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19/04/24
DESPITE EXILE + LACERHATE + SLOWCHAMBER
BLOOM, VIA CURIEL 39 - MEZZAGO (MB)
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10/02/2022
( 1325 letture )
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I Giant: semplicemente enormi, impareggiabili! Un gruppo che ho adorato e che amo tutt’oggi moltissimo. Fissi i loro primi due album nella mia playlist personale, due capolavori a pieni carati. Però quella band non esiste più da parecchio tempo, soprattutto con il distacco dalla line up di Dann Huff: vera anima del quartetto, leader, principale compositore, cantante, chitarrista e factotum; senza dimenticare l’importante contributo di Alan Pasqua ai tasti d’avorio. Last Of The Runaways, debut del 1989 e Time To Burn (1992) sono due pietre miliari senza ombra di smentita, due release letteralmente fantastiche che ebbero un brillante riscontro anche nelle chart U.S.A., soprattutto l’esordio. Oggi di quella formazione rimangono solo i due quarti, il fratello batterista David Huff e il bassista Mike Brignardello, ma diciamola tutta, senza Dann, senza la sua voce e le sue linee creative di chitarra, la band ha perso veramente tanto, facendo grandissima fatica a barcamenarsi e ad essere riconoscibile. Oggi il quartetto ci riprova, assistito dalla Frontiers: alla voce troviamo l’ottimo singer Kent Hilli, frontman dei Perfect Plan, gruppo considerevole e di gran classe; alla sei corde John Roth, chitarrista talentuoso, di ottimo gusto. Le premesse per un ritorno ai grandi fasti ci sarebbero tutte, ma vi accorgerete che, ascolto dopo ascolto, la chimica creatasi agli inizi e il trademark riconoscibile ed ineccepibile, oggi trovano pochi riscontri in questa nuova creatura discografica, a parte alcuni passaggi “forzati” che ricordano barlumi di ciò che fu. Non voglio dire arrangiamenti e partiture artificiose, ma sicuramente non proprio naturali e spontanee e tutto ciò si sente e si percepisce subito. Ad essere sinceri, se questo disco non fosse marchiato Giant sarei qui a parlare di un buonissimo disco di Hard/AOR, ma il monicker fortemente caratterizzante, almeno su carta, non mantiene ciò che promette, soprattutto nelle stesure e nel risultato complessivo. Dann, come è accaduto in tutti questi anni, oltre ad essere solamente un esterno e a dare qualche colpo di penna compositiva o a regalare un assolo, come accade qui in Never Die Young, è divenuto una sorta di ectoplasmico peso insostenibile per il gruppo stesso e il prosieguo di carriera. Non bastano i due reduci delle epoche d’oro in formazione per far veleggiare il bastimento, anzi proprio no. Nonostante i grandi sforzi della label, che ha messo a disposizione del progetto grandi professionisti per compiere il mandato della band, con l’onnipresente Alessandro Del Vecchio, i risultati non appaiono proporzionali alla volontà di tenere in vita il grande nome del “Gigante”. Tra questi solchi c’è tanta buona musica melodica, stilettate hard rock, pezzi intriganti, armonie ricercate, ma la somma finale non può venir accomunata al progetto iniziale battezzato da cotanto marchio. Spiace dirlo, ma è così. Chi si attendeva un nuovo fulgido capitolo della saga dovrà accontentarsi di un buonissimo album e nulla più.
Copertina magniloquente poi è subito ora della title-track che funge da warm up e intro con una bella guitar ispirata. Let Our Love Win parte alla grande e si sviluppa con pathos, song che assomiglia più a certe cose degli Hardline che non ai portatori del trademark; il singer se la cava benissimo, la struttura melodica è di livello ma, c’è sempre il solito ma, questi non sono i Giant. Never Die Young è un grande scampolo con struttura cromata de luxe, i controcanti perfetti per riesumare il class metal dei tempi andati, ottimo l’intervento solista dell’ascia, mentre Don’t Say a Word rispolvera certi afflati del passato in termini di armonie ma manca l’interpretazione di Dann e pur essendo Hilli ottimo non è la stessa cosa, mettiamoci anche qualche buco ispirativo tra strofa e ritornello e il quadro si completa mancando il kick ass che fa volare. My Breath Away è certamente la traccia che più si avvicina al vecchio sound ma sembra sempre mancare quello splendore che rese il combo qualcosa di magnifico. Highway Of Love beneficia del registro vocale del cantante e di un tessuto musicale invidiabile corredato di key e da un ottimo solo-guitar; It’s Not Over è un lentone d’atmosfera pregevole con un grandissimo assolo di Roth; The Price of Love ricorda i bei tempi nell’intro e nella prima fase vocale dove l’attuale singer evoca il passato. Il pezzo rimane comunque uno dei momenti più belli dell’intero disco, una sorta di rivisitazione, a sprazzi, di alcuni punti focali del primo aureo disco, cosiccome Standing Tall sfoggia un riff pregno di umori e atmosfere tipiche della band in fase di strofa, ritornello e assolo. Anna Lee appare una super ballad suonata alla grande, con un taglio melodico di adulto spessore e lignaggio, Don’t Wanna Lose You vive su dissonanze e un inciso ficcante con aperture mistiche delegate alla chitarra, mentre I Walk Alone chiude il sipario, sciorinando un brillante ritaglio a metà tra l’AOR e la semiballad, facendo balenare l’ottimo potenziale di questa line up.
Va detto con forza e lucidità, questo disco se non fosse stato così marchiato, sarebbe stato valutato con voti certamente più alti, perché risulta ben prodotto, scritto ed eseguito impeccabilmente con quella vena di hard rock melodico che sempre acchiappa, ma il confronto con quello che sono stati, risulta impietoso. Triste ma vero, questi non sono i Giant. Io capisco perfettamente che per sfruttare al meglio logo e tradizione si sia voluto, da parte di tutti, mantenere vivo il nome della band, ma quando si cita il quartetto è impossibile fare riferimento a questo nuovo prodotto. L’alchimia, la resa, la qualità estatica e l’esaltazione sonora dei primi due capitoli rimarrà ineguagliata, soprattutto a causa dell’assenza del deus ex machina che ha dato vita al progetto e lo ha elevato sino all’empireo. “Spiaze”, Amen.
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14
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Non mi è piaciuto, l\'ho trovato impersonale e senza la magia di Dan Huff alla voce e chitarra potrebbe essere davvero qualsiasi band. 65 ma i primi 2 sono un altro mondo |
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13
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Mi sembra davvero un bel disco. Non avevo mai ascoltato i Giant, così ho dato un ascolto anche a tutti i loro altri album nella stessa giornata (cioè oggi)...e penso ancora che sia un ottimo disco. |
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12
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Bellissimo disco. non so fino a che punto abbia senso fare dei confonti con il passato. Cambiano le età, cambiano le persone, cambiano i generi, cambiano gli stimoli. Bisognerebbe invece dar più valore al contesto: i Giant del 1989 erano ispirati da quello che è stato uno degli anni d'oro del genere, i Giant del 2022 sfidano un panorama musicale mondiale desolante e lo fanno brillantemente con la classe che non li ha mai abbandonati, nonostante la defezione importante di Dan Huff. |
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11
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Fantastic cd beautiful 🤘🏼VOTO 90 |
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10
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Per grande disco - Poi ognuno la pensa come caxxo vuole😉🤘
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9
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Jc: ti assicuro, nessun pregiudizio. Mi avrebbe polverizzato le palle anche se si fossero chiamati con altri nomi...de gustibus |
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8
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Ma quali pregiudizi, i singoli erano imbarazzanti. AOR di bassa lega, una noia assurda (e si, questi non sono i Giant). |
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7
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Secondo me lo avete sentito con troppi pregiudizi. Peace. |
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6
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Nel complesso non è male. Inizia col piede giusto con le prime tracce, poi dopo si assesta su un livello mediamente discreto, scorrendo fin troppo “normale”, magari con pochi altri scossoni emozionali. Chiaramente non c’è storia con i primi due album, ma rimane un album piacevole. Il 75 ci può stare. |
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5
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No Huff no Giant. No JL Turner no Sunstorm. Devo andare avanti?! Disco discreto al massimo, il precedente con Broxk era decisamente meglio. I Giant erano quelli dei primi dischi. |
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4
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Dico solo una cosa: questi non sono i Giant! Potresti valutarlo come il nuovo dei Perfect Plan, ma qui la qualità è molto più bassa. Altro passo falso della Frontiers. |
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3
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Il singolo pubblicato prima dell' uscita del disco non era male...ma sicuramente diverso dal loro standard...ma ripensandoci bene questi dopo 30 anni propongono alla gente la solita minestra Aor di fine anni 80 che non da' nulla di nuovo e alla fine stufa alla grande...sopratutto per gente che come me ha vissuto il periodo d'oro del genere...ma questi lo sanno che siamo nel 2022 e non nel 1989?....disco passabile ma alla fine andrebbe a fare polvere sullo scaffale dopo un ascolto. |
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2
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Imbarazzante. Veramente |
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1
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Recensione che trovo troppo severa nel confronto col passato. Io lo valuto un disco ottimo, con un sound così bello e patinato che basterebbe anche solo quello più la ballad Anna Lee per partire almeno da 80.
Disco obbligato per gli amanti del genere AOR. I non appassionati però un ascolto dovrebbero darlo in ogni caso, soprattutto se musicisti (un suono di chitarra così caldo penso lo vorrebbero tutti).
Anna Lee. Sentitela. |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Shifting Time 2. Let Our Love Win 3. Never Die Young 4. Don’t Say a Word 5. My Breath Away 6. Highway of Love 7. It’s Not Over 8. The Price of Love 9. Standing Tall 10. Anna Lee 11. Don’t Wanna Lose You 12. I Walk Alone
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Line Up
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Kent Hilli (Voce) John Roth (Chitarra) Mike Brignardello (Basso) David Huff (Batteria)
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