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Hawkwind - Somnia
09/10/2021
( 1650 letture )
Somnus è il Dio romano del sonno, omologo dell’Hypnos greco, ma con delle sue caratteristiche particolari, come ad esempio la dimora, che varia dal vestibolo dell’Ade al Paese dei Cimmeri, Hyperborea. Padre dei sogni (Oneiroi), dei quali il più famoso è Morfeo e figlio della Notte, mentre secondo il Mito greco gli Oneiroi erano fratelli di Hypnos e tutti figli di Nyx (Notte), come anche Thanatos.
Per Somnia si intendono per estensione i sogni e questi sono i protagonisti indiscussi del trentaquattresimo album da studio dei leggendari Hawkwind. Aggiungere qualcosa a una carriera incredibile come quella del gruppo inglese appare davvero difficile, tra infiniti cambi di formazione, un cinquantenario appena festeggiato, una discografia immensa e un amore dato dal pubblico che non è mai venuto meno, dopo i fasti degli anni Settanta. Dave Brock continua a guidare la sua ciurma interstellare come un capitano d’altri tempi, saldo al timone e pronto a cogliere i segnali delle tempeste stellari, tra pirati spaziali, banchi di gas e pulviscolo planetario, fasce asteroidali e infidi buchi neri capaci di risucchiare intere galassie. Eppure, nonostante il tempo e le ormai infinite traversie affrontate, la band e il suo comandante non sembrano dare segni di voler rinunciare al loro viaggio in cerca di nuovi orizzonti e questa volontà si riflette ancora nella ricerca sonora e lirica che attraversa questa loro ennesima fatica da studio.

Somnia infatti come preannunciato si presenta quasi come un concept album, col tema del sogno che torna prepotente lungo quasi tutta la scaletta (non possono infatti mancare i riferimenti allo spazio), donando un substrato lirico se vogliamo inconsueto per gli Hawkwind, ma comunque capace di essere fertile ispirazione per la musica dell’ormai trio. Contrariamente a quanto si può pensare, infatti, la versatilità compositiva raggiunta dalla band in un lasso di tempo così lungo è davvero notevole e consente a Brock e soci di spaziare (appunto) tra i diversi periodi musicali affrontati nel corso degli anni e utilizzarli per seguire il difficile quanto interessante compito di dare una rappresentazione sonora al tema portante. E’ così che lungo il disco le suggestioni strumentali sono le più disparate, dallo space rock alla psichedelia, dalla musica elettronica all’ambient, dal prog al post, dalla musica etnica al rock propriamente detto. Ogni brano viene così caratterizzato da una diversa ambientazione sonora e da colori e suoni particolari, per oltre un’ora di musica inedita. Forse non tutto risulta alla fine a fuoco e strettamente necessario ed è giusto concedere a questi guerrieri del tempo e dello spazio qualche passaggio non riuscito o un po’ fine a se stesso, specialmente se poi comunque il risultato complessivo offre dei passaggi suggestivi e molto validi. Partendo dalla prima traccia Unsomnia, che già del titolo sembra voler esplorare i risultati dell’insonnia, mettendo in musica la spiacevole sensazione di un sonno che sembra sempre voler iniziare, senza mai arrivare a compimento, con stati di alienazione e deprivazione che arrivano improvvisi a spezzare il rutilante quanto ossessivo ostinato di basso e batteria, si percepisce come lo sforzo compositivo ed esecutivo della band sia notevole, fino allo scioglimento conclusivo con una lunga e onirica coda strumentale e acustica che dovrebbe probabilmente annunciare l’arrivo dell’alba. Neanche il tempo di riprendersi dalla lunga opener, che Strange Encounters esplode nella sua furia rock psichedelica narrandoci di incubi e strani incontri notturni su un veemente tappeto ritmico, carico comunque di suoni elettronici e spaziali, con la chitarra solista a dipingere arabeschi estranianti. Brano spettacolare e vena e vogliamo "classica" per gli Hawkwind, che forse viene poco sfruttata nel resto del disco. Rimanendo ancorati al mito antico, ecco che arriva Alcyone, brano comunque sognante, in prevalenza acustico e sul quale sintetizzatori e chitarra elettrica arricchiscono la trama di una melodia piacevole, ma forse non tratteggiata compiutamente. Tempo per nuove suggestioni ed ecco che l’elettronica arriva a innervare Counting Sheep, ancora comunque arricchita dagli intrecci chitarristici, mentre si continuano a contare le pecore, in attesa del sonno. Atmosfera elettronica e ossessiva anche nella successiva China Blues, scandita dall’insistente ripetizione del titolo da parte di Brock, fino alla seconda parte, che recupera ritmo, ma non allenta la presa sullo stordimento sensoriale che sembra accompagnare tutti i brani del disco. Dopo due tracce dispersive e d’atmosfera, It’s Only a Dream ci riporta in territori rock e con un ritmo piuttosto sostenuto e interessante, anche da un punto di vista melodico, con la consueta chitarra di Magnus Martin ad accompagnarci in questa traversata, che non perde comunque di presa onirica sul finale. Meditation tiene fede al titolo, prolungando la sensazione di sospensione temporale grazie al tappeto di tastiere e sintetizzatori sui quali si innestano chitarra acustica e tablas. Sweet Dreams sembra quasi un brano da colonna sonora, con un recitativo paranoide sopra e una strana sensazione di pericolo incombente che sembra pronto a ghermire l’ascoltatore. Ci avviciniamo al finale del disco e I Can’t Get You Off My Mind suona come un rock blues del futuro, come degli ZZ Top annegati nel mare cosmico, tra suoni sintetizzati e wurlitzer sospesi nel cielo. Si torna nella stralunata elettronica piena di effetti e suggestioni con Small Objects in the Sky, nella quale fanno la loro entrata a sorpresa anche ritmi sudamericani e salsa, in mezzo a tutto il resto, con la stessa naturalezza di una gallina che spunta su un’astronave a un milione di parsec dalla Terra. Pulsestar ci riporta progressivamente al silenzio stellare, mentre Barkus si rinnesta su suoni sintetizzati, basi ritmiche latine e assoli di chitarra tra Santana e David Gilmour. Chiude Cave of Phantom Dreams, nuova incursione rumorista che ci porta fuori dal disco, senza donarci in realtà pace o silenzio.

Per questa loro trentaquattresima uscita gli Hawkwind, a meno di un anno dal precedente Carnivorous, non cercano di sembrare un gruppo di ragazzini esuberanti e non ricorrono neanche all’effetto nostalgia per eccitare i fan della prima ora. Coerentemente, ripescano dal loro percorso artistico senza indulgere in gigionerie e senza aver paura di prendersi qualche rischio, con un album lungo e giocato spesso su sensazioni e stati d’animo, con pochi ma ben calibrati guizzi ritmici e un generale ricorso ad atmosfere sognanti, oniriche, ipnotiche, a volte ossessive, a volte dolcissime. Probabilmente, come detto, non tutto va a segno e in qualche passaggio sembrano un po’ perdere di concretezza, approfittando un po’ della pazienza dell’ascoltatore, ma la qualità della performance strumentale e la forza delle composizioni sono comunque notevoli. Sicuramente aprire un disco con i dieci minuti di Unsomnia, che tutto è tranne un brano rassicurante e melodicamente facile, conferma quanto i tre avessero intenzione di realizzare qualcosa di più che un semplice ennesimo disco di una vecchia e stanca leggenda del passato. Qua c’è ancora voglia di dire la propria e trovare nuove ispirazioni, continuando a rappresentare un unicum musicale di spessore e inarrestabile volontà. Scusate se è poco.



VOTO RECENSORE
73
VOTO LETTORI
77 su 1 voti [ VOTA]
Diego75
Sabato 16 Ottobre 2021, 16.13.40
2
Adoro questa band....ma sinceramente saranno 10 anni che mi sembrache hanno esaurito le idee....forse non hanno piu' nulla da dire....spero sempre di sbagliarmi....ma sia il precedente che questo cd non mi ha entusiasmato piu' di tanto....voto coerente con il recensore 73.
Aceshigh
Martedì 12 Ottobre 2021, 12.32.10
1
Sarà pure il 34º album, ma gli Hawkwind hanno sempre qualcosa di speciale da offrire. È un album che in molti frangenti presenta atmosfere rilassate, a tratti ipnotiche, oniriche e sognanti ovviamente (e grazie, visto l’argomento del concept era quasi scontato)… Magari in qualche frangente risulta un po’ pesante, “approfittando della pazienza dell’ascoltatore” (come detto nella recensione), alcune parti (in realtà neanche troppe) sono magari un po’ troppo reiterate e diluite, ma alla fine la psichedelia è anche questo, la sensazione all’ascolto può poi variare anche in virtù del momento/stato in cui ci si approccia. Qualche schitarrata in più magari l’avrei gradita, ma Somnia rimane comunque un prodotto molto raffinato e particolare. La mano dei maestri si sente sempre. Voto 77
INFORMAZIONI
2021
Cherry Red Records
Psychedelic Rock
Tracklist
1. Unsomnia
2. Strange Encounters
3. Alcyone
4. Counting Sheep
5. China Blues
6. It’s Only a Dream
7. Meditation
8. Sweet Dreams
9. I Can’t Get You Off My Mind
10. Small Objects in the Sky
11. Pulsestar
12. Barkus
13. Cave of Phantom Dreams
Line Up
Dave Brock (Voce, Chitarra, Tastiera, Sintetizzatori)
Magnus Martin (Chitarra, Voce, Tastiera, Basso)
Richard Chadwick (Batteria, Voce)

Musicisti Ospiti
Mel Rogers & Trixie Smith (Cori)
 
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