|
24/04/24
KARMA
CENTRALE ROCK PUB, VIA CASCINA CALIFORNIA - ERBA (CO)
|
|
Apostle of Solitude - Until the Darkness Goes
|
09/01/2022
( 852 letture )
|
Sono ormai dei veterani gli Apostle of Solitude, provenienti da Indianapolis e giunti con questo Until the Darkness Goes al loro quinto album. Formati nel 2004 da Chuck Brown (ex Gates of Slumber) e Corey Webb, i doomesters sono arrivati nel 2008 al loro album di debutto, seguito nel 2010 dal secondo disco, che ha poi portato a un decisivo cambiamento, con l’arrivo di Steve Janiak, anche lui con un passato nei Gates of Slumber. Il nuovo entrato ha infatti affiancato il band leader Brown sia alla chitarra che alla voce, andando a costruire così una identità nuova e caratterizzante per la band. Ultimo innesto sarà Mike Naish al basso, arrivato nel 2016 e all’opera già sull’ultimo From Gold to Ashes del 2018. La maturazione della band aveva fatto ben sperare in passato e questo quinto album era quindi atteso nell’ambiente, come il classico disco che non può essere sbagliato.
Sicuramente influenzato dalla pandemia, che ha portato alla morte di entrambi i genitori di un membro -non specificato- della band, Until the Darkness Goes, già dal titolo si ammanta di un’atmosfera cupa, tragica e triste, che investe tutti i brani. Lo stile della band resta essenzialmente lo stesso, un distorto e pesante epic doom, centrato sul lavoro delle due chitarre, che affiancano riff grassi ed enormi ad emozionanti quanto epiche melodie e armonie, sulle quali si stagliano le armonie vocali di Brown e Janiak, che donano un ulteriore taglio emotivo disperato ai brani. E’ proprio il contrasto tra la potenza devastante della musica e la malinconia senza speranza delle linee vocali a caratterizzare il lavoro della band e differenziarlo in maniera netta da altre realtà del genere. In particolare, si potrebbe cercare di descrivere l’effetto delle armonie vocali come un incrocio tra gli Alice in Chains e i Solitude Aeturnus, con qualche latente influenza dei Trouble. I brani sono mediamente piuttosto lunghi (il disco dura trentasette minuti circa, per sei tracce), ma rispetto al passato, stavolta lo stop forzato dalla pandemia ha portato il gruppo a riflettere molto sulla propria musica, favorendo una maggiore linearità e un lavoro più approfondito sugli arrangiamenti e sull’efficacia di riff e melodie. Il risultato di questo sforzo si sente e si apprezza, proprio perché i brani risultano tutti molto buoni presi di per sé e tutti mostrano un miglioramento generale nelle prestazioni individuali e un maggior amalgama. Certo non si arriverà con questo a dire che il gruppo si distingue per la varietà degli approcci: in realtà, tutti e cinque i brani cantati si reggono esattamente sugli stessi assunti, con la sola Beautifully Dark a dirazzare dal resto delle composizioni, trattandosi di uno spezzone di circa tre minuti di musica strumentale, con un mood piuttosto diverso dal resto del disco. Un passaggio questo decisamente utile, nell’economia dell'album, dato che il rischio di perdersi nell’omogeneità stilistica si sentiva in maniera piuttosto forte. Questo non toglie che ogni brano singolarmente sia valido e ben costruito, con melodie e armonie di grande presa e, appunto, un’atmosfera emotiva molto forte. Per quanto detto, risulta inutile una disamina approfondita dei brani, tra i quali forse nel complesso si fa preferire The Union, mentre When the Darkness Comes gioca perfettamente il ruolo di opener e Apathy in Isolation offre un gran bel refrain. Probabilmente Deeper Than the Oceans è il brano meglio costruito, ma appunto soffre un po’ l’eccessiva omogeneità che fa distrarre l’ascoltatore giunto fin qui. Sicuramente, Relive the Day è invece il brano più gelido e disperante, quello in cui l’oscurità del doom è più schiacciante e la lentezza gioca da padrone, chiudendo il disco con una desolazione inconsolabile, mirabilmente evocata.
Siamo sicuramente al cospetto del miglior album sinora rilasciato dagli Apostle of Solitude e questa sensazione trova un suo fondamento nella qualità complessiva dell’opera, efficace e centrata nella sua rappresentazione degli stati d’animo dei compositori, capaci finalmente di trasmetterli all’ascoltatore. Come detto, il suo difetto risiede essenzialmente nel non saper andare oltre una formula che viene portata alla sua massima rifinitura, ma non viene mai variata, il che è parte anche del suo pregio, in ogni caso. La qualità delle melodie e delle armonie e la robustezza dei riff e della sezione ritmica, dà comunque misura di un disco che riesce nel tentativo di segnalarsi comunque come molto interessante, in un’annata complessivamente ottima, tanto da meritarsi il plauso generalizzato della critica di settore. Until the Darkness Goes non offre soluzioni o speranze, ma come da tradizione epica, sembra mostrare comunque una strada nella lotta e nel tentativo di sottrarsi alla desolazione e alla disperazione, fino all’ultimo. Fino a che le tenebre non se ne saranno andate.
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
4
|
Ultimo appunto e chiedo scusa per i commenti spezzati, sembra quasi un album risposta all'ultimo straordinario (2019) degli Orodruin, albume che da anni gira settimanalmente nelle mie orecchie se non l'hai sentito Lizard lanciati. |
|
|
|
|
|
|
3
|
Ascoltato oggi quattro volte di fila su Bandcamp, hanno fatto centro, recensione e voto giusti. Acquistato digitale. Bravi, |
|
|
|
|
|
|
2
|
Ho sempre avuto difficoltà a farmeli piacere, vedremo questo qua! |
|
|
|
|
|
|
1
|
...quando leggo doom....non resisto...li cerchero'.... |
|
|
|
|
|
INFORMAZIONI |
|
|
|
|
|
Tracklist
|
1. When the Darkness Comes 2. The Union 3. Apathy in Isolation 4. Deeper Than the Oceans 5. Beautifully Dark 6. Relive the Day
|
|
Line Up
|
Chuck Brown (Voce, Chitarra) Steve Janiak (Voce, Chitarra) Mike Naish (Basso) Corey Webb (Batteria)
|
|
|
|
RECENSIONI |
|
|
|
|
|