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Robin Trower - Bridge of Sighs
25/07/2021
( 1102 letture )
Se prendessimo in considerazione la lista dei chitarristi che hanno segnato un’epoca e sono ormai sconosciuti ai più, tra i tanti che potremmo citare, da John Cipollina a Randy California, da Frank Marino a Jorma Kaukonen, da Vic Vergeat a John DuCann, da Alexis Korner a Rick Derringer, Ronnie Montrose e via dicendo, un posto in questa non propriamente felice schiera spetterebbe ormai anche al leggendario Robin Leonard Trower. Nato a Catford, Londra, il 9 marzo del 1945, Trower esordisce già nel 1962 con i The Paramounts, band nella quale troviamo anche Gary Brooker. Sciolto il gruppo nel 1966, Brooker si ricorda dell’amico all’indomani del grande successo della sua nuova band, i Procul Harum e lo ricontatta per entrare in formazione. Parliamo ovviamente di una band che all’epoca era sulla cresta dell’onda, con quella Whiter Shade of Pale che ancora oggi resta tra i massimi classici del genere. Con loro, Trower registra cinque album in quattro anni, nei quali sviluppa il proprio stile e le proprie abilità di musicista, finché non si sente pronto per tentare la carriera solista, dopo un fugace tentativo di creare una sorta di supergruppo con l’ex batterista dei Jethro Tull, Clive Bunker. Sarà peraltro proprio grazie a Martin Barre che Trower diventerà un fan assoluto della Fender Stratocuster, abbandonando definitivamente la Les Paul che aveva utilizzato fino a quel momento. Trower porta con sé il bassista e cantante James Dewar e, assieme al batterista Reg Isidore, formerà la Robin Trower Band nel 1973, pubblicando nello stesso anno il debutto Twice Removed from Yesterday, disco che già presentava un repertorio composto in gran parte da materiale originale. La formazione a power trio è tutt’altro che un caso e richiama fin da subito quella che è la vera fonte di ispirazione del chitarrista inglese, ovverosia la Jimi Hendrix Experience e il suo leader, l’indimenticabile James Marshall “Jimi” Hendrix. Trower può e deve essere quindi considerato un chitarrista che dal verbo hendrixiano ha preso ben più che ispirazione, ma con la propria sensibilità e la qualità del proprio tocco e dei suoni, ha a sua volta ampliato i confini del genere e ispirato una intera generazione di chitarristi.

Forte del rodaggio offerto dal più che buon debutto, la Robin Trower Band diede alle stampe un secondo album che sarebbe entrato di diritto nella leggenda, raggiungendo le altissime vette delle classifiche mondiali e stabilendo uno standard altissimo in termini di qualità e ispirazione, che sarebbe divenuto nel tempo il punto di riferimento per l’intera carriera del chitarrista e che purtroppo, come spesso accade, non sarebbe mai più stato eguagliato. Bridge of Sighs contiene in effetti tutte le canzoni più famose del repertorio del chitarrista, a partire proprio dalla titletrack. Leggenda vuole che il titolo non sia direttamente riferito al celeberrimo “Ponte dei Sospiri” di Venezia, ma a un cavallo (o a una corsa di cavalli) il cui nome Trower lesse su un giornale sportivo, pensando che sarebbe stato perfetto per un disco. E’ il classico caso nel quale tutto funziona alla perfezione e già dalla prima traccia, Day of the Eagle, si capisce che il trio ha fatto un salto in avanti enorme rispetto al primo album: il brano è un hard rock venato di funky tiratissimo e rovente, con un Trower incontenibile e la sezione ritmica di Dewar e Isidore chiamata a un superlavoro per la potenza sprigionata dalla comunque mai esagerata distorsione del chitarrista, che resta di matrice blues anche nei momenti più veementi e non può fare a meno di inserire un break che interrompe la colata lavica sul finale, ma che appunto traghetta il genere verso frontiere lontane. Gli assoli sono tutti di grande livello, mentre si fa apprezzare la bellissima voce di Dewar. La timbrica profonda e roca del bassista, tipicamente soul e blues, è di quelle che lasciano il segno e fanno la differenza ed è un vero peccato che sia oggi del tutto dimenticato. Ma dopo un iperclassico, ecco subito che arriva la canzone che da qui in avanti identificherà Robin Trower: Bridge of Sighs fa onore al suo nome, con un blues lento e lascivo, scandito dal basso e declamato dalla voce di Dewar, mentre Trower si esibisce in un continuum di fraseggi che girano attorno all’indimenticabile riff portante. Canzone perfetta, in ogni elemento, dalla clamorosa intensità, pur proponendo un canone che da Voodoo Chile in poi era stato già ampiamente consolidato. Eppure ed è qui la differenza, la versione della Robin Trower Band è altrettanto iconica, col vento che tira in sottofondo e le chitarre che si distendono languide, sognanti e malinconiche. E’ sempre il vento a trascinarci poi verso i lidi space di In This Place, canzone che aspira all’universo ricordando i Captain Beyond per intensità e capacità di evocazione. Ancora una volta è la voce di Dewar a prenderci per mano, mentre la chitarra di Trower ci accarezza e accompagna, confermando l’assoluto gusto del band leader, mai invasivo o preponderante e sempre invece attento alle dinamiche e dal tocco gentile e dall’inconfondibile suono, grazie alla sua Stratocuster, della quale diventerà un profeta assoluto. Si rialzano i battiti con The Fool and Me, nuova dimostrazione di bravura, che ci accompagna a un altro fortunato singolo, Too Rolling Stoned, nel quale funky e rock si fondono perfettamente dando vita a un brano vibrante; al solito la sezione ritmica gioca un ruolo fondamentale, mentre Trower sale in cattedra nel break di wha-wha, per poi prendersi letteralmente la scena nella lunga seconda parte del brano, banco di prova per torrenziali improvvisazioni e compendio del suo stile gentile e torrenziale, tecnico e pulitissimo, mai esagerato. Altro pezzo da brivido, soffuso e carico di tensione è About to Begin, che viene seguito da Lady Love, classico ritmato e veemente della band. Chiude Little Bit of Sympathy, ennesima esplosione hendrixiana divertentissima e ritmata che ci congeda ottimamente da un album perfetto.

Il disco come anticipato sfonderà letteralmente le classifiche mondiali, arrivando al settimo posto della classifica Billboard e rimanendovi per trentuno settimane consecutive, lanciando ben quattro singoli e rendendo Robin Trower una celebrità. Probabilmente non un capolavoro in senso stretto, perché l’influenza hendrixiana resta comunque molto forte e anche a livello compositivo non si notano elementi totalmente innovativi, ma un disco perfetto, in cui tutto funziona, con una produzione anch'essa perfetta, guidato da una qualità strumentale di tutto il trio che colpisce ancora.
Fa strano dirlo oggi, che Trower è diventato materia per pochi appassionati, ma Bridge of Sighs raggiunse un successo tale che tutta la generazione di musicisti successiva ne sarà influenzata e renderà omaggio al chitarrista inglese: Steve Lukather, Tesla, Metallica, Steve Stevens, UFO, Armored Saint, perfino gli Opeth sono tra coloro che hanno reso omaggio e coverizzato un brano estratto da Bridge of Sighs. Anche un Maestro assoluto come Robert Fripp testimonierà la propria ammirazione per Robin Trower, in particolare per il suo bending, divenendone per un periodo allievo, a conferma dell’assoluta bravura di questo grande protagonista degli anni Settanta. Come detto, Bridge of Sighs resterà per il chitarrista inglese "IL" disco, quello imperdibile. Con formazioni diverse il Nostro comunque continuerà a mantenere un certo seguito, almeno fino all’inizio degli anni Novanta e soprattutto negli USA, seppure perdendo il contratto con la Chrysalis, dopo il tentativo di riportarsi in auge attraverso la collaborazione con un altro grande decaduto di quella era gloriosa, Jack Bruce, strepitoso bassista/cantante dei Cream. Da allora, il chitarrista ha comunque continuato a pubblicare album (l’ultimo è del 2020, United State of Mind, il suo ventiquattresimo) e ad andare in tour, seppure un malore sul palco nel marzo del 2018 avesse fatto temere il peggio.
Fatevi un regalo oggi, andate a scoprire Bridge of Sighs se non lo avete mai fatto o riscopritelo se lo conoscete. Non ve ne pentirete.



VOTO RECENSORE
89
VOTO LETTORI
98.13 su 15 voti [ VOTA]
Graziano
Venerdì 30 Luglio 2021, 18.07.04
7
Bonamassa. 😅
Graziano
Venerdì 30 Luglio 2021, 18.05.04
6
Anche Bonamasa gli deve parecchio. Disco perfetto. Per me decisamente un capolavoro.
rocklife
Lunedì 26 Luglio 2021, 21.40.29
5
chitarrista che mi e' sempre piaciuto..ho il disco e lo sento sempre..magnifico esempio di rock...secondo me un po' sottovalutato robin..sbagliatissimo
Barry
Lunedì 26 Luglio 2021, 20.48.42
4
Che album magnifico e che title-track immortale. Ne hanno fatto anche una bellissima cover gli Opeth
Jimi The Ghost
Lunedì 26 Luglio 2021, 13.29.11
3
Rob Fleming: e... si ho scritto male: manca il verbo "HA Ispirato il sound di Stevie Ray Vaughan dal suono "sporco-pulito". Approfitto anche per Concordare quanto hai scritto.
Rob Fleming
Lunedì 26 Luglio 2021, 12.17.16
2
Bravo Saverio che hai reso omaggio ad un grandissimo della chitarra. Robin Trower è uno di quei fuoriclasse con il tocco magico che vengono citati raramente (in tal senso lo associo sempre a Rory Gallagher). Tra gli epigoni di Hendrix è il mio preferito (anche più di Uli J. Roth e Frank Marino). Anche più dell'originale stesso. Ciò in virtù della bellissima voce di Dewar, dei suoi calibratissimi ed ispirati assoli e, ovviamente, delle magnifiche canzoni. Il Live del '76 è pura emozione. Bridge of Sighs è talmente straordinaria che va al di là dei generi (Opeth docet). In this place e About to begin sono un trattato per chitarristi in cerca della nota giusta al momento giusto. Ma quando c'è da rockare e rollare Day of the Eagle, Lady Love e gli altri brani ci mostrano un power trio con gli attributi. Nella interessante descrizione di @Jimi the Ghost secondo me manca qualcosa. Cronologicamente non penso che Robin Trower possa essere stato influenzato da SRV. A meno che non si parli di quanto prodotto dagli anni '80 in avanti. 90
Jimi The Ghost
Lunedì 26 Luglio 2021, 10.10.28
1
Robin Trower: Indimenticabile il suo apporto nella band Procol Harum in particolare nel disco del 1967. Più che il suo stile inimitabile è il suo suono che è decisamente irriproducibile. Ispirato dal sound di Stevie Ray Vaughan dal suono "sporco-pulito", Robin monta sul palco due/tre amplificatori (in studio due) nella quale invia separatamente le due modalità di suono emesso dalla sua fender in modo da ricreare un effetto multiplo e quindi stereo. Dal vivo si percepisce l'emissione di un suono distinto che da un lato è per i toni "puliti" e l'altro per i toni più"sporchi". In questo modo lui è riuscito a ricreare un suono ampio fedele tra i due amplificatori, piuttosto che un unico suono che entra in un amplificatore e viene semplicemente amplificato. Chitarra Fender Strato jumbo frets, pesantissima poiché dal "tanto legno" proprio per aumentare la risonanza del tono emesso (i manici della sua chitarra preferiti sono molto larghi) di solito in acero. Setup di corde calibrato su .012, .015, .017, .026, .036, .048 atte a differenziare notevolmente il tono tra le corde alte e le basse il tutto rimodulato con una pedaliera da brivido. Trower Non è il chitarrista dalle modali e della velocità sul manico, non è questa la sua caratterista, lui è il chitarrista del suono e soprattutto del tono, sempre puntuale, ricercato, preciso. Grazie al su modo di plettrare, inclinato e non in linea con le corde, mantiene inoltre la sua chitarra sollevata quasi perpendicolare al corpo e i suoi nei sustain sono lunghi e mantenuti a lungo. Insomma. Si capisce: adoro il tocco del plettro di questo signore delle 6 corde. Adoro il suo suono analogico e il tono che riesce a conferire al brano e adoro questo disco. Unico e fresco da sempre. Jimi TG
INFORMAZIONI
1974
Chrysalis Records
Rock/blues
Tracklist
1. Day of the Eagle
2. Bridge of Sighs
3. In This Place
4. The Fool and Me
5. Too Rolling Stoned
6. About to Begin
7. Lady Love
8. A Little Bit of Sympathy
Line Up
James Dewar (Voce, Basso)
Robin Trower (Chitarra)
Reg Isidore (Batteria)
 
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