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High Priestess - Casting the Circle
17/06/2021
( 309 letture )
Seconda carta dei Tarocchi maggiori, la Papessa (o La Sacerdotessa, la Sposa Divina, la Sacerdotessa di Iside, etc.) è tra quelle di maggior importanza, testimonianza della fede, ma soprattutto della conoscenza segreta e della dualità tra dimensione spirituale e dimensione materiale. La sua conoscenza è statuita dall’immagine stessa rappresentata sulle carte, nelle quali la Papessa ha sempre un libro, aperto o chiuso, ma non lo legge, mantenendo invece una posa fiera e lo sguardo diritto, come di chi sa già, ma non necessariamente ha intenzione di rivelare il proprio sapere. Se appare in senso positivo, la carta indica consigli e risoluzione dei problemi (ma nessuna risposta), se appare in senso negativo, ignoranza, ipocrisia, falsità, bigottismo, superficialità e cattivi consigli e in generale tutto il contrario dei segni positivi che generalmente si associano alla conoscenza. Può essere rappresentata anche come Sacerdotessa del culto di Iside o della Torah ebraica e si presume che sia ispirata alla mitica Papessa Giovanna o alla mistica Maifreda da Pirovano, chiamata appunto Papessa dai suoi seguaci della setta dei Guglielmiti, bruciata sul rogo assieme ad alcuni altri esponenti della setta, tra il 2 e il 9 settembre del 1300.
Formate negli Stati Uniti nel 2016, le High Priestess nascono a opera della bassista/cantante Mariana Fiel, che incontra la chitarrista Katie Gilchrest, con la quale si divide il microfono e successivamente tramite un annuncio online Megan Mullins alla batteria. Il trio si mette subito all’opera e rilascia il proprio debutto nel 2018, per poi prepararsi al salto di qualità già col secondo album Casting the Circle, uscito per Ripple Music nell’aprile del 2020 e subito segnalatosi come uscita di grande interesse nel ribollente e ormai esondante calderone dell’occult doom.

Le tre musiciste riescono nell’opera non facile di trovare una propria precisa formula (mai parola fu più appropriata) musicale, che fosse al tempo stesso caratterizzante e tributatrice della lunga tradizione dell’occulto coniugato alla musica rock. Inutile ripercorrere l’infinita schiera di band, tra Coven, Black Sabbath, Black Widow, Jacula e seguaci che hanno cercato di evocare tramite la loro musica una dimensione maledetta e arcana, spirituale e materiale al tempo stesso, nella quale il nero signore delle Tenebre viene omaggiato nella sua forma più diabolica e satanica. Ebbene, il trio statunitense si inserisce in questa lunga e folta schiera con una propria forte identità, che evoca senz’altro le atmosfere care al doom settantiano, ma attinge fortemente anche dalla psichedelia, dallo stoner e dal prog, da melodie, strumenti e percussioni orientali e da tutto ciò che possa contribuire a creare un’atmosfera esoterica e rituale. L’aspetto che più colpisce infatti in Casting the Circle è che tutti e cinque i brani che compongono i quarantadue minuti dell’album si conformano attorno al tentativo, peraltro spesso riuscito, di creare dei veri e propri rituali evocativi in forma di canzone. E’ come se le tre sacerdotesse ci invitassero costantemente a un sabba, una messa nera, una evocazione di entità sconosciute e superiori, creando lo scenario e lo svolgimento del rito con i loro strumenti e, soprattutto, con l’intreccio delle loro voci, quasi sempre doppiate e armonizzate. L’effetto che le musiciste ottengono è di enorme fascino e di grande impatto, dato che prescinde in buona parte dalla costruzione strumentale che propriamente siamo abituati a seguire, avendo uno scopo melodico e musicale diverso dall’intrattenere l’ascoltatore. Qua evidentemente siamo ospiti e spettatori del rito esoterico, probabilmente protagonisti a nostra volta e inconsapevolmente di quanto sta andando avanti. L’effetto è chiarissimo sin dall’iniziale Casting the Circle, nella quale non mancano chitarre distorte e ritmiche percussive, ma il dominio strumentale e vocale realizzato è interamente dedicato al richiamo verso l’abisso, sfruttando sitar, percussioni orientali e il costante richiamo degli ammalianti intrecci vocali. Il risultato è ottimo, sicuramente vintage nell’intento e nella realizzazione, ma conturbante e catturante. Leggermente più vicina alla normale forma canzone la seguente Erebus, condotta dal basso, sul quale intervengono poi le voci e i riff sabbathiani, scanditi dalla batteria, fino al lungo assolo di chitarra centrale. Anche in questo caso, l’effetto deprivativo sensoriale è riuscito, ma il costante ricorso a tempi medi, fortemente scanditi, comincia anche a mostrare quello che resterà fino in fondo il maggior difetto del disco: l’assenza di variazioni ritmiche e stilistiche che quando si toccano durate importanti, come i quasi dieci minuti di questo brano, si fanno sentire. Non tanto come ricaduta sulla traccia singola, che resta quasi perfetta, ma sull’ascolto complessivo. In tal senso, la successiva The Hourglass è forse il brano più riuscito dell’intero album, proprio per l’ottimo equilibrio tra melodia e parte strumentale, con una base di basso e batteria ribollente e degli ottimi interventi della Gilchrest alla chitarra, che ben sorreggono il perfetto refrain. E’ qui che si percepisce come il potenziale delle High Priestess sia formidabile e come il ricorso alle armonie vocali costituisca la cifra stilistica di maggior pregio dell’album. Purtroppo, le tre non intendono modificare l’approccio per l’intera durata dell’album e quindi un brano enorme come Invocation che supera abbondantemente i diciassette minuti, finisce per perdere di incisività, non per limiti propri, ma perché non presenta alcuna variazione rispetto a quanto lo ha preceduto e rischia invece di mettere in mostra tutti i limiti espressivi e compositivi del gruppo, invece di esaltarne la grande qualità evocativa e strumentale. Effettivamente, la sola parte del brano che sembra meritare attenzione è quella centrale, dall’ottavo minuto in poi, mentre anche il finale appare decisamente tirato per lunghe senza una effettiva necessità. La breve quanto riuscita chiusura di Ave Satanas che, come si evince, dal titolo è sostanzialmente un’invocazione giocata quasi interamente sull’intreccio delle voci, col supporto della tastiera, ci riconcilia comunque con Casting the Circle, ribadendo tutti gli assiomi stilistici fin qui esposti.

Alla fine dell’ascolto non resta che dire che le High Priestess con questo loro secondo album hanno senza dubbio trovato una formula di notevole fascino e profondità, che riassume il meglio di un’intera corrente musicale e lo propone con credibilità e qualità. Se strumentalmente la band non demerita, riuscendo in più di un’occasione a creare dei tappeti musicali di grande spessore, che sanno davvero rendere percepibili gli scenari da cui la band vuole trarre ispirazione e comunicarli all’ascoltatore, il quale non può che rimanere irretito da tanta potenza immaginifica, sono sicuramente gli intrecci vocali a giocare il ruolo più importante nell’album. Le due voci di Mariana Fiel e Katie Gilchrest si compenetrano alla perfezione e creano quell’alone mistico e sensuale indispensabile per rendere il fascino del Male in maniera credibile. Purtroppo, non si può non notare come la formula diventi però una trappola dalla quale per quarantadue minuti non si riesce a scappare, ripetendo costantemente le stesse soluzioni, oltretutto cadendo male proprio sulla composizione più ambiziosa, che per minutaggio va a rappresentare il quaranta per cento dell’intero disco. Una vera delusione, dato che un brano così lungo poteva rappresentare l’occasione per tentare un approccio diverso e magari anche per variare un po’ tempi e ritmiche. Purtroppo, così non è e un album che poteva entrare di diritto tra i migliori degli ultimi anni, finisce per essere solo un buon disco, con tre tracce davvero validissime, che con un paio di minuti in meno sarebbero state perfette e un brano enorme che avrebbe potuto rappresentare un intero lato di un vecchio LP, che però manca l’obbiettivo di essere il colpo di grazia. La Papessa può riuscire con una terza prova definitiva ad ampliare in maniera importante la propria schiera di fedeli seguaci. Il fascino e il carisma non le mancano davvero.



VOTO RECENSORE
73
VOTO LETTORI
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INFORMAZIONI
2020
Ripple Music
Doom
Tracklist
1. Casting the Circle
2. Erebus
3. The Hourglass
4. Invocation
5. Ave Satanas
Line Up
Katie Gilchrest (Voce, Chitarra, Tastiera)
Mariana Fiel (Basso, Voce)
Megan Mullins (Batteria)
 
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