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29/03/24
ENUFF Z’NUFF
BORDERLINE CLUB, VIA GIUSEPPE VERNACCINI 7 - PISA
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11/10/2021
( 1100 letture )
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I Buckcherry vedono la luce a Los Angeles nel 1995, quando il cantante Joshua Todd e il chitarrista Keith Nelson si conoscono grazie al loro tatuatore di fiducia. Il disco d’esordio omonimo del 1999 è subito un successo: il pezzo Lit Up schizza in vetta alle classifiche di Billboard e permette loro di ricevere una nomination ai Grammy per la miglior performance hard rock. Dopo il secondo disco Time Bomb e un tour con gli AC/DC, la band si scioglie in maniera imprevedibile e inattesa. Dopo ripensamenti vari, giunge la reunion, con la pubblicazione di 15 nel 2005 e i nostri tornano a far parlare di loro per mezzo delle classifiche con il singolo Crazy Bitch, anch’esso nominato ai Grammy. Ritrovato il favore di pubblico e critica, la band mantiene un serrato ritmo di uscite in studio e importanti tour, fra cui spicca quello insieme ai Kiss. Li ritroviamo oggi con questo Hellbound, 10 tracce e un’attitudine hard sparata, come sempre, con ripescaggi di stilemi ampiamente conosciuti. Questo è il nono full-lenght da sala di registrazione dei californiani e nonostante in 26 anni di carriera ne abbiano viste di tutti i colori (altari, polvere, split, riunione, dischi e tante date live), rieccoli apparire freschi, vigorosi e senza alcuna esitazione. Da non dimenticare una parentesi del singer in seno ai Velvet Revolver, esperienza finita male per volere dello stesso Slash.
L’album è stato prodotto da Marti Frederiksen, una sorta di garanzia e nume tutelare, amante di un sound potente, variegato e intrigante, avendo già lavorato con Aerosmith, Def Leppard e tanti altri. L’iniziale 54321 è una scheggia follemente punk che rammenta alcune cose dei Velvet Revolver, grazie al suo ritmo a mille che accalappia subito e alla voce a rotta di collo, inseguita dalle guitars e da una batteria secca, bella botta! Si fa rispettare anche il primo singolo So Hott, con un video da stropicciarsi gli occhi che punta i riflettori sulla biondona social dalle curve infinite ed è farcito da un riffing trapanante puntellato dall’ugola grintosa e risoluta del frontman, rock and roll energizzato, grande solo dell’ascia e mood boombastico. La titletrack, di chiarissima ispirazione AC/DC in tutto e per tutto (melodie, suoni, assolo), si rivela energica e assimilabile facilmente, sfoggiando un andamento anthemico anche se un po' derivativo: secondo singolo selezionato anch'esso caratterizzato da una clip da sballo che mostra i componenti ipertatuati intenti a suonare sul palco. Gun è un’alabardata bluesy che strizza l’occhietto indubitabilmente agli Aerosmith con tanto di armonica scatenata e up tempo solido e smazzante, mentre No More Lies parte con il coro in loop e mostra subito inclinazioni funky, un gran lavoro del quattrocorde e un ritornello che si apre improvvisamente a melodie goderecce, molto belle. Here I Come parte nuovamente sparata e tiene botta con tante chitarre e batteria ad imprimere il sentiero, Junk indossa il completo di pelle delle occasioni perverse, la voce del singer dipinge un quadro lascivo ma efficace, il chorus giunge immediato e casinista in una fitta ragnatela di riff e struttura acuminata con assolo squassante, ideale colonna sonora per una seratina piccante ad alto wattaggio. Wasting No More Time e The Way hanno un comune denominatore da rintracciare nelle melodie portanti dei pezzi, tutte molto convincenti, la prima pesca qualcosa dal rock americano alla Tom Petty, scorrevole anche senza cori accentuati, la seconda sussiste come una ballad che poi vira su un 4/4, mantenendo il fascino di armonie alle quali si aggiungono il piano e arrangiamenti felpati. Barricade chiude il CD con cromature moderniste lucidate, una track invitante e che va a toccare lidi diversi dai precedenti ritagli: detto per inteso in 10 pezzi complessivi ci sono almeno 4-5 generi diversi trattati.
Hellbound è un disco senza inutili laccature/smancerie, diretto e “in your face”, che comunica benissimo con chi ascolta, proponendo ritornelli mai troppo edulcorati o spinti, alla perenne ricerca del piacere da somministrare a tutti i costi all’audience. Una buona resa, data anche dall’ottima produzione che però non cancella alcuni dettagli chiari e fin troppo derivativi: per dirla tutta, il quintetto californiano può tranquillamente scrivere ottima musica senza dover per forza pubblicare una song sputata alla Angus o una copiatura sterile di Steven Tyler e soci. Lavoro da ascoltare questa ultima fatica dei Buckcherry , ci troverete occasioni per alzare il volume delle vostre casse in maniera smisurata.
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3
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Per quello che mi riguarda male, male, male, 35 minuti infiniti. |
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2
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Non so perché ma non ho mai apprezzato il gruppo, i loro dischi mi sono scivolati addosso senza lasciare traccia. Quindi mi sono approcciato a questo senza tante speranze ed invece devo dire che mi è piaciuto e non poco: fin dall'iniziale 4,3,2,1 scoppiettante come non mai il disco si rivela ben fatto, energico ma anche melodico quando serve. Il mio pezzo preferito la dinamitarda Hellbound ! |
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1
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Band talentuosa che però non ho mai amato particolarmente, nonostante il debutto sia un disco davvero eccezionale. Uno di quei lavori che se fosse uscito 5 anni prima avrebbe fatto vendere alla band milioni di copie. Proverò comunque a dargli un ascolto. |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. 54321 2. So Hott 3. Hellbound 4. Gun 5. No More Lies 6. Here I Come 7. Junk 8. Wasting No More Time 9. The Way 10. Barricade
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Line Up
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Josh Todd (Voce) Stevie D (Chitarra ritmica) Billy Rowe (Chitarra solista) Kelly LeMieux (Basso) Francis Ruiz (Batteria)
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RECENSIONI |
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