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Unearthly Trance - Electrocution
( 1839 letture )
Quando i rivali, durante il processo di “selezione naturale”, puntano a soddisfare avvenenti modelli estetici globalmente riconosciuti, il metodo più scontato per accaparrarsi l’attenzione della “piazza” è quello di presentarsi in netta opposizione di fase stilistica, facendo trasparire, come giustificazione, un ostentato anticonformismo di matrice radical chic. Il rischio, non potendo contare su di una sufficiente personalità, è quello di rimanere vittime della propria (inopportuna) presunzione raccogliendo null’altro che l’indifferenza altrui; forti, per contro, di un magnetismo innato su cui volere far leva, vi è altresì la sicurezza di divenire punto focale, gratificante, degli sguardi altrui. Per dimostrare la tesi che vi ho ora illustrato, abusando della vostra consueta pazienza, vi basterebbe posare lo sguardo sulla lunga, purpurea barba che adorna il mio viso (metodo che consiglierei alle sole fanciulle dotate di oggettiva beltà), oppure, affrontando l’analisi con un ragionamento “per assurdo”, sarebbe sufficiente dare in pasto al vostro affamato lettore il nuovo album degli UNEARTHLY TRANCE (procedimento che invece suggerisco alla rimanente parte dei lettori).

ELECTROCUTION, come già lo furono IN THE RED e THE TRIDENT negli anni passati, è infatti una rutilante dimostrazione di “astensione ideologica” che strizza l’occhio a qualche visione radicale, senza però abbracciare definitamente una risoluta categorizzazione. Intendiamoci: questa quarta fatica degli UNEARTHLY TRANCE è da considerarsi discreta; ELECTROCUTION è ricco di spunti interessanti e metallico quanto basta grazie ad un lavoro chitarristico ben affrontato ed un cantato sempre pronto e tagliente. A tal proposito una nota di merito per la timbrica “anselmiana” del light growling di Lipynsky: potente, sempre chiaro e solo sporadicamente alleggerito nello sforzo, pur non raggiungendo per efficacia i mostri sacri del genere, troverà meritatamente molti estimatori tra gli ascoltatori. La stessa squadra ritmica (Newman e Verni) sembra da subito affiatata e sufficientemente dotata, anche a fronte di una proposta che la deve obbligatoriamente limitare a livello tecnico per non pesare sulla linearità autoimposta dell’ascia brandita da Lipynsky stesso.

Ciò che mi sento di poter (limitatamente) biasimare è la scelta di non scegliere, circostanza che ha come effetto dominante quello di relegare le pur eclettiche intuizioni a sole, incompiute dichiarazioni di intenti. E così ci si imbatte tanto nell’overture CHAOS STAR, trascinata in uno SLUDGE/DOOM (più SLUDGE che DOOM) che intramezza isolati rallentamenti a tempi incalzanti di matrice METALCORE, quanto in una antipodica (per ordinalità e per carattere) DISTANT ROADS OVERGROWN che inizialmente ricorda un certo DEATH AND ROLL riconducibile (solo) agli ultimi ENTOMBED, per poi sfociare in ambito STONER con le tipiche derivazioni ‘70ies che vengono iniettate nell’amalgama in modo piuttosto evidente (date attenzione ai due ganci finali con la solista in netta disarmonia con l’arpeggio ritmico); per non farsi mancare nulla la chiusura della stessa butta nella mischia pure un ultimo minuto DRONE/AMBIENT (più AMBIENT che DRONE).
L’anima DOOM (comunque preponderante) affiora nella bella GOD IS A BEAST dove buona dose del timing è riservata a battute cadenzate da un drumming molto lento, ma articolato sia nelle pelli “strette” sia in quelle più gravi, sulla cui base ritmica si adagia un intaglio chitarristico molto ricorsivo e melodicamente invariato; le vocals pure rinunciano in gran parte all’impatto aggressivo ritrovato negli altri episodi del platter optando per una timbrica più impostata e profonda. L’effetto è quello di un brano dai connotati demoniaci il cui morente congedo attizza i miei sensi.
In netto contrasto con questo feeling malefico, THE DUST WILL NEVER SETTLE parte decisa ed insistente; l’oltretomba ricompare brevemente nello stacchetto mediano, ma la strada è quella segnata, con brutalità, fin dalla partenza e presto accentuata con un inaspettato blast beat che trascina anche la parte strumentale verso lidi che compiaceranno soprattutto gli oltranzisti più incalliti. Nonostante l’evidente deformazione professionale, volta ad un gusto ben più funereo, THE DUST WILL NEVER SETTLE è il brano che più mi aggrada dell’intera release, complice anche il minutaggio limitato che lo rende diretto e dunque di facile digestione.
Ulteriore cambio di rotta con DISEASED, creatura più TRASH della famiglia; l’avvio, per dirla tutta, ricalca perfino sonorità che furono degli ALICE IN CHAINS, anche se il cliché dominante non può che essere riconducibile alla “spazzatura” (in termini letterali, sia ben inteso) anni ’80 e ’90. Il cantato combina parti pulite incredibilmente somiglianti al più ubriaco degli Araya fin qui mai sentiti, con deliranti urla METALCORE che francamente preferisco.
THE SCUM IS IN ORBIT risente dell’influenza di DISEASED soprattutto per quanto concerne la timbrica vocale e la strutturazione serrata della canzone che però, a livello stilistico, anticipa quelle aperture (chiusure?) SLUDGE presenti nei tre brani a venire.
RELIGIOUS SLAVES è lenta e fredda, mentre BURN YOUR INSANE insolente ed apocalittica. Entrambe appaiono comunque poco riuscite e meramente riempitive.
Si chiude con la già citata e migliore DISTANT ROADS OVERGROWN.

Il mordente dunque non manca, anche se nel complesso ELECTROCUTION risulta dispersivo e poco diretto; certamente non può essere considerato un album ruffiano, anche se traccia per traccia, non disdegna una versatilità che potrebbe accontentare differenti fette di pubblico (ma che alla fine rischia pure di scontentare tutti). Diciamolo chiaro: la “piazza” non lo distinguerebbe dagli altri pretendenti, ma nemmeno avrebbe elementi per consegnarlo al pubblico oltraggio; la sufficienza piena è assolutamente giustificata, come lo è anche un acquisto sereno, spensierato che potrà essere soddisfacente solo se supportato da un’aspettativa non epocale.

Nulla a che vedere con la mia lunga, purpurea barba!



VOTO RECENSORE
65
VOTO LETTORI
25.47 su 21 voti [ VOTA]
Aris
Giovedì 11 Maggio 2017, 21.13.37
1
Letta ora, questa recensione é una autentica perdita di tempo. Saluti.
INFORMAZIONI
2008
Relapse Records
Doom
Tracklist
1 - Chaos Star
2 - God Is A Beast
3 - The Dust Will Never Settle
4 - Diseased
5 - The Scum Is In Orbit
6 - Religious Slaves
7 - Burn Your Insane
8 - Distant Roads Overgrown
Line Up
Rion Lipynsky – Guitar, Vocals
Jay Newman - Bass, Noise
Darren Verni - Drums
 
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