|
26/04/24
KARMA
CSA RIVOLTA, VIA FRATELLI BANDIERA 45 - VENEZIA
|
|
|
16/10/2022
( 3172 letture )
|
I Lamb Of God tornano sul metallico campo di battaglia con verve, forza e grinta incontrollabili. Un vero macello post-apocalittico che sferraglia a 180 chilometri orari sulla corsia di emergenza di Rollerball, totalmente fuori controllo come una bestia feroce ingabbiata da secoli. Esattamente come un iper-dinosauro fatto di pelle ruvida, occhi profondi e saggezza animalesca, la band americana non risparmia un colpo, afferrandoci per la gola e colpendoci ripetutamente durante i 40 minuti di questo nuovo, ignorante, tetro e francamente strepitoso Omens. Signore e signori, benvenuti nella nuova heavy-profezia firmata Lamb Of God !
In soli due anni e mezzo, il combo di Richmond ha sfornato un esaltante album omonimo che nessuno si aspettava: dopo l’abbandono del leggendario co-fondatore Chris Adler (ora alle prese con il progetto heavy/power Firstborne), il drum-kit rischiava di rimanere orfano. Ma le doti eccelse e il talento di Art Cruz (ex- Prong e Winds Of Plague) hanno risanato la situazione in modo ineccepibile, creando un invisibile tracciato, fatto di canzoni perfettamente a fuoco e live show devastanti. Così, dopo il pandemico live DVD Live in Richmond , la combriccola rientra per colpirci a nostra insaputa nel cuore della notte. Badile o vanga? Non importa, perché il colpo è assolutamente senza precedenti, con un pizzico di Ashes of the Wake, un po’ di Wrath ma anche un songwriting ficcante come pochi, tra presente e passato. Dieci tracce urticanti che proseguono il discorso intrapreso da Lamb of God, concedendoci un feeling genuino da “sala prove”, senza pericolose sovra-incisioni. I LoG tornano alla base creando un tornado sonico che, dopo quasi trent’anni di carriera, non ci saremmo mai aspettati. Invece, colpo di coda e tutti in sella per la nuova avventura polverosa, con il solito Lamb-sound muscoloso e decisivo, marchio indelebile del loro groove/thrash sporcato di hardcore e influenze southern. Il classico dei classici, senza incredibili digressioni progressive né sorprese da bocca aperta, ma “solo” il suono arrotondato di una macchina da guerra che ha ridisegnato il metal americano tra saggezza e tributi, riprendendo le coordinate dei sempre amati Pantera ed Exhorder.
La spaventosa furia dissonante di Nevermore apre le danze in modo familiare ma non troppo, con versi recitati, atmosfera sulfurea e riff squadrati che si aprono a un refrain carico di enfasi. Un tocco melodico nella sporcizia, coronato da un bel solo di Mark Morton e sapientemente esorcizzato dalla furia thrash di Vanishing, che occupa il secondo slot in scaletta con putrida eleganza metallica. Doppietta che definire incalzante sarebbe riduttivo, quindi, anche per il modo in cui To the Grave e Ditch ci aggrediscono senza sosta, partorendo riff su riff, stop’n’go e un incontrollabile headbanging da salotto. La compattezza iniziale, che bissa il già iracondo Lamb Of God (2020), non può che farci comparire un ghigno beffardo in volto. To the Grave è un purissimo concentrato di heavy metal, con un lavoro certosino di Art Cruz, un anthemico Randy Blythe e il basso pulsante di John Campbell. Come da copione, le chitarre del duo Adler/Morton sono infuocate e durante il bridge strumentale devastano qualsiasi cosa. Il breve assolo serve solo per lanciarci nel vortice finale, prontamente bissato dalla sopracitata Ditch, di nuovo a cavallo tra metallo del sud e furia thrash. Mini progressioni chitarristiche accompagnano la traccia nel fango, con un piacevole senso di retro/dejà vu e un ritornello irresistibile quanto semplice. Come dicevamo, in questo nuovo album non c’è bisogno di trucchi né abbellimenti: i testi di R. Blythe -sempre arguti e pungenti- sono la ciliegina sulla torta. E così, dopo tanto godimento parzialmente inaspettato, le turbo-danze proseguono con la title-track, bagnata da gang vocals, riff incalzanti che si schiantano contro un muro di piccoli breakdown e rallentamenti da mosh estremo. Un altro centro? Assolutamente sì, specialmente al minuto 1:35, con il riff/ripresa grattugia-universo. La scaletta di Omens prosegue sul binario solitario della durezza sconfinata, a discapito delle “novità” paventate dalla band che, ad un ascolto approfondito, possono essere sì scovate qua e la, ma non costituiscono nessuno scollamento con il core-sound dei Lamb Of God, che hanno sicuramente osato di più in passato, sia con la melodia che con alcune orchestrazioni di contorno. Poco male perché, a parte la destrutturata e sottotono Gomorrah, la scaletta prosegue in modo esaltante con le potentissime e differenti Grayscale, Denial Mechanism e la conclusiva September Song. La prima, sporcata da influenze Slayer-iane nel riff portante, non fa che esaltare la prova vocale di Blythe, mattatore indiscusso e frontman animalesco, perfetto nel dipingere una scala di grigi con la sua ugola rabbiosa. E che dire dello speed metal infuso di hardcore di Denial Mechanism? Breve mazzata tra capo e collo che fa detonare l’ultima scintilla di energia rimasta: distruzione assicurata, ripartenze thrash infuocate, assoli e doppia-cassa ci rapiscono poco prima del finale di September Song, tutta atmosfera e groove. Tra chitarre semi acustiche e una timida sinfonia si aprono le porte autunnali, anche se i colori non sono certo tenui e caldi. Ultimo brano in scaletta per un non troppo vago sentore alla Sacrament, con un ritornello stratificato dalle orchestrazioni, intelligenti e poco invasive. I riff di Willy Adler sono decisamente a fuoco, così come la possente sezione ritmica e le parentesi clean di Mark Morton.
La canzone di settembre mette fine al nuovo Lamb Of God, suggellando l’ennesimo successo e la clamorosa ripresa degli ultimi anni. Non distante dai primi, eccelsi album, Omens offre qualcosa di nuovo ma soprattutto tanta garanzia e una colata di riff irresistibili. E per citare il buon John Campbell, quello che dovete aspettarvi da questi 40 minuti è semplicemente una sana dose di “brutale heavy metal”. E tanto basta.
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
10
|
Gran bel disco e grande band |
|
|
|
|
|
|
9
|
Gran disco. Prosegue sul solco del precedente ma risulta più ispirato, più compatto ed anche decisamente più ascoltabile nella sua interezza (cosa affatto scontata). Lo metto subito dietro la mia personale trimurti della band (AOTW, Sacrament, SUD)... davvero una bomba, voto 85! |
|
|
|
|
|
|
|
|
7
|
Discone, mi è piaciuto molto di più di Sturm und Drang e del self titled. |
|
|
|
|
|
|
6
|
Disco solido, compatto, costante, in pieno stile LOG ma con una titletrack veramente SOPRA alla media e TOTALMENTE LOG STYLE che, come singolo di punta, è 4 punti avanti rispetto ai singoli di punta del precendete disco che erano un pò troppo sperimentali per il concept del disco prodotto (visto che doveva essere coerente con lo stile cazzuto e groove della band). La band con questo disco ripercorre la formula del "best of non autorizzato" iniziata dal disco precedente e non si concede sperimentazioni (tranne nell'ultima traccia e qualche passaggio sparso nel disco più di nicchia e meno "lamb of godiano"). Questo disco riporta la band a livelli STELLARI. Per i puristi questo sarà quasi ai livelli di coerenza sonora di Wrath mentre per i più avanguardistici il pacchetto completo magari non ve lo beccate ma almeno September Song ha delle forte vibe "epiche" in stile King Me (specie nell'intro e nella parte finale). Sì...il cazzo ce l'ho dritto da quando questo Omens è uscito! Spero di non doverlo amputare per la troppa "muscolarità" erettile! |
|
|
|
|
|
|
5
|
Libidine assoluta, band stratosferica che adoro fin dai tempi di Burn the Priest (che come monicker mi piaceva molto di piu), sicuramente tra i top 3 dell'anno! |
|
|
|
|
|
|
4
|
StevaBeltra e Freedom hanno già detto tutto. Sottoscrivo in pieno! |
|
|
|
|
|
|
3
|
Una garanzia, sempre. Aprono con una bomba atomica come Nevermore sparata in faccia senza preamboli, per poi proseguire con una scaletta con pochi cali di tensione: un album che viaggia molto più omogeneo rispetto al precedente, che poggiava su 3/4 pezzi spettacolari ma era un po' più altalenante. Strumentalmente cosa dire? Immensa prova di Randy che vomita rabbia a ettolitri, Morton e Adler sono macchine da riff assassini e la sezione ritmica è il solito muro, con Art Cruz sugli scudi. Voto 80 |
|
|
|
|
|
|
2
|
Che disco ragazzi! Non mi aspettavo tanta qualità sinceramente, e invece mi hanno steso. Bellissimo. |
|
|
|
|
|
|
1
|
Bella bomba questo disco! Sicuramente migliore del precedente che reputo solo discreto, ha delle canzoni veramente coinvolgenti e divertenti, con qualche brano solo un po' più debole, ma non parlerei di veri e propri filler. La batteria inoltre non mi convince del tutto, ma Cruz resta comunque una bestia! Chitarre e voce neanche parlarne: pazzesche come sempre! |
|
|
|
|
|
INFORMAZIONI |
|
|
|
|
|
Tracklist
|
1. Nevermore 2. Vanishing 3. To the Grave 4. Ditch 5. Omens 6. Gomorrah 7. Ill Designs 8. Grayscale 9. Denial Mechanism 10. September Song
|
|
Line Up
|
Randy Blythe (Voce) Mark Morton (Chitarra) Willy Adler (Chitarra) John Campbell (Basso) Art Cruz (Batteria)
|
|
|
|
RECENSIONI |
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
ARTICOLI |
|
|
|
|
|
|
|
|