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Biohazard - Uncivilization
05/06/2021
( 1260 letture )
Uncivilization (2001), per la serie: “avere vent’anni”. Ma, giuro, sembra solo l’altro ieri. 11 Settembre 2001, una data che non ha bisogno di spiegazioni per un album terremotante, a tratti fuori focus, che giunge a soli due anni di distanza dall’iper-metallo di New World Disorder. Digipack elegante, ospiti a go-go, scaletta corposa e tante idee messe in bella mostra, con il nuovo inserimento (invero non troppo azzeccato) del chitarrista Leo Curley, il quale ha il gravoso compito di sostituire il leggendario Bobby Hambel. Due chitarristi quasi agli antipodi: Curley spigoloso e moderno; B-Hambel assolutamente selvaggio e punk. La domanda è: Il sound della band di Brooklyn ne risente? Premete “play” e accomodatevi nel vostro scantinato… L’era degli incivili è appena iniziata!

Tredici tracce, un sacco di amici e professionisti invitati durante le registrazioni di questo corale e invettivo disco crossover. Uncivilization suona Biohazard ma, nel contempo, differente. Non è la riproposizione dei fasti HC/thrash, né una continuazione del recente, fortunato passato discografico. Potremmo considerarlo come un’espansione di Mata Leao (1996), anche se il nuovo album suona diverso. Sin dalle rimbalzanti note dell’opener Sellout (moderna e al passo con i tempi), notiamo un suono meno sfrontato e grezzo e -nei limiti del genere- più rifinito e rotondo. La sei corde infuocata e gli assoli furibondi di Bobby Hambel ci mancano moltissimo, ma non possiamo di certo lamentarci del groove sconquassante e del break rappato di Evan Seinfeld, così come i contro-cori in pieno NYHC. Insomma, l’inizio -sebbene parzialmente differente- ci soddisfa appieno. La title-track, tra riff marziali e stralci del notiziario ci preannuncia uno scenario di guerriglia urbana e riprende le coordinate stilistiche dei Biohazard, tra sferzate punk e cori anthemici. Wide Awake fa il verso ai KoRn con un’apertura un po’ forzata, coadiuvata da effettistica e atmosfere sinistre. Per quanto sia intenso il duello vocale tra Evan Seinfeld e Billy Graziadei ci troviamo di fronte un brano formalmente poco ispirato. Discorso simile va fatto per la successiva, quadrata e dinamica Get Away, che sembra dover prendere il volo da un momento all’altro, salvo auto-placarsi in una sequela di versi in cui un buon Seinfeld trascina la baracca fino al gradito e acido solo di Curley. Buono il mini-bridge stoppato/narrato che strizza l’occhio al passato, rimanendo al passo con i tempi. Le scorie nu metal di fine anni ’90 fanno capolino più volte e, per quanto sia comprensibile, non sempre si amalgamano bene con la furia primordiale a cui ci ha abituato la gang newyorkese.
Il leggendario Roger Miret introduce la fomentata Unified, inno hardcore cantato all’unisono dal trio Miret / Seinfeld / Graziadei, mentre accordi ribassati fanno capolino nella distruttiva Gone (uno dei pezzi migliori), in cui troviamo un gradito Igor Cavalera dietro il drum-kit. Pur non sconvolgendo, l’effettato solo di Curley ben si integra con il violento groove, che anticipa di poco l’intro Letter Go e il numero rap di Last Man Standing, guidata dall’esperienza di Sen Dog. La canzone suona come un piccolo omaggio ai Cypress Hill grazie alla struttura semplice, ai cori sovrapposti e al flow tipicamente hip-hop. Ma le sorprese non finiscono qui e -anzi- aumentano di intensità con la successiva, deflagrante e ignorantissima scheggia HFFK (hate-fuck-fight-kill), dove troviamo nientemeno che Phil Anselmo in veste di super special guest. Tiro micidiale, punk/thrash che funziona e che richiama le note senza compromessi di State of the World Address, con un Danny Schuler in modalità Bulldozer.

Dopo questa piacevole mazzata sui denti torniamo a sentire il famigliare olezzo dei bassifondi della Grande Mela, con i suoi tombini fumanti e i vicoli umidi. Siete sempre seduti nel vostro scantinato, parzialmente al sicuro, mentre i minuti scorrono via come lame affilate e la potenza deflagra dal vostro Hi-Fi. Non totalmente convinti dalla bontà dell’album, procediamo sciorinando una manciata di brani finali dai sapori ancora una volta contrastanti. Il primo mattone della serie è sicuramente Domination, insaporita dalla presenza di Corey Taylor e Jamey Jasta, dall’introduzione rumoristica e industriale. Un brano che gioca solo in parte con il sound degli Slipknot, lasciando spazio ai riff potentissimi di Graziadei e al basso pulsante di Seinfeld. Buon dualismo tra strofe groove, influenze moderne e intrecci vocali, Domination si fa strada tra la folta scaletta di Uncivilization senza sfigurare. Ancora un brevilineo assolo di Leo Curley e poi un finale destrutturato e spigoloso, che anticipa la doppietta Trap / Plastic, due brani piuttosto differenti tra loro. La prima, che gode della leggendaria sei corde di mister Andreas Kisser porta con sé solo una velata influenza Sepultura, con una struttura compatta e il bridge un po’ naif e astruso. Plastic è breve e minimale ed è piuttosto ancorata alle influenze di Mata Leao, grazie al muscoloso rap-metal dal gusto retrò. Bellissimo il fading che apre le porte al gran finale, abilmente narrato dal basso e dalla voce baritonale del compianto Peter Steele, che porta in dote un po’ di malinconia targata Type O Negative nell’intro di Cross the Line, brano migliore del lotto insieme a Sellout, con un andamento ipnotico. Basso distorto e visioni autunnali e -per una manciata di secondi- ci dimentichiamo che stiamo ascoltando un album dei Biohazard. Bellissima idea che omaggia la lunga amicizia che lega le due band di Brooklyn, il finale prima sospeso poi martellante di Cross the Line fa alzare di almeno 5 punti il giudizio finale. Non torniamo ai fasti passati né al suono senza compromessi degli esordi, ma anzi ci focalizziamo su un up-tempo melodico, oscuro e solo vagamente punk che funziona e chiude le complesse danze di questo Uncivilization, consegnandoci anche il miglior assolo di L. Curley, davvero troppo legato durante tutta la performance.

Quello che penso da sempre di Uncivilization è che risulta un album a tratti azzeccato e fresco, ma che non riesce a stare sui livelli dei suoi predecessori. Non si tratta solo ed esclusivamente di sound, ma anche di amalgama e bontà intrinseca. C’è varietà, ma anche confusione. La brutalità è a volte frenata in favore di soluzioni un po’ campate in aria, anche se nei 13 brani troviamo di che gioire, come ovvio che sia quando i BH decidono di mollare i freni e picchiare duro.



VOTO RECENSORE
70
VOTO LETTORI
68.33 su 3 voti [ VOTA]
INFORMAZIONI
2001
Sanctuary
Crossover
Tracklist
1.Sellout
2.Uncivilization
3.Wide Awake
4.Get Away
5.Unified
6.Gone
7.Letter Go
8.Last Man Standing
9.HFFK
10.Domination
11.Trap
12.Plastic
13.Cross the Line
Line Up
Evan Seinfeld (Voce, Basso)
Billy Graziadei (Voce, Chitarra)
Leo Curley (Chitarra)
Danny Schuler (Batteria)

Musicisti ospiti
Roger Miret (Voce)
Danny Diablo (Voce)
Sen Dog (Voce)
Phil Anselmo (Voce)
Corey Taylor (Voce)
Jamey Jasta (Voce)
Derrick Green (Voce)
Peter Steele (Voce)
Andreas Kisser (Chitarra)
Igor Cavalera (Batteria)
 
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