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Vanden Plas - The God Thing
15/05/2021
( 1990 letture )
Secondo full-length dei Vanden Plas, The God Thing non raramente viene considerato uno dei capolavori della discografia del gruppo tedesco. Le sue pieghe rivelano le più differenti nuance, si destreggia tra sonorità aggressive e virtuosismi mai eccessivi, colpendo per tecnica e lirismo. Album che si inscrive senza fratture nella scena prog metal degli anni ’90, fa confluire in sé gli elementi tipici del genere imprimendo, però, il proprio sound peculiare.

Fin dalle prime note della opening track Fire Blossom si percepisce che questo ascolto non sarà ordinario, che si sta penetrando un universo autoregolato dall’interno. Ci si può fermare e assistere, sospendendo qualunque capacità predittiva, lasciandosi investire dall’evento incarnandone progressivamente la logica. Il pianoforte propone un giro intrigante, i cui accenti vengono rimarcati da basso e batteria accrescendone il senso di mistero. Si inseriscono gradualmente tutti gli strumenti, dialogando tra interventi solisti e successioni di accordi estremamente vocali. Il pezzo si può leggere come un’intro ad uno dei momenti più alti del disco, Rainmaker, brano a cavallo tra il power metal e il prog che ne sintetizza i caratteri migliori. Alcuni tratti ricordano i Dream Theater, paragone compiuto plurime volte nel mondo della critica, ma naturalmente ciò non è sufficiente al fine di inquadrare la band. Si alternano oscurità e luminosità, ogni strumento è polimorfo e riesce a ricoprire ampie gamme di livelli di espressione. I synth, ad esempio, possono creare un sostrato criptico e inquieto per poi invece aprirsi, decisi, in maniera cristallina e immediatamente riconoscibile. La forza del power metal si dispiega con la chitarra ritmica distorta, nonché negli assoli finali che compongono un momento di pura sospensione prima del ritornello finale. La batteria di Andreas Lill si accanisce su pelli e piatti sempre in ottima misura: non impone una presenza immoderata, né tantomeno si colloca come accompagnamento asettico, traina il pezzo concedendo dei fill densi, colpendo in maniera acre ma ritirandosi ove necessario. La voce di Andy Kuntz, dal timbro particolarissimo, spazia dagli acuti al ruvido graffiare componendo dei contrasti che dinamizzano l’andamento del brano. Nel brano seguente, Garden of Stones, il cantante ha modo di approfondire ancora di più questa sua versatilità. L’introduzione vede esclusivamente la coppia tastiere-voce duettare tenuamente, pur essendo entrambi pregni di vigore, e qui Kuntz procede con la narrazione in una linea vocale arzigogolata ma con un range limitato, soffuso e caldo. Il brano si sviluppa poi in altre direzioni, ma senza far dileguare ciò che è avvenuto nell’intro: gli sfondi sono differenti, ma permane l’implicita dichiarazione di intenti compiuta all’inizio. La chitarra è molto incisiva, sia nella ritmica sia nelle parti soliste. I suoni giungono secchi, senza esitazioni, ma riescono anche a spalmarsi amalgamando il tappeto sonoro. I riff ritornano nei momenti più inaspettati facendo ritrovare la strada maestra, permettendo di orientarsi nella caoticità apparente che emerge dal brano.
Un ulteriore pezzo che dà l’idea di evolversi in una ballad per poi intraprendere altri sentieri è Crown of Thorns. Mid-tempo estremamente evocativo e immaginifico, mantiene sempre viva l’attenzione anche nei momenti in cui si avvicendano alcuni riff in quanto ogni giro è giustificato in sé stesso, una ripetizione non ridondante, che funziona proprio grazie alla sua ciclicità.

Listen to the crown of thorns
Dry the bleeding in the dirt
Listen to the crown of thorns
In the shade of grace
Listen to the crown of thorns
Turn into a palm of rose


Questo passaggio del testo esprime bene la portata grafica che hanno le canzoni dei Vanden Plas. Il finale include degli assoli che impiegano lo shred così come tecniche più morbide in un tripudio che svanisce con un fading sfumato. Parti squisitamente prog metal si possono ritrovare in We're Not God e Salt in My Wounds, nei quali le tastiere di Günter Werno risultano davvero apprezzabili in molteplici passaggi e momenti differenti.

The God Thing è un luogo in cui bisogna raccogliersi se si sta riscoprendo la discografia dei Vanden Plas o se si sta indagando lo stato del progressive metal durante l’ultimo decennio del ventesimo secolo. Irriducibile a semplificazioni, costituisce un’esperienza completa e ragionata, sofferta e redenta.



VOTO RECENSORE
88
VOTO LETTORI
92 su 11 voti [ VOTA]
Hiroshi
Giovedì 20 Maggio 2021, 10.47.05
9
Per me la perfezione la raggiungono con Christ:0. Questo però è un passaggio fondamentale nell'affinamento del loro stile, e quindi storicamente importantissimo. Il 1° album era a sua volta piuttosto originale, ma era così anche perché ha subito una lunghissima gestazione, e pertanto risente di stili risalenti alla fase pionieristica del prog-metal (o techno-metal come si diceva allora).
The Outsider
Martedì 18 Maggio 2021, 20.54.12
8
Bellissima anche Salt in My Wounds, grande Ace. E dire che questo cd l'avevo acquistato in un negozio dell'usato (credo sia la prima stampa sotto la leggendaria Lucretia Records) senza nessuna aspettativa e ancora me lo riascolto stravolentieri. Aspetterò con pazienza di leggere anche la rece di Beyond Daylight.
JC
Martedì 18 Maggio 2021, 18.23.11
7
Che bello. Preso nella nuova versione in vinile.
Vittorio
Martedì 18 Maggio 2021, 10.25.56
6
Disco di metal davvero "adulto".
Gabriele
Lunedì 17 Maggio 2021, 19.56.31
5
Capolavoro della band ed uno dei dischi più importanti e rappresentativi del genere in quel decennio.
Aceshigh
Domenica 16 Maggio 2021, 10.03.34
4
Capolavoro! Il mio preferito dei Vanden Plas. Qui aumentano la componente prog metal, sempre mantenendo però quella base class heavy metal potente ed emozionale che predominava sul già strepitoso Colour Temple. Diciamo che su quest’album definiscono definitivamente le loro coordinate stilistiche. I pezzi? Meravigliosi dal primo all’ultimo. Un podio non mi basta: ai 3 pezzi citati da The Outsider devo aggiungere assolutamente Rainmaker e magari anche Salt In My Wounds. Voto 93
The Outsider
Sabato 15 Maggio 2021, 12.28.30
3
Discone anche per me anche se sul podio metto la tripletta Garden of Stones, In You: I Believe, Day I Die.
Adrian Smith
Sabato 15 Maggio 2021, 11.22.49
2
Gran disco! Il mio preferito resta l’esordio ma in generale i primi tre dei Vanden Plas sono straordinari. Voto 86.
entropy
Sabato 15 Maggio 2021, 11.01.36
1
Disco che amo immensamente, sopratutto i primi tre pezzi sono autentici capolavori!
INFORMAZIONI
1997
Inside Out Music
Prog Metal
Tracklist
1. Fire Blossom
2. Rainmaker
3. Garden of Stones
4. In You: I Believe
5. Day I Die
6. Crown of Thorns
7. We're Not God
8. Salt in My Wounds
9. You Fly
Line Up
Andy Kuntz (Voce)
Stephan Lill (Chitarra)
Günter Werno (Tastiere)
Torsten Reichert (Basso)
Andreas Lill (Batteria)
 
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