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19/04/24
GOATBURNER + ACROSS THE SWARM
BAHNHOF LIVE, VIA SANT\'ANTONIO ABATE 34 - MONTAGNANA (PD)
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27/03/2021
( 2260 letture )
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Quello di David Bowie è un nome che, quasi come un imperativo categorico kantiano applicato alla fruizione musicale, rappresenta un ascolto fondamentale per gli appassionati di qualsiasi genere. La sua discografia è talmente ampia e variegata, attraversa così tanti generi differenti, non di rado mischiandoli insieme, che è praticamente impossibile non trovare almeno un album che possa appagare il gusto di una persona. Non a caso è annoverato universalmente tra le figure di maggior rilievo della cultura del Novecento. Egli ha saputo trasformare la propria vita nella propria musica, un capolavoro, e far propria la massima dannunziana contenuta ne “Il Piacere”:
Bisogna fare la propria vita, come si fa un'opera d'arte. Bisogna che la vita d'un uomo d'intelletto sia opera di lui. La superiorità vera è tutta qui. Bisogna conservare ad ogni costo la libertà, fin nell'ebbrezza. La regola dell'uomo d'intelletto, eccola: - Habere, non haberi.
La storia della sua morte e del suo ultimo disco, Blackstar, ne è un esempio, un ultimo colpo di scena nel Fantastic Voyage, quella performance artistica durata 25.204 giorni che è stata la sua vita. L’anarchia artistica che caratterizza la sua discografia, nella quale David Bowie ha letteralmente fatto tutto ciò che gli sia passato per la testa, può essere esemplificata da un disco tra i meno discussi e ricordati della sua carriera, Earthling. Cavalcando l’onda della “club culture” che ha elettrizzato e fatto danzare i giovani degli anni '90, questo disco rielabora gli stilemi della jungle music, del drum n’ bass, della techno e della trip hop. Dopo l’esperienza di un lavoro intellettualmente denso come 1.Outside, una proposta estetica surreale e stratificata, Earthling punta sull’immediatezza ed il divertimento della musica elettronica, senza però essere mai banale o superficiale: anche quella qui contenuta è musica complessa ma, a differenza di quella del disco precedente, gode anche di una maschera di accessibilità che consente di fruirne senza eccessivo impegno. Sebbene l’aspetto virtuale e cibernetico sia quello che domina l’intero disco, è impossibile individuare due brani che possano essere ridotti ad un comune denominatore. Earthling è un patchwork sonoro, nel quale convivono e talvolta si sovrappongono le più disparate declinazioni della musica elettronica. La sensazione è che, essendo questo un ambito trascurato da David Bowie nel corso della sua carriera sino a quel momento, il Duca avesse deciso di recuperare con un solo lavoro anni e anni di arretrati. Consideriamo il distico iniziale, composto da Little Wonder (brano eseguito anche in occasione della sua comparsa al Festival di Sanremo del 1997) e Looking for Satellites: laddove il primo è percorso da una scarica di adrenalina che lo agita e gli dona un animo ribelle, il secondo è molto più disteso e rilassato, quasi un pezzo reggae contagiato da un virus informatico.
Di grande fascino è poi lo sposalizio drum n’ bass/jazz/rock della stupenda Battle for Britain (The Letter), in cui Aladdin Sane pare trasformato in androide. Ben diversa è invece la natura di Seven Years in Tibet, brano dai tempi lenti nel quale stanche ritmiche blueseggianti si ammantano di atmosfere lisergiche e rassegnate, come il monaco buddhista protagonista del testo. L’altalena prosegue con Dead Man Walking, dove torna la vena danzereccia e martellante già sentita in precedenza. La conclusione è lasciata nuovamente al pianoforte jazz, reminiscenza di altre epoche di David Bowie. Telling Lies è minacciosa, a tratti inquietante, grazie anche alla profonda prestazione canora del Nostro. È proprio questo brano uno degli highlights della voce in Earthling, che ora scava nelle tonalità più profonde delle corde vocali, ora si acuisce, ora si trasforma in cori quasi tribali (gli “oh-ah” che tornano di tanto in tanto). The Last Thing You Should Do è una stupenda prova di forza elettro-industrial dalle solide radici rock, che, accostata alla quieta prestazione al microfono di Bowie genera sensazioni d’inquietudine simili a quelli di un gruppo ben più pesante come i Rammstein. Ben più divertente e spensierata è la successiva I’m Afraid of Americans, pervasa da quell’impeto ribelle anni '80. È possibile anche udire certe reminiscenze dei suoi album orientati verso sonorità più rock, come Station to Station e ”Heroes”, nel momento stesso in cui sembra di poter intravedere anticipazioni dell’ultimissimo periodo del Duca Bianco: ad esempio, ogni volta che il sottoscritto la ascolta, la sua mente viaggia avanti di quasi vent’anni a The Stars (Are Out Tonight), forse il miglior pezzo del penultimo disco, The Next Day. Law (Earthlings on Fire) è ipnotica e battagliera allo stesso tempo. Ridondante, psichedelica, rumorosa: la ciliegina techno su una torta squisita e golosa.
Con Earthling, il genio di David Bowie ha voluto senza dubbio sfidare sé stesso e, ancor di più, il proprio pubblico e la critica. Questa svolta certamente fece storcere più di qualche naso ma è stata solo l’ennesima, la ventesima dimostrazione del bisogno di novità e di trasformazione del più trasformista degli artisti del Novecento. Un disco che va scoperto e riscoperto, consapevoli che, comunque, per l’eternità è consegnato all’ombra dei massimi capolavori di colui che fu un capolavoro.
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15
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Mi è piaicuto molto l'inizio dell'articolo, non ci avevo mai pensato ma effettivamente la musica di Bowie abbraccia talmente tanti generi che è impossibile non trovarci piacere prima o poi. Sono meno d'accordo con l'idea che quest'album sia una botta e via nel genere, per me è il frutto di una parentesi iniziata con Tin Machine, proseguita con Black Tie WN e OUTSIDE, non dico che gli album possano avere molto punti in comune ma io ci sento una continuità, per me questo è bello quanto Outside che è più complesso e non si presta alla facilità di ascolto di questo lavoro. Bello ricordare anche la collaborazione/tour congiunto dell'epoca con i Nine Inch Nails, deve essere stato un evento di proporzioni epiche. |
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14
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A mio avviso uno dei periodi del Duca più sottovalutati. "Seven Years in Tibet" e "Little Wonder" non sfigurano a fianco dei soliti classici di Bowie. |
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13
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Quotone x Kurujai... sottoscrivo in toto. |
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12
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sul fatto che oggi non ci siano band o artisti validi non sono affatto d'accordo ( sopratutto nel post punk e new wave ) , il problema è che sono pochi o poco supportati . Per il music business moderno fatto di musica bubble-gum il rock è un genere troppo impegnativo da gestire e vendere come moda mentre hip-hop e trap ( come il pop ormai ridotto a plastica ) sono più facili da gestire . Fosse per loro chiuderebbero le porte in faccia a un nuovo Bowie se gli si presentasse davanti . |
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11
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nella seconda metà degli anni 80 bowie mi era sceso vertiginosamente , ma poi pubblicò outside e questo earthling e niente , mi sono nuovamente innamorato .
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10
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Album molto bello che di un artista completo in grado di fiutare sempre "quello che va" in un determinato momento storico, farlo proprio e migliorarlo. Lo fece con il glam, con la musica elettronica, la dance, l'industrial e ora con jungle. Poco da fare, era sempre "sul pezzo". 83 ci sta, ma non credo che inserito nella sua discografia possa essere superiore a Hunky Dory. Diciamo che è il voto a quest'ultimo ad essere veramente basso. |
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9
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Looking for Satellites gran pezzaccio... |
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8
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Bell’album questo qua! Sperimentale ma allo stesso tempo molto catchy, contrariamente al precedente 1.Outside, il cui ascolto risulta essere più impegnativo. E allo stesso tempo però, come dice P2K!, molto più affascinante (infatti tra i due è quello che mi piace di più). Comunque con pezzi come I’m Afraid of Americans, Battle of Britain, Dead Man Walking e la stessa Little Wonder Bowie, dopo più di venti album, continuava a dare lezioni di modernità a destra e a manca. Concordo col voto. |
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7
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Bello. Non poteva che spiazzare i fan storici del duca vista il pesante uso dell'elettronica che ormai Bowie utilizzava da diversi album (dopo la parentesi hard dei Tin Machine con l'album Black Tie White Nois). Anche io preferisco il precedente "1.Outside" più cervellotico ma più affascinante. Questo però aveva delle bombe niente male. |
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6
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Quoto l'ImBONItore... negli anni 90 uscivano grandi dischi, pensiamo solo per citare pochi esempi al grunge con tutte le sue band, ognuna molto diversa dall'altra, al fenomeno del black e del death metal e chi più ne ha più ne metta... un decennio mitico e irripetibile! che nostalgia... |
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5
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Buon disco, anche se il precedente mi era piaciuto mille volte di più. Probabilmente è uno dei suoi album più facili ed orecchiabili. Comunque Bowie è sempre inarrivabile. |
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4
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Mi viene da piangere a pensaghe quanto erano belli gli anni 90. Innovazione, creativita', sorprese, che fine di merda abbiamo fatto ? Ridatemi gli anni 90 ! Album stupendo ! Bowie entra di diritto tra i piu' Grrrrrrrrrrrrrrrrandi protagonisti del '900 ! |
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3
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Uno degli album più belli di Bowie, benchè sottovalutatissimo e mai pienamente apprezzato. Ottima la recensione. |
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2
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a quando buddha of suburbia ? |
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1
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Opinione condivisibile o meno, ma questo è il mio album preferito di David Bowie, lo adoro alla follia! Bravo Fede ad averne parlato rendendogli giustizia. |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Little Wonder 2. Looking for Satellites 3. Battle for Britain (The Letter) 4. Seven Years in Tibet 5. Dead Man Walking 6. Telling Lies 7. The Last Thing You Should Do 8. I’m Afraid of Americans 9. Law (Earthlings of Fire)
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Line Up
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David Bowie (Voce, Chitarra, Sax, Tastiere) Reeves Gabrels (Chitarra) Gail Ann Dorsey (Basso) Mike Garson (Piano, Tastiere) Mark Plati (Tastiere) Zachary Alford (Batteria, Percussioni)
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