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Lantlôs - Wildhund
02/08/2021
( 1465 letture )
Parabola anomala quella dei tedeschi Lantlôs, creatura fondata dal polistrumentista Markus Siegenhort sulla scia del black metal di scuola francese più fragile ed atmosferico. Non a caso difatti tra le fila della band, negli anni, ha militato dietro il microfono il geniale Neige, forse il padre spirituale più celebre di tutta la nuova scena blackgaze inaugurata dai suoi Alcest e dai non meno seminali Amesoeurs.
Dopo un trittico di album di spessore improvvisamente Siegenhort ha deciso di abbandonare il proprio pseudonimo Herbst e con esso anche tutta la componente black metal essenziale nel sound della band. Il risultato di questo radicale cambiamento ha preso il titolo di Melting Sun, disco uscito nel 2014 e causa di discordia tra i fan del musicista tedesco, il quale qui dà sfoggio del proprio amore verso il post metal componendo brani lunghi e dal piglio narcolettico, dove ampie sezioni ambient si alternano a parti più corpose formate da veri muri di suono sulla falsa riga dei Palms. Quaranta minuti certamente interessanti, ma fortemente sbilanciati e che risultano nel complesso di difficile assimilazione, a causa di una proposta troppo spesso estremamente rarefatta. La produzione adottata però fa intendere che Siegenhort ha intenzione di esplorare territori molto più vicini ad un alternative metal soffuso ed emotivamente pregnante e finalmente, a distanza di ben sette anni, ecco pubblicato il nuovo Wildhund, un album che sancisce il definitivo distacco dei Lantlôs dal proprio passato estremo per abbracciare una nuova identità che guarda principalmente a realtà come Deftones – il riferimento ai Palms ora si fa nettamente più chiaro – e in generale alla scena nugaze, con band come Nothing ed Hum come guida.
Markus Siegenhort è sempre stato la mente fondamentale del gruppo tedesco, ma ora è rimasto definitivamente da solo al comando del progetto, con il fedele batterista Felix Wylezik a supportare con notevole carisma le composizioni del frontman, ma senza una personalità ingombrante come quella di Neige o dell’ex chitarrista Cedric Holler a condividere il songwriting. Ciò si traduce in un lavoro più che mai introspettivo e solitario, giocato sulle sole influenze di Siegenhort e per questo motivo più omogeneo e levigato.
Ascoltando i primi minuti di Wildhund anche il post metal radioso di Melting Sun sembra lontano, soppiantato da brani decisamente più corti e che mantengono una forma canzone sempre piuttosto ben definita. I suoni sicuramente virano sempre dalle parti dello shoegaze, grazie ad una produzione brillante, ma che gioca a mantenere nebulosi i confini degli strumenti a corde e delle tastiere, lasciando solamente la batteria a svettare nel mix finale, contrapposta alla voce al contrario immersa nel caos degli strumenti.

Premesso questo, se si sceglie di affidarsi ad una produzione di tal foggia è necessario che i singoli brani godano di una forte personalità, esaltata poi dalle tecniche adottate in studio. È qui però che sta il tallone d’Achille di Siegenhort, il quale ha sicuramente dalla sua una tecnica compositiva invidiabile, ma non gode di un songwriting troppo vario, perlomeno quando si tratta di scrivere canzoni per questa nuova veste della sua band. Quello che accade dopo il primo ascolto di Wildhund infatti è desolante, dal momento che si percepiscono moltissimi spunti interessanti, strumentalmente e vocalmente, ma si fa fatica a delineare in maniera netta i confini tra i diversi brani, che sembrano essere ognuno il prolungamento del precedente, con rare eccezioni. I successivi ascolti rendono giustizia alle buone intuizioni compositive del tedesco, ma non riescono ad acuire questa sensazione di eccessiva monotonia che regna nei cinquantadue minuti della scaletta.
Questo è il vero e unico lato negativo di un album che in realtà ha moltissime frecce al proprio arco da scoccare con sicurezza durante il suo svolgimento: fin dalle prime note di Lake Fantasy si viene immersi in un calderone di metal languido e delicato, ma che non disdegna attacchi frontali come quello che avviene sul finale del medesimo brano, con un breakdown inaspettato, ma incredibilmente azzeccato. Gli strumenti a corda suonano confusi e rumorosi, come da tradizione shoegaze, ma la produzione fa sì che non manchino esplicite soluzioni metal che valorizzano i momenti solisti e i riff più tirati. La voce è invece trattata in maniera peculiare, con continue sovraincisioni che danno la costante sensazione di essere di fronte a un coro sommesso piuttosto che all’opera di un singolo cantante. La soluzione adottata è suggestiva, ma il fatto che venga impiegata in tutti i brani la rende ben presto tediosa e questo è vero peccato.
Nella prima parte del disco svetta comunque un brano come Cocoon Tree House, un tripudio di progressioni armoniche che in questo caso esaltano veramente la voce di Siegenhort, mentre tutto il comparto strumentale si muove all’unisono per dare vita ad una cavalcata in continua crescita e che non lascia scampo alle emozioni più profonde. Certo, qui di metal non c’è praticamente nulla, ma la composizione trova un suo equilibrio perfetto e lascia che la nuova poetica dei Lantlôs possa esprimersi con totale libertà.
Ne abbiamo parlato brevemente poco fa, ma è doveroso rimarcare la prestazione eccezionale di Felix Wylezik dietro le pelli, soprattutto in episodi come Home o The Bubble, dove la semplicità del songwriting fa da perfetto contraltare ad un’andatura ritmica che nel primo caso sfiora il math-core e nel secondo invece si posiziona a metà strada tra alternative rock e nu metal. Il batterista è davvero la ciliegina sulla torta nei brani della band tedesca, che grazie al suo estro possono guadagnare in personalità e tecnicismo.
La seconda parte del disco è quella che contiene i momenti più degni di nota, con Planetarium che inizia soffusa per poi esplodere con un riff deftonesiano sostenuto da un Wylezik esagerato; è questo il brano più atmosferico in scaletta, con le tastiere che si prendono maggior spazio e delineano un immaginario di stampo dream pop. Si inspessisce il sound generale nella seguente Dream Machine, l’apice assoluto dell’album, dove tutte le influenze fin qui descritte si mescolano fra loro a trovare una formula finalmente personale e non catalogabile in un preciso genere di riferimento.

Dodici brani, tutti sopra i quattro minuti, non sono pochi e sicuramente una sfoltita generale avrebbe solo potuto giovare al disco: episodi come Vertigo e Dog In The Wild ricalcano momenti già sentiti nel corso della scaletta e l’intermezzo ambient di Cloud Inhaler risulta semplicemente inutile. Già solo togliendo questi brani si sarebbe potuto avere un prodotto più riuscito, ma sarebbe sbagliato definire Wildhund un disco mediocre o poco riuscito, tutt’altro: lo sforzo dei Lantlôs per trovare una nuova dimensione sonora trova in quest’opera un approdo che, sebbene non possa definirsi conclusivo, perlomeno lascia intendere di essere di fronte ad una band che ora ha perfettamente in mente i propri obiettivi e sta perfezionando la maniera di renderli manifesti. Ci sarà sicuramente chi continuerà a rimpiangere il passato black metal dei tedeschi, così come accade con tutti quegli artisti che vengono apprezzati in un determinato momento della propria carriera, ma poi decidono di virare su altri lidi stilistici, ma Markus Siegenhort è oggi un musicista con la mente rivolta verso un sound moderno e man mano sempre più riconoscibile. C’è ancora da crescere, ma valutando la carriera dell’amico/nemico Neige, i confini per fare di meglio ci sono e la fiducia verso i Lantlôs rimane immutata.
In campo alternative metal forse Wildhund non salirà sul podio dei migliori album di quest’anno, ma sicuramente riuscirà a donare più di qualche soddisfazione ai fan del genere e questo non è affatto poco.



VOTO RECENSORE
74
VOTO LETTORI
67.16 su 6 voti [ VOTA]
INFORMAZIONI
2021
Prophecy Productions
Alternative Metal
Tracklist
1. Lake Fantasy
2. Magnolia
3. Cocoon Tree House
4. Home
5. Vertigo
6. The Bubble
7. Amber
8. Cloud Inhaler
9. Planetarium
10. Dream Machine
11. Dog In The Wild
12. Lich
Line Up
Markus Siegenhort (Voce, Chitarra, Basso, Synth)
Felix Wylezik (Batteria)

Musicisti Ospiti:
Jan Kerscher (Cori in tracce 2, 6)
 
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