|
19/04/24
MARLENE KUNTZ
NEW AGE, VIA TINTORETTO 14 - RONCADE (TV)
|
|
|
( 1580 letture )
|
Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.
Siamo oggi qui riuniti, miei cari discepoli, per glorificare la tanto attesa release di Wiklen Wij, limitatissimo (1000 copie) ed omonimo album di quella che da anni era parsa solo la marinaresca “annunciazione” di una lugubre Trinità. In riferimento alla catalisi “uno-trino” non posso certo esimermi dal sottolineare il manifestarsi, nel corso di questa proposta, di una vera e propria transustantazione sonora: la line-up dei Wiklen Wij consegna infatti alla scena un’indiscutibile fusione dei tre elementi primari della scena funeral doom continentale (non è che adesso vorrete tirar fuori un qualche assurdo perbenismo religioso additandomi come “blasfemo” o “spergiuro”, vero? Perché quand’anche questo fosse il vostro reale intento, consiglio di aspettare ancora qualche riga…); ritroviamo dunque il Padre, quel Kostas Panagiotou che fin dal 1995 (con i Bellator prima, con i sublimi Pantheist poi) ha firmato le più sacrali marce funebri sul cui sottofondo, quel lontano giorno, potrete scegliere di essere (tristemente) ricordati; il Figlio, nella figura di Lawrence van Haeke (Solicide), abile rampollo prodigo di terribile talentuosità; ed infine lo Spirito Santo, proiettato in quel di Stjin van Cauter, instancabile sciacallo che, senza lasciar traccia del proprio malsano seme divinatorio, è capace di concepire decine di occulte creature mortuarie al servizio delle vostre (e mie) più eccitanti perversioni necrofile (ecco, amici bigotti, se volete crocefiggermi… questo è il momento). Pressoché insignificante la partecipazione di Kris Villez (In Somnis) da dietro le pelli (poi capirete).
Orsù dunque, figliuoli miei, terminata l’ostensione delle esecrande reliquie (?), giunge rapido il momento della mia personale celebrazione eucaristica, finalizzata all’immistione delle desolanti note di Wiklen Wij all’interno del mio “devoto” apparato uditivo. Il disco suona complessivamente bene ma è percepibile, anche ad un orecchio poco abituato alle sonorità di riferimento, una spiccata dissonanza compositiva tra i vari pezzi della lista che li rende fondamentalmente fini a se stessi. Affrontati singolarmente, anche grazie all’aiuto di un minutaggio mediamente alto che ne facilita difatti l’ascolto isolato, risultano tutti dotati di buona architettura e pregevole fattura; ciò che davvero zoppica è la mancanza di un’idea di fondo coerente e condivisa. La ragione di tale insuccesso è molto semplice: le tracce sono state composte in momenti diversi e, soprattutto, da artisti in una palese “opposizione di fase” a riguardo delle sfumature stilistiche in uso nelle relative proposte personali (per i dettagli vi invito a leggere l’intervista qui linkata). Ad aggiungere ulteriore assortimento creativo (dico in senso negativo), ha contribuito pure la forzata collaborazione una tantum tra le tre menti pensanti che ha prodotto, come unico, arido contributo, l’aggiunta di nuove, ma inefficaci contaminazioni sonore.
Ecco dunque che l’ottima introduzione fornita dalla ridondante (e talvolta polifonica) voce del Panagiotou, egregiamente completata dall’imponente respiro dell’organo di L'anatheme, non abbia séguito, più che altro emotivo, nella minimale title-track Wijlen Wij in cui l’intensificarsi delle drone-guitars ed il sostanziale cambio di timbrica vocale (d’ora in avanti performata dall’inumano grount di van Cauter) raffredda, e non di poco, l’atmosfera. Anche il sapore tipicamente “ecclesiastico” dell’opener viene meno grazie alla nuova programmazione, molto più naif, inserita nella Roland XP-80 di Kostas. In Wijlen Wij, come nondimeno negli altri episodi drone/ambient-oriented, il drumming galleggia su livelli di assoluta mediocrità. La scelta di non “estremizzare” i rintocchi dei tamburi (ancora meglio sarebbe stato eliminarli del tutto), appare in forte contraddizione con quanto oramai di norma negli standard tipici del genere; ciò si traduce in una ritmica apprezzabilmente scandita e precisa (seguita, non più che scolasticamente, dal basso elettrico), ma contraddistinta dal solo, limitato impiego di rullante e grancassa: davvero troppo poco.
Decisamente più eclettica la terza Offertorium, che mescola sapientemente l’idolatria pant(h)eistica di L'anatheme con i più ortodossi rituali pagani inclusi in Wijlen Wij. Il risultato è senza dubbio positivo, anche grazie al rientro “in canna” del sinth.
Falling Stars propone solo un bel susseguirsi tra le voci distorte di Kostas e Stjin, pur immersa in un’atmosfera finalmente funebre; stupore (?) per l’accelerazione “apologistica” di fine brano (lode ai pochi che mi capiscono).
Tipico esempio di ambient doom alla Until Death Overtakes Me (meglio direi alla The Ethereal) per Aware Of The Void che, nonostante l’inconfondibile direzione lavori di van Cauter, stenta un poco a decollare, provocandomi la prima perplessità in merito.
Ultimo passaggio per Bridges brano che, sulla scia della precedente Offertorium, si attesta come il migliore della traklist. Introdotta da un lancinante lamento vocale ripropone nei suoi interminabili 21 minuti, tutto il repertorio di cui è padrona la terribile Trinità: parti cantate, parlate, recitate; intermezzi sacrali, momenti drone, suoni ambient; giri monotoni, ritornelli melodici; chi più ne ha più ne metta. Incontestabilmente bella, ma addirittura esagerata.
In conclusione ribadisco il concetto: pezzi separatamente validi, contest inclassificabile quasi fosse una raccolta di fine carriera.
Qualora, con spirito ludico, volessimo scommettere sul patrocinio dei vari episodi, sapendo che Stijn ha composto solamente un brano in solitario mentre Kostas e Lawrence hanno composto anche un brano in solitario (fate frullare il vostro cervello, se Wijlen Wij non ve l’ha definitivamente spappolato), io mi esprimerei così:
- L'anatheme: Kostas & Lawrence
- Wijlen Wij: Lawrence
- Offertorium: Kostas & Lawrence
- Falling Stars: Kostas
- Aware Of The Void: Stijn
- Bridges: Kostas & Lawrence
Procurare il materiale, per consentire la logica riprova dei fatti, non sarà affatto facile, poiché la pubblicazione della Aesthetic Death Records sembra voler trascurare appieno il nobile suolo italico a causa delle abituali magagne distributive (chiamiamola pure giustificabile indifferenza alle nicchie). Detto questo vi aspetto al varco di una release che non può certo mancare nella libreria di un buon doomster, quantomeno per l’altisonanza delle parti in causa.
Andate in pace.
Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
4
|
grande grande grande disco!!! il voto mi pare un po' bassino però.... |
|
|
|
|
|
|
3
|
È molto bello (più di questo esordio) "Coronachs of the Omega". Zolfo... È roba tua |
|
|
|
|
|
|
2
|
la più cortese di sempre! |
|
|
|
|
|
|
1
|
IL migliore! |
|
|
|
|
|
INFORMAZIONI |
|
|
|
|
|
Tracklist
|
1 – L'anatheme 2 – Wijlen Wij 3 – Offertorium 4 – Falling Stars 5 – Aware of the Void 6 – Bridges
|
|
Line Up
|
Kostas Panagiotou – Vocals, Guitars, Synths Kris Villez – Drums Stijn van Cauter – Vocals, Guitars, Bass Lawrence Van Haecke – Bass
|
|
|
|
RECENSIONI |
|
|
|
|
|