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Mostly Autumn - Graveyard Star
28/10/2021
( 2176 letture )
Questo 2021 in campo progressive sta sfornando non pochi dischi, sia grazie al tempo dato dalla situazione pandemica, sia dal naturale intervallo di tempo che si è creato con le ultime release di formazioni stabili e che ormai da tempo producono con regolarità. Tra questi possiamo annoverare anche i Mostly Autumn, interessantissima band di progressive rock dai connotati folk che da più di vent’anni ha proposto una formula tutto sommato vincente.

Andando però subito al sodo, Graveyard Star inizia con una lunga title track di 12 minuti, con un dialogo tra i due vocalist Bryan Josh e Olivia Sparnenn su di un jingle sinistro, trasportandoci in un’atmosfera che risulta sì ispirata, ma che non presenta evoluzioni degne di nota. Tranne la conclusione in cui un interessante assolo di chitarra e il groove di batteria innalzano l’offerta, il resto risulta piuttosto piatto con un ritornello decisamente troppo improntato all’orecchiabilità. Stesso discorso per la terza traccia -la seconda è invero un intermezzo-, con gli elementi folk inglesi a ricordarci il sound della formazione britannica ma senza portare momenti accattivanti al songwriting, il risultato è quindi soltanto sufficiente. Shadows e The Harder That You Hurt portano con sé già qualche quid in più, la prima con l’apertura acustica che trova un’evoluzione in un riffing folk rock ottimamente cadenzato e da un assolo interessante, la seconda invece con la performance al microfono di Olivia e le discrete linee vocali imbastite per la vocalist, seppur poi l’arrangiamento sia comunque piuttosto scarno. Arrivati sin qui, inoltre, appare lucente un difetto che non si può assolutamente tralasciare, se difatti si è sufficientemente abili con la lingua inglese (o si ha la possibilità di leggere le lyrics durante l’ascolto), ci si renderà conto del turbinio di frasi scontate e spicciole presenti nei brani, destinate a essere ignorate dopo poco e portando l’ascoltatore a concentrarsi squisitamente sulla musica: metafore ovvie e abusate sul concetto di ombra, pensieri sul dolore da cioccolatino e sul rialzarsi dopo essere caduti sono solo alcuni dei punti ricorrenti di una componente del disco che, ahimè, difficilmente potrà trovare qualche fan.

Fortunatamente non tutto è scadente e lo dimostrano i sette minuti di Razor Blade, che per buona metà del pezzo appare invero leggermente piatto, accendendosi però tramite tastiere barocche, riff di chitarra elettrica taglienti e linee vocali ottimamente scritte, anche e soprattutto quando il cantato è a due voci parallele. Ma dopo ogni principio di godimento purtroppo vi è un’altra caduta e con This Endless War si raggiunge il nadir: pezzo piatto come pochi, sound ruffiano da film mieloso e un assolo appena carino renderanno i quasi sette minuti della composizione quasi dolorosi. L’altalena continua con l’ottava traccia, Spirit of Mankind. Sarà per la durata più contenuta di cinque minuti, sarà per il buon groove e il buon impianto melodico soprattutto nel ritornello, ma questo pezzo funziona con molta più classe, soprattutto se confrontato con il precedente. I due assoli consecutivi in chiusura di acustica e di elettrica sono poi una gran trovata che farà finalmente contenti anche i chitarristi più sfegatati.

Quando sembra che ormai il disco sia tendenzialmente bocciato, intervengono le ultime quattro tracce a risollevare un po’ il tutto, ma forse non a sufficienza. La band comincia a tirare fuori inserti folk e finalmente anche buone linee di basso, tastiere eleganti e persino sfumature sinfoniche. La sperimentazione riesce a emergere dunque con maggiore intelligenza, manifestando delle idee tutto sommato ispirate come il pezzo groovy The Diamond, che quasi potrebbe ricordare una produzione di casa Low Roar, a cui si aggiungono percussioni costruite ad hoc, e un guitarwork variegato che sul finale presenta il solito assolo a cui siamo stati abituati. Ma è l’ultima Turn Around Slowly che con i suoi 13 minuti potrà finalmente far godere, in quello che è l’unico pezzo davvero degno di nota. Un inizio evocativo porterà all’apertura ariosa in cui il cantato sa davvero affascinare. Il meglio arriva poi nella seconda metà, in cui il rock, il prog rock e il folk finalmente sapranno danzare come nei primi dischi del gruppo, trasportandoci per mano verso il ritornello della title track che apriva il disco e che qui torna in un uptempo con assoli chitarristici di supporto a dir poco magnifici; insomma, un finale lodevole che divertirà senza troppi fronzoli.

In conclusione, ascoltando l’ora e un quarto di questa nuova release dei Mostly Autumn non si resterà troppo soddisfatti, raggiungendo dei buoni picchi qualitativi qui e là ma facendosi elogiare realmente solo per la summenzionata traccia conclusiva. La voce di Olivia sa ancora oggi incantare grazie alla sua timbrica e ad una prestazione indubbiamente notevole, così come è innegabile la qualità di alcune scelte del guitarwork e dei momenti più propriamente progressive di scuola Genesis. A parte questo però, il resto è piuttosto mediocre seppur non gravemente insufficiente. Tralasciando per un attimo la copertina a dir poco kitsch (per non dire altro), il soundwriting è banale, troppo radiofonico e improntato a richiamare ascoltatori poco pretenziosi, e i testi ne sono la prova del nove. Se questo non bastasse, riascoltando il disco sarà evidente la struttura utilizzata fino allo sfinimento dai musicisti in questione: attacco atmosferico in downtempo, strofa, ritornello, strofa, ritornello, assolo e ritornello in mid o uptempo. Insomma, Graveyard Star non è a livello delle prime produzioni del gruppo così come non è prodotto inascoltabile, ma di certo se si è alla ricerca di un progressive elaborato o anche solo di un folk rock leggermente strutturato su più livelli non sarà questo platter a soddisfare la domanda.



VOTO RECENSORE
58
VOTO LETTORI
99 su 2 voti [ VOTA]
nicola
Domenica 10 Dicembre 2023, 15.18.05
2
non si può sempre pretendere l\'eccelso nel tempo da tutti.questo non significa che quando le aspettative non vengono raggiunte ci si deve dare da fare per demolire così pesantemente un buon lavoro portato avanti da seri musicisti.Del resto anche i grandi della classica a volte sono ricaduti nell\'ovvio ma non per questo demoliti.Comunque grazie per la recensione
Omar
Giovedì 30 Dicembre 2021, 5.23.45
1
X me è un album BELLISSIMO,non capisco veramente la tua recensione,questione di gusti,x me voto 10 ottima musica ,cantante superlativa,disco ricco di cambi di tempo Ottimo x gli amanti del prog.
INFORMAZIONI
2021
Autoprodotto
Prog Rock
Tracklist
1. Graveyard Star
2. The Plague Bell
3. Skin of Mankind
4. Shadows
5. The Harder That You Hurt
6. Razorblade
7. This Endless War
8. Spirit of Mankind
9. Back in These Arms
10. Free to Fly
11. The Diamond
12. Turn Around Slowly
Line Up
Bryan Josh (Voce e Chitarra)
Olivia Sparnenn (Voce, Tastiere)
Iain Jennings (Tastiere, Organo Hammond)
Chris Johnson (Chitarra)
Andy Smith (Basso)
Angela Gordon (Voce, Flauto)
Henry Rogers (Batteria)

Musicisti ospiti:

Troy Donockley (Flauto)
Chris Leslie (Violino nella traccia 1)
 
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