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20/04/24
THE OSSUARY
CENTRO STORICO, VIA VITTORIO VENETO - LEVERANO (LE)
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16/05/2021
( 1044 letture )
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Tra le band che nel corso degli ultimi anni hanno saputo tenere alta la bandiera del power metal rientrano di diritto gli Orden Ogan, gruppo tedesco che disco dopo disco ha saputo proporre musica di qualità, riconducibile al più tradizionale e melodico power teutonico, riuscendo però a confezionare il tutto nel migliore dei modi, grazie all’ottimo lavoro del loro cantante e frontman Seeb Levermann svolto nel processo di produzione (Seeb si occupa della fase di mixaggio e mastering per tante band e progetti, tanto per fare un nome gli italiani Rhapsody of Fire) e ai concept che vanno poi a caratterizzare i singoli dischi sotto ogni aspetto (dalla copertina, al songwriting alla musica stessa), che negli anni hanno spaziato dai contesti "gotici" di Ravenhead al Far West di Gunmen (sempre "interpretato" dalla loro mascotte, tale "Alister Vale", che sarebbe un po’ il corrispettivo di Eddie con gli Iron Maiden) .
Con Final Days si cambia ancora, passando a uno scenario sci-fi distopico, in cui ovviamente emergono i problemi del rapporto tra macchine sempre più intelligenti, raffinate e uomini, i problemi sociali in un mondo allo "sbando" guidato dai potenti, lasciato in balia del progresso senza regole, senza valori. Il tutto come già detto in apertura della recensione va a ispirare le sonorità e lo stile dell’album, prodotto di per sé in maniera super moderna, con suoni sempre precisi e compressi, stavolta influenzate da questo sfondo futuristico, unendo al classico power a base di riff di chitarra veloci e alle classiche martellate di batteria alcuni suoni "futuristici", digitali, di synth o strumenti elettronici che vanno a puntellare il tutto, caratterizzando un po’ il disco, senza in ogni caso stravolgerlo. Si parte con il power di Heart of the Android, canzone che mette subito in luce la grandissima capacità degli Orden Ogan nel creare brani super accattivanti e coinvolgenti, così come la successiva In The Dawn of the AI, ancor più veloce e meglio realizzata, nonché intaccata dagli "effetti speciali" citati prima, che vanno a modificare la voce e la chitarra in alcuni punti del brano. Leggendo i testi emergono da subito tutti gli elementi del concept futuristico, che rievoca altre importanti opere quali "Ghost in the Shell", "Ma gli androidi sognano pecore elettriche?" e i due "Blade Runner", proprio nel trattare il rapporto tra uomo e macchina, nel costruire certe atmosfere. C’è poi un duo di canzoni rock/power sempre accattivanti, Inferno e Let the Fire Rain, la prima con un ritornello, con dei cori, banali ma che entrano in testa, la seconda uguale, solo che si va leggermente più in un contesto heavy-power, con un coro epico, un po’ come quando nei live degli Iron Maiden il pubblico canta sulla musica prima dell’assolo di Fear of the Dark. Per quanto prevedibili anche queste canzoni funzionano. Si alza l’asticella con Interstellar, grazie anche alla partecipazione dell’immenso Gus G., che svolge un lavoro impeccabile alla chitarra, mostrando tecnica e gusto, nonché la grande capacità di calarsi nel contesto, in una canzone estremamente orecchiabile, dal ritornello vincente. Bene anche Alone in the Dark, brano lento in duetto con la svedese Ylva Eriksson dei Brothers of Metal. Si torna in carreggiata con Black Hole e Absolution for Our Final Days, con il solito power, sempre ben realizzato e accattivante, che però in queste fasi del disco risulta essere un po’ "già sentito". Si preme nuovamente l’acceleratore con un altro bel brano energico, Hollow, per poi giungere al termine con It Is Over, dove la band spara le ultime cartucce tra cori dal grande tiro, strofe leggermente più lente e suoni solenni, epici, chiudendo al meglio il disco raccontando della distruzione della Terra dopo l’impatto con un asteroide.
Come si è potuto vedere nella recensione l’ascolto è sempre fluido e ogni canzone di per sé di base funziona. L’unico limite è la ripetitività (alla fine a spezzare un po’ il ritmo c’è una sola ballad), che unita al genere di suoni alla lunga stanca un po’ e rende l’ascolto un meno "facile" di quello che ci si aspetterebbe da un disco del genere, perfettamente realizzato e ben studiato per essere accattivante in ogni suo aspetto. Final Days paga un po’ questo suo essere fin troppo ben costruito e realizzato, il suo non mostrare punti deboli, spontaneità e genuinità. È un po’ come gli androidi di cui parla nel suo concept: efficaci e letali, ma privi di emozioni, di umanità. Ecco, Final Days, magari proprio per adeguarsi alla narrazione manca un po’ sotto questi aspetti. Per il resto comunque si tratta di un disco come già detto e ribadito estremamente fantasioso e ben realizzato (e il voto parla chiaro, Final Days probabilmente rientrerà tra i dischi dell’anno nel suo genere), con canzoni di assoluto livello, senz’ombra di dubbio consigliate a tutti gli appassionati di heavy-power.
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2
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Disco prodotto in maniera plasticosa, con melodie che di Power Metal ormai non hanno nulla. Non mi meraviglierei se dovessero passare all'improvviso sul carrozzone Nuclear Blast. 45. |
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1
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Disco molto di maniera, realizzato professionalmente ma un prodotto atandard/ripetitivo stile ultimi Brainstorm. Voto 65. |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Heart of the Android 2. In the Dawn of the AI 3. Inferno 4. Let the Fire Rain 5. Interstellar 6. Alone in the Dark 7. Black Hole 8. Absolution for Our Final Days 9. Hollow 10. It Is Over
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Line Up
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Seeb Levermann (Voce) Nils Löffler (Chitarra) Patrick Sperling (Chitarra) Steven Wussow (Basso) Dirk Meyer-Berhorn (Batteria)
Musicisti ospiti: Gus G (Chitarra nella traccia 5) Ylva Eriksson (Voce nella traccia 6)
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