avesse fondato una band metal
DEEP BLUE
Venerdì 4 Marzo 2022, 7.51.45
5
Con questo disco gli Archites fondono mirabilmente diversi generi musicali tra cui il "bubble gum shuffle", l'easy listening e la "boy band music", buona fortuna!
Sentenza
Venerdì 2 Aprile 2021, 23.09.40
4
Prima di cominciare devo per forza correggere: sono BLEGH non PLEGH! Eddai, le basi... ovviamente si sta scherzando. Tornando all'album, io non capisco cosa si pretendeva, mettetevi nei panni del gruppo: dopo aver fatto scuola con l'ultimo trittico, tutte le band core tra il 2019 e il 2020 li hanno scopiazzati in ogni modo. Con un sovraffollamento simile. Le scelte a quel punto sono due: o tiri dritto rischiando di finire nella calca o svolti per cercare nuova fortuna e nuova linfa. Gli Architects hanno scelto la seconda (e nemmeno lo hanno tanto nascosto: pezzi come Hereafter e Royal Beggars dovevano insospettirvi già), prendendosi dei rischi dato che non sono i BMTH e non ci sono un Oliver Sykes e un Jordan Fish da sbattare in copertina: c'è solo Sam Carter e il suo virtuosismo vocale che non ha molti eguali, c'è solo Dan Searle, che deve farsi carico della pesante eredità lasciata dal compianto fratello (Middleton ce lo riserviamo per il futuro). L'album è da 80: non supera assolutamente i lavori precedenti e non è un demerito, perché non è quello lo scopo. Lo scopo è reinventarsi, espandersi, capire fino a dove possono spingersi e quali frontiere sonore e stilistiche possono percorrere. Dietro le tracce ci sono idee differenti, ma è incredibile come scorrano una dietro l'altra con grande fluidità: non c'è nessun passaggio che appare fuori posto o la cui collocazione risulti incomprensibile. Il numero di tracce trova compensazione nel fatto che essendo meno articolate dal punto di vista del riffing e della struttura, scorrono più velocemente. Al contrario di quanto è stato detto qui, i singoli arrivano ad essere quasi fuorvianti, soprattutto Animals, che appare molto un brano a sé rispetto all'intero lotto, e Meteor, che non è certo il miglior biglietto da visita per presentare il disco e di certo è tra i pezzi meno riusciti. Le tracce migliori però, a parte Dead Butterflies, non sono i singoli, ma brani come Discourse is Dead, Impermanence, An Ordinary Extinction, Little Wonder, Libertine, Goliath, che riassumono al meglio lo spirito del disco e dove i nostri vogliono andare a parare: sono tracce di assoluto livello, che svariate band della scena (tra quelle che hanno cercato approcci più soft, come i Fit For A King o i Wage War) vorrebbero scrivere ma non sono capaci di farlo e non sono banali e stucchevoli come un pezzo degli I Prevail. Tra le pecche, può essere citato il fatto che in alcuni passaggi lo schema compositivo tende a ripetersi e che osare forse una variazione in più poteva giovare, ma l'opera in sé è completa, non ha buchi, viaggia incalzante e non rallenta di un millisecondo. E' un album che funziona e che arriva nel momento giusto, un momento dove si è toccato un culmine e si è pronti a scrivere una nuova pagina della propria carriera
Indigo
Giovedì 25 Marzo 2021, 13.31.17
3
A differenza dei primi due commenti, io condivido in gran parte quanto detto da Valeria. Per me il vero punto debole è che ci sono troppi brani e dunque l'ascolto dell'intero platter risulta un po' difficoltoso. In generale le tracce mi sono piaciute tutte, c'è un senso strisciante di malinconia che rende il tutto profondo e carico di gravitas. Azzeccate le sfumature elettroniche e sinfoniche capaci di impreziosire i già ben curati arrangiamenti. Il feat con McCall sulla carta era una bomba, in pratica non mi ha emozionato a differenza di Animals, la mia preferita tra le quindici. Voto 78
All I Was
Martedì 23 Marzo 2021, 19.00.15
2
BUON disco ma elevato sbilanciamento qualitativo tra i singoli di punta e il resto dell'album. Questo rappresenta un cambio stilistico palesemente ispirato dai loro connazionali BMTH ma che riserva come sempre un buon compromesso tra contenuti lirici di ottimo livello, impatto sonoro e produzione massiccia, giusta esaltazione di melodie vocali e buona dose di cattiveria quando i testi e il concept delle singole canzoni lo richiedono. Purtroppo però, questo disco si presenta in NETTA INFERIORITA' rispetto al precedente NON tanto per il cambio stilistico in se (cosa già avvenuto in parte nel disco precedente con singoli come Here After), quanto per il modo TROPPO "POP" di operare. In pratica in questo disco si sono pompati SOLO i singoli di punta rendendoli PERFETTI e pieni di DETTAGLI mentre il resto del disco risulta da riempimento e poco dettagliato (compresi i feat che sono SPRECATI a mio avviso). Un vero peccato poiché in molte canzoni c'è davvero un BOTTO di potenziale INESPRESSO. Qualche doppia voce in più, qualche synth più originale, qualche arriangiamento aggiuntivo e qualche riff un pò più elaborato avrebbe giovato all'intero disco secondo me che risulta delle volte un pò "spoglio". La prima e l'ultima traccia poi sono del tutto FORZATE e INUTILI. Un modo TROPPO GROSSOLANO di aprire e chiudere un disco a mio avviso. L'intro poteva essere al massimo SOLO strumentale riprendendo qualche melodia del disco invece di una goffa canzone vera e propria e Dying Is Absolutely Safe è quanto di più imbarazzante composto dalla band che io ricordi. Veramente una semi ballad INUTILE, FORZATA e prodotta da SCHIFO con quelle chitarre acustiche di PLASTICA...orrore allo stato bradipo! Inoltre Meteor è una commercialata easy listening FUORI CONTESTO. Animals è un singolo PERFETTO per far capire come si coniuga ottimi testi, ottima produzione ma con una direzione più catchy. Avrei preferito nettamente come singolo di punta An Ordinary Extinction che riflette la parte più catchy della band ma al tempo stesso NON rinnega le sue origini heavy. Un pò deluso ma alla fine 4/5 canzoni canzoni sono di OTTIMO livello (specialmente Black Lungs) anche se il resto risulta MEDIOCRE.
Sicktadone
Martedì 23 Marzo 2021, 12.30.28
1
A questo giro non mi sono piaciuti. Un tentativo molto mal riuscito volto a prendere la svolta sonora dei BMTH a dimostrazione di come semplificare i propri concetti non sia una cosa affatto semplice. Per me una sufficienza stiracchiata giusto per qualche pezzo azzeccato, ma per il resto si salva poco.
INFORMAZIONI
2021
Epitaph
Metal Core
Tracklist
1. Do You Dream of Armageddon
2. Black Lungs
3. Giving Blood
4. Discourse is Dead
5. Dead Butterflies
6. An Ordinary Extinction
7. Impermanence
8. Flight Without Feathers
9. Little Wonder
10. Animals
11. Libertine
12. Goliath
13. Demigod
14. Meteor
15. Dying Is Absolutely Safe
Line Up
Sam Carter (Voce)
Josh Middleton (Chitarra)
Adam Christianson (Chitarra)
Alex Dean (Tastiera, Basso)
Dan Searle (Batteria)
 
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