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Pantheist - Closer to God
26/12/2021
( 1598 letture )
Se già non fosse così, a breve un incipit che richiami alla condizione pandemica quale motore creativo e fonte d’ispirazione per la scrittura di un album (o di una qualsiasi altra opera creativa), risuonerà desolatamente noioso e ripetitivo. D’altra parte, l’elaborazione emotiva di questa situazione è ben lontana dall’arrivare, presi come siamo dalla contingenza e dalla preminenza dei fatti sanitari, politici, economici e, subito a ruota, psicologici e sociali. Ebbene, se un ruolo deve essere ancora riconosciuto alla musica e all’arte, quello non può che nascere dalla sensibilità e dalla capacità di cogliere nel profondo il sentire individuale e collettivo di fronte agli eventi quotidiani e universali e spingerli, forzarli e formarli dentro una espressione artistica, tangibile. Quindi, se è vero che i mezzi di informazione e i dialoghi sono da anni gonfi e ridondanti di parole, dati, pareri, norme e interpretazioni legate al fenomeno pandemico, è inevitabile che la musica si faccia carico e quindi diventi mezzo, di una visione degli eventi che sia capace di sorvolare dall’alto la realtà e poi penetrarla fino al suo nucleo, esaltando le emozioni che soggiacciono a quanto ci circonda: paura, dolore, rabbia, ribellione, speranza, desiderio, malinconia, tristezza, orrore. Tutto diventa materia e fonte viva di ispirazione, aiutandoci non solo a capire, ma anche a formare i nostri stessi sentimenti e sfogarne quindi gli effetti.
Il percorso artistico dei Pantheist, uno dei principali esponenti mondiali della corrente funeral doom e senza dubbio tra i creatori di questo particolare filone, si è legata nel tempo alla figura di Kostas Panagiotou, cantante, tastierista e compositore che ha trasportato la propria creatura ormai da anni a Londra, determinandone umori e percorso artistico. Il musicista ha quindi liberato in un certo senso la creatura musicale da un filone univoco, inteso come binario dal quale non è più possibile evadere, preferendo sperimentare e cambiare forma e interpreti e, di conseguenza, correndo molti più rischi che in passato. Cosa che in effetti si è concretizzata con un album come Pantheist del 2011, che spostava le coordinate della band verso lidi gothic, vagamente prog e perfino pop, di ispirazione Anathema e Katatonia che in molti non gradirono. Sette anni ci vollero per un ritorno, con Seeking Infinity, disco che vedeva un ritorno alle sonorità dei primi album, ma al tempo stesso non rinnegava l’evoluzione da sempre figlia della band, inserendo le suddette contaminazioni e sfruttandole per portare comunque avanti i Pantheist rispetto a quanto fatto in passato. Eccoci quindi a Closer to God e alla pandemia.

Nato in un periodo così peculiare e figlio dell’evoluzione sin qui seguita da Kostas Panagiotou, Closer to God vede il band leader, accasatosi nel Galles del Sud, avvalersi della collaborazione a distanza di musicisti provenienti da Paesi diversi, ognuno per proprio conto all’opera sulla musica creata durante i mesi di chiusura e in quelli successivi di non duraturo ritorno alla normalità. Giorni solitari, passati a comporre, impegnando il tempo libero tra videogiochi, colonne sonore di Ennio Morricone e il desiderio di ritrovare contatto con l’umanità, fino alla consapevolezza dell’eterno pessimismo cosmico che induce al ritenere tutto questo sforzo comunque come inutile. Questi i sentimenti che animano Closer to God, l’album più breve della band, composto di soli quattro brani, che vedono nell’apertura di Strange Times il fulcro portante di tutto il disco. In effetti, questa lunghissima traccia di quasi ventiquattro minuti avrebbe dovuto essere pubblicata come singolo, ma le ispirazioni nate dalla sua composizione hanno poi portato alla scrittura anche degli altri episodi, elevando così la durata attorno ai quarantotto minuti totali e portando alla pubblicazione di un album completo. Che sia comunque Strange Times la fonte di tutto il materiale contenuto nel disco lo si percepisce non solo dalla durata, ma anche dai motivi ritornanti che, presentati nel primo brano, ritroviamo anche nei successivi e, in particolare, in Erroneous Elation, traccia interamente strumentale e vera e propria "coda cinematografica" della precedente. L’atmosfera solenne, ampiamente ispirata alla musica sacra della prima traccia, nella quale tastiera e organo giocano un ruolo fondamentale, aprendo e chiudendo i diversi movimenti del brano, che alterna quindi fasi quasi interamente affidate a questi strumenti e alle voci, anche corali, risulta dilatata e immersiva, totalizzante. La natura funeral doom della band emerge dai tempi lentissimi e dalla totale assenza di accelerazioni per tutta la durata del brano, che pur non rinunciando alle distorsioni e alle armonizzazioni della chitarra e al growl del cantante, non utilizza primariamente questi strumenti, ma preferisce appunto dare voce a una musica cinematografica, da colonna sonora, inserendo anche dei flauti e ampie parti strumentali nel tessuto musicale, fino a un perfetto assolo a-la Gilmour a metà canzone. In questo primo episodio è proprio l’atmosfera sacrale ad avere la meglio, mentre in Erroneous Elation sono più le atmosfere "morriconiane" ad emergere, con qualche spunto che ricorda perfino la colonna sonora de La Storia Infinita. Il passato della band torna invece in misura appena maggiore nei due brani successivi, due perle assolute. Wilderness tiene fede al proprio titolo nei suoi tredici minuti, iniziando anch’essa in modo quasi elegiaco, per poi dare corpo alla distorsione delle chitarre e al growl di Kostas, con il consueto tempo rallentato, epico e solenne che ha contraddistinto tutto l’album fino a questo punto, con tanto di voce operistica femminile e coro in sottofondo, che accompagnano organo e piano, assieme ad altri strumenti a fiato, che alimentano nuovamente un’atmosfera sacrale e fiera; ma stavolta l’anima puramente metal comincia a farsi avanti, con un riffing appena più veloce e propriamente death/doom che inizia a smuovere la spessa cortina fin qui impostata. E’ però il piano a riprendere il proscenio, con la voce in pulito di Kostas a conquistare la parte centrale del brano, creando una sospensione che si alimenta momento dopo momento e porta a quello che è un vero e proprio crescendo, splendidamente costruito, che finalmente libera l’accelerazione in pieno Paradise Lost style, con la solista a dettare la melodia sulla ritmica quadrata e pesante: una boccata d’aria e di movimento che arriva dopo più di mezz’ora di tempi lenti, se non lentissimi, che ha un effetto travolgente, per poi lasciare comunque la chiusura al ritorno dell’organo. Of Stardust We Are Made (and to Dust We Shall Return) è il primo brano del disco che si apre con una chitarra elettrica, arpeggiata, ma subito è l’organo a riprendere il proscenio, salvo poi lasciarlo al piano e alle armonie vocali folkish di Kostas, in voce pulita, che mantengono il controllo del brano, pur col ritorno della distorsione che va a mescolarsi in maniera perfetta con tutti gli altri strumenti e torna a guidare la melodia portante, per quello che appare il brano che giustamente dà voce a tutti gli elementi che hanno composto l’album, con un equilibrio splendido e il secondo ottimo assolo di Fredric Laborde "Nereide", che ci conduce al finale, nuovamente appannaggio del piano.

Closer to God è indubbiamente il disco più personale tra quelli usciti a nome Pantheist, quello che vede più protagonista in senso assoluto Kostas Panagiotou, tra voce, piano e organo, sicuramente gli strumenti più utilizzati nel disco. E’ un disco atmosferico, interamente giocato sulle emozioni, nel quale chitarre e growl giocano un ruolo importante, ma tutto sommato non da protagonisti e che invece cerca altrove, pur senza rinnegare l’impianto funeral doom e una pesantezza di fondo onnipresente e che quasi mai trova reale sfogo. Tutto sommato, non è neanche un disco particolarmente difficile in cui entrare, proprio per l’alta componente scenografica evocata dalla musica, particolarmente narrante, in questo caso. Sicuramente non è un disco per tutti, ma questo vale tanto per i non avvezzi al genere, quanto per chi invece ricercasse sonorità più dure e asfissianti. Il senso solenne, epico e sacrale della musica contenuta in Closer to God lo rendono senz’altro un album più meditativo e ispirazionale, che aggressivo o annichilente. E’ un viaggio, sicuramente non condotto al sole, quanto piuttosto tra nebbie e oscurità, ma nel quale ci si sente comunque portati per mano e condotti, più che forzati o, al contrario, dispersi. In realtà, si viene avvolti e confortati, dalla musica del gruppo. Chissà che non sia proprio in questa sensazione che vada intesa la "vicinanza a Dio" espressa dal titolo. Certo è che la condizione vissuta negli ultimi due anni ha dato luce a tante interpretazioni emotive diverse ed è bello che da una band dello spessore dei Pantheist venga fuori un’emotività così delineata e affatto ritrosa nel manifestarsi e nel desiderio di trovare conforto e risposte.



VOTO RECENSORE
80
VOTO LETTORI
90.8 su 5 voti [ VOTA]
LUCIO 77
Martedì 1 Febbraio 2022, 21.42.14
10
Album di grande profondità ed intensità.. Non ho trovato un attimo di cedimento.. Notevole...
Le Marquis de Fremont
Lunedì 3 Gennaio 2022, 13.49.39
9
Band che ho scoperto un paio di anni fa per una eccellente recensione di Seeking Infinity e trovo questa nuova release ancora migliore. Da sottolineare la prova orchestrale e le tastiere e il songwriting sempre molto emozionante. Ottimo album assieme, nel genere, al recente dei Clouds, Despărțire, un'altra band di assoluto livello. Musiche da ascoltare con vini liquorosi ad alta gradazione e immancabile illuminazione di candele. Au revoir.
El Faffo
Domenica 2 Gennaio 2022, 19.14.38
8
Ai Clouds (che trovo si ad effetto ma troppo centrati su melodie minimali) ho sempre preferito gli Eye of Solitude. Soggettivo, si sa. Spero di vedere recensito Godless
Lizard
Domenica 2 Gennaio 2022, 10.02.29
7
@Tyst: Kostas è stato a lungo collaboratore dei Clouds e infatti Amdrei Oltean suona anche nei loro dischi ci risentiamo il prima possibile con il loro ultimo album, anch'esso uscito in dicembre.
Tyst
Domenica 2 Gennaio 2022, 8.57.00
6
Non sono affatto un esperto di doom e funeral doom, generi che bazzico di rado e rifugiandomi prevalentemente in una manciata di band (Clouds, Slow e pochissimi altri). Sto ascoltando Closer to God proprio in questo momento, incuriosito dalla recensione, e devo dire che le parti più propriamente doom metal mi ricordano, forse a ragione o forse a torto, i Saturnus: quel senso di decadenza, specialmente quando compare la voce in clean del cantante che quasi recita le proprie parti. Gran bella scoperta, grazie!
Black Me Out
Martedì 28 Dicembre 2021, 11.05.58
5
Ho solo un ascolto alle spalle, ma mi sento già di poter dire che i maestri non hanno deluso, anzi. Il primo brano lascia annichiliti, ma in generale il disco scorre benissimo e la durata è un punto a favore non da poco. Bellissime le sezioni orchestrali, per mio gusto personale anche più godibili di quelle prettamente metal - e infatti "Erroneous Elation" è il momento che per ora mi si è stampato maggiormente in testa - ma in generale tutto funziona molto bene. In ambito funeral doom se la gioca con gli Skpeticism quest'anno, ma forse in certi momenti li supera pure. Con ulteriori ascolti probabilmente è destinato a crescere, almeno per me.
El Faffo
Lunedì 27 Dicembre 2021, 22.31.45
4
Personalmente mi servono anni a metabolizzare un album come questo. Seguo i signori in questione da molti anni. Al pari dei Mournful Congregation Sono tra i miei paladini del genere. Non sono d'accordo con tutto ma almeno la recensione può definirsi tale, al contrario di prosopopee che ci vengono ivi propinate (specie in ambito black).
ocram
Lunedì 27 Dicembre 2021, 13.12.36
3
album stupendo, la sola Wilderness vale l'acquisto. A me in alcuni punti ha ricordato alcune cose dei primissimi Theatre of Tragedy
Lizard
Lunedì 27 Dicembre 2021, 7.48.45
2
Come direbbe la Signorina Silvani: "ah... anche veggente?".. scherzi a parte, il voto è la cosa meno interessante da commentare per un disco del genere, a mio avviso.
El Faffo
Domenica 26 Dicembre 2021, 23.26.00
1
Discone, I posteri sicuramente irrideranno il misero 80 assegnatogli in sede odierna.
INFORMAZIONI
2021
Melancholic Realm Records
Funeral Doom
Tracklist
1. Strange Times
2. Erroneous Elation
3. Wilderness
4. Of Stardust We Are Made (and to Dust We Shall Return)
Line Up
Kostas Panagiotou (Voce, Tastiera)
Jeremy Lewis (Chitarra)
Nereide (Chitarra)
Matt Strangis (Basso)
John Devos (Batteria)

Musicisti Ospiti:
Andrei Oltean (Flauto)
 
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