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King Woman - Celestial Blues
18/08/2021
( 1331 letture )
Un blues celestiale, di fatto un ossimoro potenzialmente fortissimo che può dar vita a infinite rappresentazioni se lo si riesce ad incanalare nella giusta modalità espressiva. Il blues inteso non come genere musicale, ma come sentimento di tristezza e malinconia, capace di ammantarsi di un’aurea celestiale e in un qualche modo sacrale, esorcizzandosi attraverso i racconti dell’anima di chi decide di mostrarsi a nudo descrivendo se stesso nella più intima profondità.
È questo l’obiettivo che Kristina Esfandiari ha cercato di perseguire componendo il nuovo album dei King Woman, il suo progetto più fortunato da alcuni anni a questa parte.
La Esfandiari è un’artista dal passato tormentato: nata negli Stati Uniti da genitori iraniani e serbi, da piccola Kristina è stata affidata alle “cure” della setta del Rinnovamento carismatico cattolico, un gruppo fondamentalista dalle regole severissime, che ha dominato la maggior parte della sua esistenza fino al momento in cui la giovane, a vent’anni, ha deciso di fuggire da quella realtà malata per rifugiarsi nella Bay Area. Ammaliata dalle sonorità shoegaze, Kristina entra per un breve periodo nei Whirr, band cult della nuova ondata shoegaze degli anni ’10 e subito si getta a capofitto in svariati progetti solisti: dapprima proprio King Woman, realtà nata sulle ceneri dell’esperienza con i Whirr, e contemporaneamente anche Miserable, altro volto della musicista stavolta dedito ad uno shoegaze più calligrafico.
Chiudono il cerchio due progetti completamente diversi, ovvero Dalmatian, l’incarnazione rap della Esfandiari, e NIGHTCRWLER, uno sfogo harsh noise/industrial ispirato ad Yves Tumor.

È comunque King Woman il nome che richiama maggiormente l’attenzione della critica, grazie all’Ep Doubt del 2015; i punti di forza del progetto stanno nella musica – un doomgaze potente, ma al contempo fragile e basato sulla voce carismatica di Kristina – e soprattutto nei testi, tutti rivolti ad esplorare l’esperienza terribile dell’infanzia vissuta all’interno della setta religiosa e dei conseguenti tentativi di evasione da essa.
Arriva quindi l’interesse da parte di Relapse Records, che sostiene la produzione e la distribuzione del primo album della band, formata dalla musicista e dall’amico Joey Raygoza alla batteria; al basso invece si aggiunge Peter Arensdorf e alla chitarra Colin Gallagher, il quale abbandonerà il gruppo poco dopo.
Created In The Image Of Suffering esce nel 2017 e viene accolto all’unanimità come uno degli album più interessanti dell’anno, non solo in campo doomgaze – nello stesso anno tra l’altro veniva pubblicato il capolavoro dei Cloakroom Time Well sempre su Relapse Records – dando di colpo a Kristina Esfandiari un bel po’ di popolarità all’infuori del solo circuito underground.
Grazie al successo del disco la creatività della musicista viene lasciata definitivamente senza freni e nel giro di pochi anni ecco che vengono pubblicati due dischi da parte del progetto Dalmatian, uno da parte di NIGHTCRWLER ed il debutto dei Sugar High, progetto nato su Instagram e attivo solamente online. Ma soprattutto esce l’Ep Loverboy dei Miserable, attualmente la miglior prova discografica della statunitense in assoluto.
In questo 2021 invece arriva finalmente il momento per un nuovo album di King Woman, intitolato Celestial Blues.

Se musicalmente e liricamente le intenzioni della Esfandiari non si discostano molto dal disco d’esordio, la percezione di un miglioramento generale è percepibile fin dal primo ascolto, perlomeno a livello di produzione: protagonista assoluta dei nove brani in scaletta è sempre la voce della cantante, ora carezzevole ora straziata, ora vellutata ed ora in trance. Le performance di Kristina hanno sempre destato scalpore, soprattutto in sede live, dove le liriche dei testi prendono vita attraverso la rappresentazione fisica della stessa musicista, esasperata nel suo contorcersi di fronte al pubblico mentre narra i propri tormenti. Su disco tutto questo è percepibile in maniera meno impattante, ma comunque è impossibile rimanere indifferenti di fronte alla grida che tuonano in brani come Entwined o al cospetto dei sussurri che aprono Ruse.
Sicuramente la prova della cantante è ciò che rende meritevole di ascolto l’album, il problema è che rischia di rimanere l’unico poiché il resto degli elementi che concorrono alla riuscita del disco non brillano allo stesso modo.
Nel complesso i nove brani in scaletta sono tutti composti su tempi medi che privilegiano gli arpeggi di chitarra e le sezioni più atmosferiche, mentre gli scoppi più propriamente metal sono centellinati e non riescono quasi mai a creare quell’effetto sorpresa che vorrebbe accompagnare la sempre più crescente intensità dei testi. Sfugge alla regola Golgotha, probabilmente il miglior episodio del disco proprio grazie ad una scrittura che valorizza sia la prestazione vocale, qui al limite della litania religiosa, che la prova strumentale, priva di qualsivoglia virtuosismo, ma funzionale al risultato finale.
Il doomgaze proposto dai King Woman si muove principalmente lungo la scia dei True Widow, ma in Celestial Blues sia gli elementi propriamente doom che quelli tipicamente shoegaze sono ridotti di molto rispetto al debutto. Sembra invece di ascoltare un curioso ibrido di alternative rock e parentesi più metal, che cerca di trovare una propria dimensione ideale senza però riuscire a convincere.
Le atmosfere create dalla Esfandiari sono potenzialmente vincenti e non mancano frangenti in cui il trasporto della cantante la avvicina per intensità all’intoccabile Kristin Hayter (mente del progetto Lingua Ignota), ma è il comparto strumentale, unito ad una scrittura poco incisiva, a non rendere memorabile nessun brano in particolare. Non basta nemmeno la buona produzione di Jack Shirley (già con Deafheaven, Oathbreaker ed Amenra) ad elevare Celestial Blues al livello di guardia del debutto: laddove il precedente album brillava più per la novità che per il valore intrinseco della musica, qui invece – svanito l’effetto sorpresa – serviva una conferma dal punto di vista musicale, che però è arrivata a metà.
Spiccano la titletrack, con le sue cadenze doom più pronunciate, e Boghz, dove è ancora degna di nota la prova della cantante, la quale mostra una versatilità impressionante. Ma sono brani di cui comunque ci si dimentica in fretta, che non riescono a rimanere appiccicati alle orecchie e alla mente dell’ascoltatore e si limitano a scivolare via portando con sé i minuti appena trascorsi.

È un peccato perché sembra che Kristina Esfandiari stia progredendo sempre di più come artista e come performer, ma in questo specifico caso la band e la musica che accompagna il suo mondo biblico perverso e malato non riesce ad essere all’altezza della proposta, di fatto minando in maniera irreversibile tutto il buono che la principale mente del progetto è riuscita a creare in quello che, senza dubbio alcuno, risulta essere il suo disco più personale ed intimo.
Leggendo i testi la considerazione di Celestial Blues cresce e dà ancora maggior credito alle capacità anche liriche della Esfandiari, ma rimane l’amaro in bocca per un’opera che avrebbe potuto essere ottima e invece è riuscita solo a metà. Peccato, davvero un gran peccato.



VOTO RECENSORE
64
VOTO LETTORI
91.16 su 6 voti [ VOTA]
DEEP BLUE
Venerdì 10 Dicembre 2021, 21.19.32
1
ma peccato de che? Magari uscissero dischi cosi tutti i giorni, di doom è rimasto poco o niente comunque.
INFORMAZIONI
2021
Relapse Records
Doom
Tracklist
1.Celestial Blues
2. Morning Star
3. Boghz
4. Golgotha
5. Coil
6. Entwined
7. Psychic Wound
8. Ruse
9. Paradise Lost
Line Up
Kristina Esfandiari (Voce, Chitarra)
Peter Arensdorf (Chitarra, Basso)
Joey Raygoza (Batteria)
 
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